Natura e paesaggio

17 Settembre 2015

Assumere un punto di vista è atto che pertiene naturalmente allo sguardo e che, insieme, ne rompe l’ordinario funzionamento. A fare della fotografia un’uscita dall’ordinario anche più straordinaria è la dichiarazione del punto di vista assunto, la proiezione dopo la sua introiezione, il risultato che essa persegue e che ne consegue: la fotografia è un punto di vista reso noto al mondo, genera un’immagine performativa, capace con il semplice fatto di essere visibile di creare un mondo, quello della visione, singola e singolare e proprio per questo così potente. Per dirla con Didi-Huberman, con certa fotografia avviene che sia l’immagine stessa a prendere posizione.[1]

 

È il caso delle fotografie raccolte nell’esposizione Natura e paesaggio nelle collezioni della Fototeca della Biblioteca Panizzi, curata da Laura Gasparini e visitabile fino al 27 settembre 2015 presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. L’occasione della rassegna annuale Fotografia Europea è stata colta con attenzione e perspicacia, dando vita a una mostra che si guarda bene dall’accogliere la semplicistica e diffusa convinzione che una collezione costituisca già di per sé un’opera da esporre. Al contrario, la fase oculata di pensiero, ricerca e selezione, in prima battuta, e le scelte di allestimento tutt’altro che casuali sono percepibili dal visitatore, dandogli la precisa sensazione che il ricchissimo archivio della fototeca sia stato interrogato e interpretato con senso critico e direzione chiara.

 

 

Il percorso si snoda tra fotografie dell’Ottocento e del Novecento, organizzate in sezioni che fungono da chiavi nella lettura del tema esplicitato dal titolo dell’esposizione. La prima sezione, Dalla veduta classica al modernismo, entra immediatamente nel cuore della questione, ricordandoci lo sguardo della tradizione romantica ottocentesca, il suo affacciarsi alla finestra del mondo e l’innestarsi spontaneo e quasi naturale, su questa logica dialettica tra soggetto-spettatore e oggetto-spettacolo, della sperimentazione fotografica. Troviamo qui le foto di Giacomo Caneva, l’attrazione dell’epoca per il rapporto tra rovine classiche e natura che le ospita, e il lascito decisivo del modello rinascimentale di paesaggio promosso dagli Alinari.

 

Quando si affronta la natura con lo sguardo, il baratro paradisiaco del sublime è la respingente frontiera verso cui non si sa smettere di avventurarsi: il creato, semplicemente stando nella sua grandiosa evidenza, lascia senza fiato, e la fotografia accompagna e supporta l’occhio dell’uomo ardimentoso, consentendo allo spettacolo di fronte ai suoi occhi di attraversare la distanza fino al ritorno a casa. Il paesaggio maestoso è la sezione dedicata alle cime montane, forse l’ambiente più capace di scatenare le sensazioni appena descritte, indubbiamente quando la si osserva alla luce delle inquadrature di Vittorio Sella. Il celebre alpinista, esploratore e fotografo, così affezionato alla montagna, la raccontò a cavallo tra Ottocento e Novecento in maniera destinata a sopravvivere al tempo, tanto che la vedremo riemergere per analogia negli scatti di oggi del suo erede d’arte (sia fotografica che di esplorazione) Fausto De Stefani.

 

 

L’ammirazione per il mondo risente inevitabilmente dell’influenza dell’esotico, del lontano, del diverso: per questo gli uomini impegnati in attività internazionali e diplomatiche hanno spesso collezionato opere fotografiche dai loro anni all’estero. Tra gli italiani, Alberto Pansa sfruttò in questo senso i suoi anni in estremo Oriente, raccogliendo anche le albumine di Felice Beato, Kajima Seibei e Adolfo Farsari che, in questa mostra, ci danno l’intima relazione tra vita dell’uomo e sacralità del luogo, relazione risolta nello spazio del parco. Il parco e il giardino sono i protagonisti della sezione appena successiva, ma stavolta torniamo in patria e non è un caso se a questo cambio geografico corrisponde un completo rovesciamento estetico: l’animismo lascia lo spazio all’ordine e alla natura architettata e il mistero del divino forse si defila, sicuramente si traduce secondo tutta un’altra ermeneutica che, tuttavia, non cessa di affascinare l’occhio fotografico.

 

 

La fotografia, mentre permetteva di inquadrare paesaggi e ambientazioni, consentiva di cogliere in pochi istanti il dettaglio, anche ristretto, anche molto ravvicinato, e le forme della natura erano destinate a farsi ritrarre per trattenere, per portare alla luce in qualche modo l’incanto suscitato da piante, fiori, dai mondi in miniatura che in esse si tratteggiano: ancora Caneva, Felice Beato e gli Alinari sono i protagonisti, tra gli altri, di questa sezione. Ravvicinare lo sguardo e sperimentare in modo capillare e vivace alla ricerca delle forme è direzione naturalmente figlia della fascinazione per questi micro-mondi. Sulla scorta di questa traiettoria, le opere di Luigi Veronesi sono testimonianza delle potenzialità che la fotografia mette a disposizione nell’affrontare il mistero della forma, fin addentro al confine dell’astrazione.

 

Paesaggio e natura sono l’ambiente che viviamo e, quindi, che guardiamo e non smettono di affascinarci per l’aulica abitazione che ne abbiamo fatto, per la storia monumentale che vi abbiamo inoculato; tuttavia, il dettaglio apparentemente insignificante, il paesaggio che è troppo facile dire banale, l’inquadratura che non si sofferma sul bello o sul giusto, sono attrazione magnetica per il nostro sguardo almeno quanto i primi tipi di spettacolo e non smettono, nella storia della fotografia, di immergersi nel fondo della visione e di riemergerne rafforzati, in tempi, luoghi e con autori diversi, gridando la dignità della loro verità estetica.

 

Le letture che Natura e paesaggio dà di questo decisivo aspetto sono molteplici e diverse, come del resto lo sono gli artisti e i tesori della collezione: da Mario Dondero e la sua inclinazione neorealista, anche sociale, a Paolo Monti con la sua profonda conoscenza e consapevolezza teorica della forma, a Stanislao Farri, con la sua sensibilità per gli elementi naturali e artificiali all’interno del territorio di provincia.

 

 

Arriviamo ineluttabilmente a Luigi Ghirri, all’inestimabile valore del lavoro di ricerca, di raccolta, di coinvolgimento che egli condusse, al suo legame con il Comune di Reggio Emilia che alimenta con vigore e calore l’istituzione della Fototeca e, di conseguenza, questa mostra; ci arriviamo dapprima in modo tangente, passando per la sezione dedicata a Mimmo Jodice, uno dei grandi fotografi invitati alle operazioni ghirriane di racconto della provincia italiana. E, infine, abbiamo le Nuove prospettive di ricerca, con le opere di Ugo Mulas, dello stesso Ghirri, di Guido Guidi, di Olivo Barbieri. Scrive Laura Gasparini, nel testo che apre il pregevole catalogo della mostra:

Ghirri individua quindi una molteplicità di piani di lettura della realtà, perché essa gli appare costituita da contaminazioni, giustapposizioni, suggerimenti, elementi evocativi che lo sguardo può cogliere e restituire attraverso il punto di vista e soprattutto dall’inquadratura scelta dal fotografo. Anche il banale, l’ovvio, il quotidiano, le rovine dei paesaggi industrializzati, le periferie anonime sono interessanti perché, scrive Ghirri, «il mio tentativo di vedere ogni cosa che è già stata vista, e di osservarla come se la guardassi per la prima volta, può apparire presuntuoso e utopistico».

 

 

Altro comparto d’eccezione, tutt’altro che mero contorno all’allestimento e alla proposta dell’esposizione, è quello dei libri fotografici e delle cartoline, proposti al visitatore nelle bacheche: gli album del Grand Tour, i libri del Touring Club Italiano, numerose opere illustrate sull’alpinismo e lo sci, cataloghi dedicati a piante e fiori o all’estremo Oriente, e naturalmente lo splendido Viaggio in Italia, ideato da Ghirri, di cui ammiriamo anche alcune cartoline a colori.

 

Il valore storico, documentale e concettuale di Natura e paesaggio, lo spaccato che essa offre del prezioso patrimonio della Fototeca, sono certamente di per sé sufficienti per meritare una o più visite; ma vien da dire che ciò che rende questa mostra così riuscita è l’esercizio che essa esegue sugli strumenti, sui punti di vista che essi costituiscono, per farsi a propria volta assunzione di punto di vista: un’esposizione che è un punto di vista sui punti di vista, una presa di posizione sulle prese di posizione.

 

 


[1] G. Didi-Huberman, Quand les images prennent position. L'Oeil de lhistoire, 1, Minuit, Paris 2009.

 

 

 

La mostra: Natura e paesaggio nelle collezioni della Fototeca della Biblioteca Panizzi, a cura di Laura Gasparini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia, dal 15 maggio al 27 settembre 2015. Nell'ambito di Fotografia Europea.

 

Le fotografie scelte per questo articolo sono state scattate non all’allestimento ma al catalogo: oltre a cercare di omaggiare con questo gesto alcuni fotografi della tradizione descritta, che hanno talvolta compiuto qualcosa di analogo – si veda per esempio l’Atlante di Luigi Ghirri – ho desiderato far sì che il catalogo dell’esposizione, assai ben redatto, ne entrasse ancor più a far parte, e in forma fotografica.

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