No Tav e terrorismo: diario di un processo

8 Gennaio 2016

Pubblichiamo un estratto sintetico del diario-cronaca del processo torinese, recentemente concluso, ai militanti No Tav accusati di terrorismo, in relazione ai fatti del maggio 2013 avvenuti al cantiere di Chiomonte. Il testo, a cura di Eric Gobetti, storico e documentarista, fa parte di un più ampio reportage sul tema, attualmente in lavorazione.

 

 

 

15 ottobre 2015, prima udienza

Sono uno storico della Jugoslavia nel Novecento. Non so niente di processi e poco di movimento NO TAV. Un collega di Firenze mi ha chiesto di seguire il processo per lui: si tratta dell'ultima fatica del Procuratore Maddalena e di un importante causa attorno al concetto di “reato di terrorismo”. Arrivo trafelato, dopo essermi perso un paio di volte. L'udienza si tiene, per ragioni di ordine pubblico, nell'aula bunker del carcere delle Vallette, a Torino. Questo luogo si trova in estrema periferia, senza la facilità di accesso e la visibilità pubblica che avrebbe avuto l'enorme palazzo di Giustizia di corso Vittorio Emanuele. Ciononostante al presidio di solidarietà NO TAV sono presenti almeno 100-150 persone con bandiere, striscioni e musica. Appartengono in maggioranza a due generazioni: giovanissimi (18-25 anni) e semi-pensionati (60-75 anni). Manca la generazione di mezzo, per ragioni di orario, credo.

 

L'accesso è bloccato da una cinquantina di poliziotti con camionette. Si accede cinque per volta (manifestanti, giornalisti, io) previa consegna documento. Un agente della Digos in borghese sta a fianco al carabiniere che prende i dati. Saluta tutti per nome, scherza coi manifestanti, fotografa col suo cellulare personale i documenti di chi non conosce (tra cui il mio). Dopo il metal-detector si accede a un'aula enorme, in cemento, con diverse gabbie in ferro e vetro lungo le pareti e, in fondo, il banco della giuria. Il pubblico sta in uno spazio molto limitato all'ingresso, controllato da circa dieci carabinieri e separato da un vetro alto due metri. In pratica l'aula è semivuota mentre il pubblico (circa 50 persone) sta ammassato su poche sedie a circa 40 metri da dove avviene il procedimento. Quando inizia, si sta tutti in piedi ammassati al vetro, per vedere qualcosa e cercare di sentire: avvocati e giudici parlano al microfono ma si sente poco. È una situazione respingente e fastidiosa: un'aula brutta, sporca, fredda, persa in una periferia abbandonata che non avrei mai pensato di frequentare. La sensazione è che i processi (certo questo) siano fatti per avvocati, giudici e imputati, non certo per il pubblico.

 

La giuria è formata da dodici persone, di cui cinque donne. Il presidente è un uomo ma i due giudici a latere sono donne. Poi ci sono quattro imputati (tra cui una ragazza), quattro avvocati difensori (maschi), due avvocati di parte civile (accusa) e un procuratore (accusa, il famoso Maddalena). Oggi l'udienza dura poco, si risolve in mezz'ora. Come già annunciato la Difesa avanza l'istanza per rimandare l'udienza a quando sarà depositata la motivazione completa della sentenza della Cassazione che ha rigettato l'accusa di terrorismo. Il procuratore non si oppone e afferma, con una certa sufficienza, che tanto tale sentenza avrà poco valore sull'attuale processo (mormorio tra il pubblico). In effetti si tratta di un giudizio negativo della Cassazione sulla questione del reato di terrorismo, non per il processo in sé ma per la richiesta di custodia cautelare. Infatti ora gli imputati sono tutti agli arresti domiciliari, tranne uno che sta a Cremona, che è sotto processo per un altro fatto.

 

Poi vengono fissate le date per il procedimento. Il giudice sembra avere premura, afferma più volte che bisogna fare in fretta e finire entro l'anno (tra il pubblico c'è chi mormora: “entro la pensione di Maddalena”); ho l'impressione che invece la difesa tergiversi, avanzi scuse su ogni data per rendere lungo il procedimento. Le date previste sono:

30 novembre, 11, 14, 16, 17, 18, 21, 22, 23 dicembre (sulla data del 23 si alzano le polemiche tra il pubblico: “chi porta il panetùn!”).

 

Queste date comunque non sembrano così sicure. Più che un atto ufficiale sembra di assistere all'accordo per una partitella tra amici:

- tu quando potresti?

- io il 15 ho un impegno ma potrei il 16

- io il 16 ho un altro processo importante

- allora facciamo il 17

- io il 17 ho da portare i bimbi in piscina

- e io ho judo

ecc...

 

Quindi la sensazione è che sia tutto ancora da ridiscutere. E dubito che si finisca entro l'anno. Ma non sono avvezzo, quindi non saprei. Fino a ieri non c'erano notizie sul giornale. Oggi invece articolo a piena pagina nella cronaca di Torino de “La Stampa”, e secondo servizio al telegiornale regionale. Entrambi apparentemente molto neutri, riportano la questione del rinvio, la sentenza della Cassazione, il ruolo di Maddalena. Il TG sottolinea la condanna già subita e la presenza dei manifestanti.

 

 

12 dicembre 2015, seconda udienza

L'udienza è stata rimandata per uno sciopero degli impiegati del tribunale. Questa volta “La Stampa” non riporta nessuna notizia. Meno persone fuori al presidio e meno persone dentro all'udienza. Stavolta entro più disinvolto e mi sistemo con gli altri. Mi viene chiesto se sono giornalista e se scrivo a favore del NO TAV. C'è diffidenza, ma mi sento accolto come parte del pubblico e quindi schierato in qualche misura con gli imputati. La maggior parte di loro è qui per solidarietà, per fare numero. E d'altronde i giornalisti sono tutti all'interno della parte di aula per gli autorizzati e io, col mio computer e i miei appunti, sembro strano. Per prima cosa un avvocato della Difesa chiede di spostare il processo al Tribunale di Torino: la scelta dell'aula bunker sembra pregiudizievole perché etichetta gli imputati come pericolosi criminali; inoltre è stata scelta dalla Prefettura e dunque rappresenta un'indebita interferenza del potere esecutivo. La giuria si ritira per venti minuti e, come previsto, rigetta la richiesta.

 

Poi un giudice a latere (donna) fa un lungo riassunto della vicenda della TAV (dal 1991), della protesta NO TAV, dei fatti specifici (attacco notturno alle tre di notte del 14 maggio 2013 al cantiere con apertura della rete di recinzione, molotov e incendio di un compressore) e della sentenza di primo grado: condanna a tre anni e 6 mesi per possesso e uso di armi da guerra (molotov) e resistenza a pubblico ufficiale, con le attenuanti della chiara volontà di non ferire nessuno. Quest’ultima deriva da un’intercettazione ambientale in un ristorante cinese di Milano dove uno dei ragazzi si vantava dell’azione dicendo però che non avevano voluto colpire nessuno. In aula invece gli imputati hanno ammesso l’atto di sabotaggio per ragioni politiche.

 

Vengono poi spiegate le motivazioni della richiesta di appello dell’Accusa e della Difesa. L’Accusa vorrebbe principalmente provare il reato di terrorismo; la Difesa chiede un aumento delle attenuanti, fermo restando che il fatto in sé è stato rivendicato dagli stessi imputati. Il Procuratore chiede di acquisire come nuove prove il carteggio tra Procura e Prefettura dopo l'8 dicembre 2005 (occupazione del cantiere di Venaus) e di ascoltare una serie di teste su avvenimenti precedenti e successivi ai fatti del 2013, essenzialmente con lo scopo di dimostrare che il NO TAV è un fenomeno di guerriglia di lunga durata che ha avuto la forza di condizionare le Autorità dello Stato. (commenti ironici del pubblico, spesso in piemontese: molti vengono dalla Val di Susa). L'avvocato Novaro è uno storico difensore di movimenti antagonisti (centri sociali, no glob, NO TAV). Rifiuta tutte le richieste di nuovi teste e in generale l'impianto dell'accusa. Fa presente che se in questo modo si vuole criminalizzare tutto il movimento NO TAV, lui è pronto a chiamare a testimoniare centinaia di persone. Le nuove testimonianze richieste da Maddalena inoltre sono troppo deboli secondo lui per giustificare un processo d'appello, e in ogni caso sono irrilevanti. Maddalena vorrebbe anche agli atti uno studio della Bocconi (già respinto in prima istanza) evidentemente di parte: il direttore del dipartimento fa parte del consiglio d'amministrazione della ditta che lavora nel cantiere!

 

La Corte si ritira per un’ora. Fuori si mangia cibo offerto dai ragazzi del Movimento. Mangiano anche gli avvocati difensori. Il vino non manca e pure la musica. È strano trovarsi dentro così separati e fuori a bere insieme. Da quello che colgo, Novaro è ottimista, dice che Maddalena è sembrato un po' smorto. Ha fiducia nel giudice, che è una persona corretta. In un momento del dibattito Maddalena, che sembra effettivamente un vecchio decrepito e cammina anche male, si è addormentato (ho visto la foto)! Vengono respinte tutte le richieste dell'Accusa. La corte afferma che sono irrilevanti i fatti del 2005, lo studio della Bocconi e gli eventi successivi ai fatti. In pratica già smonta l'impianto accusatorio: se ci si vuole soffermare solo sui singoli fatti dell'incendio di quella notte, la tesi che quell'evento faccia parte di un piano preordinato per destabilizzare lo Stato viene a cadere. Oggi Novaro-Maddalena: 3-0!

 

Prima di finire l'avvocato del ragazzo in carcere a Cremona chiede al giudice se può essere trasferito ai domiciliari a casa del padre, in via Madama Cristina a Torino, per seguire il processo nei prossimi giorni senza dover andare avanti e indietro. Gli viene concesso senza opposizione da parte dell'Accusa. Il poco pubblico rimasto va via soddisfatto. Oggi ci sono anche delle carabiniere, tra i militari a protezione dell'aula. Una signora zoppa, buffa e sboccata, non perde occasione per insultarne una in piemontese: quella però non reagisce, probabilmente perché non capisce. Fuori, c'è un sole bianco, ma dopo tante ore di neon mi sembra di essere ai Caraibi. Per un attimo, salendo in macchina, penso al sole in carcere. Non ci sono mai stato, in un carcere, neanche in visita. Chissà cosa vuol dire starci dentro per mesi, per anni, come è già capitato agli imputati. Tornando a casa, nella zona di via Madama Cristina, penso a quel ragazzo che stasera dorme qui, a casa. Per un attimo me lo immagino uscire a farsi una birra con gli amici, in uno dei molti locali della zona, ma poi mi ricordo che è comunque agli arresti domiciliari: non può assolutamente uscire di casa!

 

14 dicembre 2015, terza udienza

Mi sento sempre più a mio agio, arrivando qui. Le camionette della polizia fuori con i ragazzi del NO TAV, al freddo; i carabinieri dentro che mi frugano la borsa e mi sondano col metal-detector, l’aula assurda, freddissima e inospitale... ormai tutto mi sembra naturale. L'abbassamento del livello di ansia si misura con l'abbigliamento: sono passato dalla giacca, al golf, al maglione peruviano! Oggi un signore porta pizzette e dolci per tutti: sono state mandate gratuitamente da una panetteria solidale con il NO TAV. In aula incontro un amico, un anarchico che lavora all'Istituto storico della Resistenza di Torino. Ha già subito diversi processi e mi aiuta ad orientarmi nei meandri misteriosi della legge. Faticosamente comincio a capire il linguaggio processuale e a tradurlo nella mia testa in qualcosa di comprensibile. Ne traggo la sensazione di fondo che spesso i processi non servono a stabilire la verità ma a far rientrare gli eventi in certe norme create il più rigidamente possibile ma che di fatto devono essere sempre interpretate. L’arbitrio dei giudici mi pare enorme, anche in questo caso dove sui fatti in sé non si discute, perché sono provati in maniera inequivocabile e ammessi dagli imputati. A maggior ragione poi in un processo del genere il parere della giuria popolare non sembra avere nessun valore; se i fatti provati rientrano o meno in una certa tipologia di reati, in pratica lo può sapere solo un giudice professionista. Tutto ciò non ha niente a che fare col buon senso o comunque con il senso comune che si dà alle parole. Tipo “Terrorismo”.

 

Di questo si parla oggi, col Procuratore generale che tiene quella che dovrebbe essere l’ultima requisitoria della sua vita. “L'Accusa parte molto in salita per via delle due sentenze della Corte di Cassazione che si sono pronunciate contro l'accusa di Terrorismo”, inizia Maddalena. Persino la politica si è espressa chiaramente in questo senso. Eppure gli stessi imputati parlano di Sabotaggio, che secondo lui è una classica manifestazione di terrorismo. Si riferisce evidentemente al terrorismo di sinistra, ma a me viene da pensare che quel tipo di violenza politica ha caratteristiche del tutto diverse dal terrorismo in senso stretto, quello che provoca terrore colpendo nel mucchio, caratteristica tipica del terrorismo nero, dagli ustascia ai neofascisti, all'Isis. Non si tratta di dare la “patente di terrorismo”, dice il Procuratore, ma di capire se l'attività degli imputati rientra nei reati previsti dall'articolo 280 e 280bis del codice penale, ovvero “reati con finalità di terrorismo”. Naturalmente sì, secondo Maddalena. Per dimostrarlo vengono mostrati dei video con intercettazioni, testimonianze, mappe del cantiere e riprese notturne dell'attacco. Secondo me quelle immagini dimostrano più che altro l'incredibile grossolanità dell'organizzazione e la scarsità di mezzi dell'attacco. I ragazzi sono stati arrestati sulla base dell'intercettazione di un telefono cellulare con una scheda sim che era stata comprata da uno spacciatore, che era sotto controllo da parte della Digos di Bologna. In realtà si dice tra il pubblico che tutte le telefonate intorno al cantiere siano intercettate, anche se è illegale. In ogni caso sono intercettati mentre parlano al telefono dell’operazione molte ore prima che avvenga. Possibile che nessuno se ne sia accorto? Davvero non si aspettavano l’attacco? E come mai proprio quella notte hanno spostato le camionette dei carabinieri che erano uno degli obiettivi degli attaccanti? Nessuno sembra si sia posto queste domande, che a me paiono ovvie. Sono impressionanti in particolare le riprese di quella notte, fatte con telecamere termiche, che vedono di notte e che hanno consentito ai poliziotti di accorgersi di loro pochi minuti prima dell'attacco. Si vuole presentare il tutto come una vera operazione di guerriglia, ma sembra più un gioco di ruolo, o uno scontro da stadio. Si vedono ragazzi e ragazze in tuta nera che camminano curvi nella notte e gettano fuochi d'artificio e fumogeni dentro il cantiere. Poi un gruppo entra e butta qualche bomba molotov. Per sbaglio l'azione finisce prima del tempo, dura in pratica un minuto e mezzo. La sensazione è che i valori in campo siano del tutto sproporzionati: telecamere termiche vs fuochi d'artificio; esercito supermoderno vs ragazzini esaltati.

 

Secondo il procuratore si tratta di un'azione lungamente preparata (da cui sarebbero usciti puliti se non fosse per quell'intercettazione “casuale”), condotta con metodi da guerriglia, con vere e proprie armi da guerra (lui le chiama “bombe” molotov) e col rischio evidente di coinvolgere le persone che erano dentro il cantiere. Lo scopo principale degli attaccanti sarebbe stato quello di provocare paura fisica nelle persone del cantiere: non danneggiare un singolo mezzo (che si aggiusta) ma terrorizzare chi ci lavora. “Non bisogna sminuire la forza, la capacità, la serietà di questi ragazzi”, dice Maddalena: “Sono ragazzi intelligenti, che pensano bene, anche se non si possono definire benpensanti, secondo i nostri parametri...”. È come se volesse provocarli, volesse indurli a fare una dichiarazione spontanea magari aggressiva o rivendicativa, in modo da condannarsi da soli. Maddalena passa poi al pezzo forte dell’accusa con una lunga disquisizione sul reato di terrorismo con riferimento all'art. 270 comma sexies, approvato dopo gli attentati di Madrid (che hanno indotto la Spagna a ritirarsi dall'Iraq) che condanna atti che inducono lo Stato a cambiare la propria politica e “possono provocare gravi danni al paese”. Fa un paragone con l'attentato alle Torri Gemelle, per dire che anche se di fatto la politica dello Stato non cambia, si tratta comunque di un atto di terrorismo perché l’obiettivo è quello di modificare la politica dello Stato. (mormorii in aula. Io mi chiedo: in realtà l’11 settembre ha cambiato sì la politica degli Usa, inducendoli a scatenare una guerra globale che non è ancora finita; sarà stato questo l’obiettivo dei terroristi?).

 

Secondo il Procuratore i reati commessi dai NO TAV hanno condizionato le istituzioni pubbliche nelle loro scelte politiche. E questo vale per tutti i governi, di tutti i generi, che si sono succeduti negli anni. Inoltre lo Stato italiano è stato costretto a rallentare i lavori, a spendere molto di più per proteggere i cantieri, a cui di fatto non può rinunciare per questioni di Democrazia (disappunto in aula. Risate). Cita anche Renzi, che avrebbe dichiarato che l’opera non era così utile prima di salire al potere e adesso la porta comunque avanti. In sostanza sembra sostenere: sì, è vero, forse è un'opera inutile ma lo Stato è costretto a farla per non farsi condizionare da parte di una minoranza violenta. Questi ragazzi secondo lui fanno parte di un gruppo terroristico che si è annidato all'interno di un movimento di protesta legittimo. È la tesi delle Brigate Rosse, di fatto. In definitiva il Procuratore chiede l’accoglimento del reato di Terrorismo, e una serie di aggravanti per un totale di: 9 anni e 6 mesi, cioè la stessa prima richiesta dei PM del primo processo.

 

La requisitoria è durata praticamente cinque ore, con due brevi pause. Un grande sforzo argomentativo, con due stili retorici giustapposti:

-uno più divulgativo, a parole rivolto ai giurati popolari, ma secondo me più per la stampa, dove si è cercato di fare riferimento ad altri casi eclatanti, tutti legati all’eversione di sinistra: Brigate Rosse, Prima Linea, il caso dell’Angelo Azzurro

-uno molto specialistico, rivolto ai giudici, dove si è cercato di far passare come assodata l’identificazione tra gesti di opposizione politica attiva e il reato di Terrorismo.

Questo secondo elemento però non è affatto assodato, anzi è stato già più volte respinto dalla Cassazione, e dunque è ipotizzabile che non venga accettato dai giudici. È probabile che Maddalena voglia puntare più sulle aggravanti (in particolare il reato contro le persone e non solo le cose), su cui si è molto dilungato, per portare la condanna almeno a 5 anni (il massimo, senza il Terrorismo). La parte più divulgativa credo che sia più indirizzata ai media, perché entri nel senso comune un’equiparazione fra NO TAV e movimenti eversivi precedenti, anche senza condanna. Effettivamente è un'equiparazione che appare efficace, specie nell’immagine suggestiva del “pesce” terrorista che si muove nel “mare” del movimento. Ovviamente al di là della differenza di armamento, organizzazione e effettiva volontà di uccidere, e nonostante i goffi tentativi del Procuratore di dimostrare il contrario. Io mi interrogo sul senso del reato di terrorismo, cioè sull'equiparazione fra strage volta al puro terrore e un atto di sabotaggio o anche di assassinio contro un rappresentante di un sistema politico o economico. Ha senso davvero, da un punto di vista di etica e di diritto, equiparare i due fenomeni?

 

Parlano poi i due avvocati: quello di parte civile, che difende la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e quello della ditta che ha subito il danno. Il primo chiede l'aggravante per danno all'immagine dello Stato, mentre il secondo si concentra sul danno patrimoniale. L’avvocato di parte civile è un po’ impacciato, non sembra a suo agio in processi di questo livello. In sostanza sostiene che quell’evento avrebbe provocato un affievolirsi della credibilità dell'Italia all’estero. C'è molta ilarità in aula circa i diversi fenomeni che provocano danno di immagine dell'Italia all'estero: “e Berlusconi invece no?”, dice uno ad alta voce. A me viene in mente “la piaga di Palermo: il traffico!” di Johnny Stecchino. L’udienza di oggi si chiude sul 2-0 per Maddalena. Facce scure, anche fra gli avvocati della Difesa e il timore che le richieste dell'Accusa siano in gran parte accolte, e che i ragazzi subiscano un aggravamento della pena.

 

 

18 dicembre 2015, quarta udienza

Stavolta non mi perdo. Ho capito l'assurda strada per arrivare qui, che obbliga a fare due svolte piuttosto difficoltose in grandi viali di periferia. All'interno dell'aula oggi una ventina di persone, tra cui un altro amico, il regista Daniele Gaglianone, che mi segnala il pericolo di presenziare a un processo del genere per la nostra privacy e libertà politica. L'ironia è che ieri sera mi trovavo nello studio del Presidente della Regione Piemonte, lusingato per la mia qualità di storico, e stamattina rischio persecuzioni politiche per il mio interesse in un processo... Oggi tocca alla Difesa. L'avvocato Novaro comincia la sua arringa precisando che il terrorismo è quello degli attentati in Francia, degli attentati di Madrid e Londra che hanno portato il legislatore italiano ha ideare l'articolo 270 sexies. Qui invece il contesto è quello di una resistenza popolare a un progetto che lo Stato vuole imporre alle popolazioni della Val di Susa. La normativa poi parla di attentati gravi all'incolumità fisica o distruzioni di vasta portata: qui i dimostranti hanno distrutto un singolo compressore, senza far male a nessuno e rivendicando questa scelta in un contesto certamente sincero (quello dell'intercettazione al ristorante).

 

L'arringa si concentra più che altro sulle molotov, che in quanto “armi da guerra” costituiscono il principale aggravante del gesto. Si cerca di dimostrare che erano chiaramente indirizzate contro il compressore e che in ogni caso non potevano raggiungere le persone all'interno del cantiere che erano molto lontane dalla loro portata. In sostanza si è trattato di un piccolo tentativo di sabotaggio che non aveva nessuna velleità di creare un grave danno al Paese. “Sapete quanto è rimasto fermo il cantiere dopo l'azione?”, chiede l'avvocato Novaro: “Un'ora!”. Circa poi l'art. 270 sexies l'avvocato definisce assurdo il tentativo di inserire questo evento in un contesto di presunta guerra civile fra il Movimento NO TAV e lo Stato. Innanzitutto si devono valutare le responsabilità individuali e non le colpe collettive: le spese di protezione del cantiere, non sono quantificabile e non dipendono da questo atto; il danno d'immagine a maggior ragione non dipende solo dal Movimento NO TAV così come la scelta di militarizzare il territorio; infine il danno al sistema di trasporti europeo non esiste perché l'attuale linea è più che sufficiente per il trasporto merci e il piano strategico per il cosiddetto “corridoio 5” da Lisbona a Kiev è stato da tempo abbandonato. Ha parlato per circa due ore, con un linguaggio chiaro, tono affabile, qualche battuta, affrontando più che altro gli aspetti politici.

 

Verso le 11 arriva il solito signore con le pizzette offerte dal panettiere solidale. I carabinieri si indispettiscono e vengono a dirgli di smetterla, sostenendo che il rumore della carta disturba il processo. Lui incassa ma poco dopo va dallo stesso carabiniere a lamentare che alcuni suoi colleghi hanno ricevuto chiamate al cellulare che disturbano in ugual modo il processo. Si solleva una polemica in aula (fra il pubblico) ma per fortuna si spegne anche subito. I carabinieri tornano dal loro lato del vetro divisorio.

 

Tocca agli altri avvocati della Difesa. Dominioni, a differenza di Novaro, parla in maniera molto articolata, retorica, lenta. Un po' vecchio stile. Affronta il tema specialistico del dolo diretto o eventuale, cioè della volontà di colpire cosa e come. Sostiene che, a differenza della maggior parte dei processi qui non ci sono indizi ma una prova certa: uno degli imputati lo dice chiaramente nella famosa intercettazione al ristorante. Quindi è inutile discuterne oltre. (l'avvocato invece ne parla per quasi due ore...). L'avvocato Losco è più giovane e brillante, e ricostruisce a sua volta il fatto specifico usando i fotogrammi dei video del cantiere. In pratica dimostra che le molotov sono state lanciate solo dove non c'erano persone. Solo le azioni diversive, fatte con petardi e fuochi d'artificio, hanno colpito aree dove c'erano i militari. Nessun operaio ha avuto problemi per il fumo proveniente dal compressore in fiamme, anzi sono rimasti in gran parte intossicati dai lacrimogeni lanciati dai poliziotti! Infine l'avvocato Pelazza parla delle motivazioni dell'appello della Difesa. Comincia dicendo che è assurdo trovarsi ancora a discutere del reato di terrorismo in un contesto completamente diverso da quello che sia il senso comune sia la legge intende come terrorismo. Fa presente tra l'altro che le molotov non sono “bombe” perché non sono esplosive e non andrebbero equiparate alle armi da guerra, come infatti avviene in gran parte dell'Unione Europea. Da noi sono state considerate tali a partire dal 1975, in un'epoca particolare e in uno stato d'emergenza. Accusa Maddalena di nostalgia di quei tempi, quando si condannava per terrorismo a molti anni di galera, gente che non aveva neanche mai sparato. Chiude con un lungo volo pindarico che in sostanza lo porta a chiedere le attenuanti per il particolare valore morale e sociale delle motivazioni degli imputati: in pratica la volontà di migliorare il mondo, di combattere uno Stato ingiusto, una scelta politica sbagliata.

 

Le affermazioni dei Difensori paiono logiche. Tuttavia non mi sembra ci sia niente di nuovo. Non si può parlare di terrorismo perché l'atto non è così grave e non ha colpito persone, per esplicita scelta degli imputati. Volendolo però, non mi pare impossibile interpretare al contrario gli stessi fatti ritenendo che l'atto era un’aggressione che avrebbe voluto creare più danni, mettere in crisi lo Stato, e che avrebbe potuto creare vittime. Adesso comunque sono tutti ottimisti in aula; l'Accusa appare confusa, la Difesa forte, ben strutturata. Ai punti stanno vincendo gli imputati, ma è tutto in mano alla corte. La prossima udienza è lunedì.

 

Ho imparato a non perdermi anche al ritorno, facendo un lungo giro attorno ad aree industriali dismesse, in una periferia semiabbandonata. Lungo il percorso, in due stradine che conducono poi al viale che dal carcere va verso il centro, alcune prostitute africane si spostano con i loro sgabelli da campeggio inseguendo gli ultimi raggi di sole. Nel mio cortile lavora una psicologa che ha operato molto in carcere: “Sai chi sono i clienti di quelle ragazze?”, mi dice, “i poliziotti, principalmente”.

 

 

21 dicembre 2015, ultima udienza

Di nuovo come il primo giorno ci sono un centinaio di persone fuori e una cinquantina dentro. Si entra a gruppi di quattro, in mezzo a carabinieri in tenuta antisommossa. Questi hanno sguardi cattivi, ci squadrano con evidente astio. Prende la parola Maddalena per rispondere alle questioni sollevate dalla Difesa. Ribadisce che il reato rientra a pieno titolo nelle accuse previste per Terrorismo. Inoltre l'azione doveva essere più vasta e solo casualmente non lo è stata; avrebbe quindi potuto essere molto più grave anche per l'incolumità delle persone, in particolare degli operai. Usa termini militari (bombe, fronte...) e fa ulteriori riferimenti ad atti di terrorismo vero, fa battute, cita Jan Palak e Feltrinelli. Maddalena spara poi la sua ultima cartuccia dando la sua interpretazione della famosa intercettazione al ristorante. Secondo lui il ragazzo dice che avevano deciso di non colpire nessuno per giustificare con l'amico il fallimento dell'operazione, ma è una spiegazione ex post, non una scelta precedente al fatto. Non mi pare condivisibile questa ipotesi, tuttavia solleva il problema dell'ambiguità di quell'intercettazione: effettivamente il ragazzo sembra amareggiato per il fallimento a causa di una scelta “pacifista” che non sembra condividere fino in fondo. Tuttavia devo dire che quando l'ho sentita sono rimasto davvero impressionato non dal fatto che non sembrasse così convinto ma al contrario che non esprimesse desideri di violenza fisica contro “gli sbirri”. Il Procuratore chiude in bellezza definendo il movimento NO TAV un grave pericolo per lo Stato democratico: “La democrazia si nutre di conflitto, di confronto, ma non di bombe: non ci sono bombe democratiche!”. Non è l'entità della condanna che conta ma il principio. Qui si tratta di riaffermare la difesa dello Stato democratico.

 

Replica Novaro. Innanzitutto ribadisce che sabotaggio e terrorismo sono fenomeni completamente diversi. E il caso di Feltrinelli, nominato dal Procuratore, è proprio un caso di sabotaggio, in cui muore lo stesso sabotatore ma che non aveva nessuno scopo di produrre danno alle persone. Afferma che è normale che le persone nel cantiere abbiano avuto paura, ma in ogni caso concretamente le molotov non potevano colpirle, a causa della distanza, dunque usare le loro testimonianze di spavento come una prova del concreto rischio per la loro incolumità è assurdo. Circa gli scopi degli imputati, ribadisce che è chiaro che non volessero fare del male alle persone e che nessuno di loro immaginava che si sarebbero fermati i lavori della TAV grazie al loro gesto. Con questa affermazione vuole allontanare il sospetto della volontà di creare grave danno per lo Stato anche se a me pare evidente che, se ne avessero i mezzi, quei ragazzi e forse tutti i loro amici che sono qui, farebbero davvero il possibile per fermare il cantiere per sempre. Lui dice che c'era uno scopo politico, io direi che era principalmente mediatico, il che naturalmente potrebbe includere il famoso danno d'immagine, richiesto dall'accusa di parte civile.

 

In chiusura fa una breve e appassionata critica alla TAV come scelta assurda e illogica, fatta dilapidando i nostri soldi e criminalizzando un intero movimento di protesta fatto di migliaia di persone. “Il terrorismo forse uccide la Democrazia; il conflitto sociale la rafforza”. In sostanza se questo è terrorismo, potrebbe esserlo qualunque manifestazione politica! Intervengono ancora due avvocati della Difesa, che parlano pochi minuti l'uno. Uno dei due ironizza sul Procuratore, sostenendo che vede tutto con gli occhi degli anni Settanta. Ma sono passati decenni da quell'epoca, un'epoca in cui, oltre a Feltrinelli c'erano anche i tentativi di colpo di stato (oltre alle BR, c'erano le stragi di stato, penso io). In questa logica da anni settanta questi ragazzi sono già stati in prigione per parecchio tempo in regime di alta sicurezza. Chiude anche lui parlando di democrazia e citando la sentenza del Tribunale dei Popoli che accusa l'Italia di comportamento lesivo della Democrazia nella repressione contro il movimento NO TAV.

 

Dopo una pausa ci si ritrova tutti fuori. Il clima è rilassato, musica e manifesti, sorrisi complici. Si entra come stamattina a piccoli gruppi. Uno è venuto col farfallino e la bombetta, altri con i fazzoletti NO TAV. La parte di aula dedicata al pubblico è piena, molti rimangono fuori. La mia sensazione adesso è che questo sia davvero un processo storico. O meglio, rischia di diventarlo nel caso che passi l'accusa di Terrorismo. Mi chiedo però chi può avere davvero interesse a stabilire questo precedente. Secondo me è più probabile che venga confermato il primo grado, magari con qualche minima aggravante. In fondo il principale obiettivo, quello di spaventare i NO TAV e accostare nell'immaginario collettivo il movimento al terrorismo è stato raggiunto pienamente. Se n'è parlato molto sui giornali e in TV, si è detto più volte che i NO TAV erano sotto processo per terrorismo; questo resterà nella testa della gente, non la sentenza, che conta più per i quattro imputati che per tutti gli altri. Se però l'accusa passa, non solo il movimento NO TAV ma in pratica qualunque manifestazione organizzata che si risolva con una vetrina in frantumi può essere etichettata e condannata come terrorista. È un passo veramente rischioso. Io dubito che si voglia davvero giungere a questo, che si vogliano suscitare nuove reazioni, nuove repressioni, aggravare il conflitto sociale, imprigionare per anni tutti gli oppositori. Mi pare incredibile, ma forse mi sbaglio. Anche a Genova nel 2001 credevo che sarebbe stato impossibile, quello che poi è accaduto.

 

Dopo quattro ore la corte rientra. Dice tre cose incomprensibili e il pubblico rimane interdetto. Poi piano piano si diffonde la sensazione che abbia confermato la sentenza di primo grado. Sorrisi, abbracci, alla fine anche un applauso agli imputati che escono dalla porta principale. Pure io alla fine tiro un sospiro di sollievo. In fondo è andata bene così. O no?

 

Fuori festeggiamenti e commozione. Ci sono circa duecento persone, guardate a vista da poliziotti antisommossa. Rimango un po' con loro ma adesso che hanno da festeggiare la loro vittoria mi sento di nuovo un estraneo. Vado a casa più leggero, sentendo che in fondo è stata una vittoria di tutti, una vittoria del buon senso e della democrazia.

 

La sera il telegiornale regionale trasmette la notizia per prima, dandogli molto risalto. Due parole dell'avvocato Novaro e qualche immagine dei NO TAV che festeggiano. Ci sono anche io, ripreso in aula col mio amico anarchico: lui con barba e capelli lunghi, io col maglione peruviano, mentre mangiamo una pizzetta, facciamo una splendida figura sulle parole: “il processo è stato seguito da aderenti al movimento NO TAV”! Maddalena è ospite in studio e risponde a 6-7 domande: praticamente cinque minuti interi in prima serata, regalati al vecchio procuratore in cambio della sconfitta legale. Alla fine tutti contenti: i Difensori hanno ottenuto quel che volevano; il Procuratore ha fatto il suo dovere e si è goduto i suoi cinque minuti di notorietà; lo Stato ha spaventato gli oppositori senza però mostrarsi oltremodo repressivo. Rimane nell'opinione pubblica l'immagine di anarchici pericolosi e di un onesto vecchietto che paciosamente ha combattuto la sua ultima battaglia, sconfitto da uno Stato troppo garantista. I ragazzi tornano con calma agli arresti domiciliari. Io torno a casa, con la sensazione di un pericolo scampato. Il mondo non è affatto migliore, da oggi; solo, non è peggiore.

 

 

 

Eric Gobetti (Torino, 1973), storico freelance, studioso di Seconda guerra mondiale e di Jugoslavia nel Novecento, è autore di libri e articoli, tra cui Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943) (Laterza 2013). Ha appena concluso il suo primo documentario: Partizani. La Resistenza italiana in Montenegro (2015) (con musiche di Massimo Zamboni), e sta terminando il docufilm Sarajevo rewind 2014>1914.

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