Oltre Spotify e Deezer
Non sarò certo io a lamentarmi dell’ampia offerta di musica online. Prima che tutto questo avesse inizio occorreva attendere anni anche solo per conoscere la faccia del tuo musicista preferito o per ascoltare un suo disco degli esordi.
La conoscenza della produzione musicale procedeva su binari a dir poco incerti e occasionali. I possibili collegamenti erano affar tuo e degli amici più fidati, con tanto di lacune e lentezze bibliche. Insomma, ci voleva una certa dose di iniziativa e di pazienza. Non che fosse un vero problema, perché non eravamo ancora schiavi di quell’idea totalizzante che oggi governa ogni campo, anche dove non sarebbe necessario.
Tutto o niente. Misuriamo ogni cosa con la possibilità che contenga l’intero universo o che possa fare tutto. Ma un costo di molti o pochi euro al mese (se non la gratuità del servizio) e un’offerta di venti o trenta milioni di tracce sono destinati a infrangersi contro la mancanza di quell’unico brano che avevamo deciso di ascoltare proprio oggi, in questo preciso momento mentre ne parliamo con amici al tavolo di un caffè.
Piuttosto che preoccuparsi di quanto offrono i servizi di streaming musicali online, sarebbe meglio focalizzare le nostre personali esigenze. Se vogliamo un buon intrattenimento musicale, anche piuttosto sofisticato, bastano le molte web radio o una fra le mille fonti disponibili sul web. Non basterà una vita a saziarcene.
Spotify, per esempio, dispone di una proposta musicale impressionante. Certo, se cercate un brano dei Beatles, o di Lennon ed Harrison (non proprio gli ultimi arrivati anche da solisti) ci si imbatte in fior di tribute band e cover misconosciute, ma degli originali neppure l’ombra. Se ne può fare a meno, dirà qualcuno. Ma non trovate neppure Cartography del norvegese Arve Henriksen o Chants of India di Ravi Shankar (grandi album) che invece potete trovare nell’enorme messe di titoli caricati su YouTube (solo audio).
Su Spotify trovate l’esoterico chitarrista John Fahey ma non i Faust di So far né il genio pop dei fratelli Mael, aka Sparks, che pure trovate su YouTube. Qualcosa di più sperimentale? Provate a districarvi fra le pagine di Soundcloud.com, nato con intenti meno generalisti e un profilo più alternativo. Molte le stravaganze in ambito techno, reggae, electro-noise… Ma certamente non tutto, anzi.
Se curiosate su deezer.com trovate tutto il mainstream, un’enormità di Paul Simon ma anche il compositore tedesco Stockhausen (per la musica scritta non serve la disponibilità del compositore, basta scegliere tra le diverse interpretazioni), oppure Scott Walker e buona parte di David Sylvian. Lo svedese Thomas Feiner invece (bellissimo il suo album The opiates, stessa etichetta discografica di Sylvian) non c’è… I limiti di Spotify valgono anche per Rdio: provate a cercare i Beatles o l’intero catalogo di Peter Gabriel e ve ne fate subito un’idea.
Funziona così: se l’artista ha firmato con un cosiddetto aggregatore (una specie di distributore digitale) quest’ultimo avrà interesse a piazzarne la musica ovunque possibile, senza limiti. Se invece l’artista non è obbligato da alcun contratto, il suo catalogo è nelle mani della sua libera e personale iniziativa o in quella dei singoli appassionati, che potrebbero caricarlo su YouTube o altri siti gratuiti.
E con questo torniamo al punto di partenza. Evidentemente, se siamo molto esigenti, non è al singolo servizio che dobbiamo rivolgerci, ma alla rete nella sua progressiva e incontenibile espansione: quanto più resterà aperta al contributo degli utenti, maggiori saranno quantità e varietà dell’offerta. Ogni iniziativa che abbia pure finalità commerciali trova proprio in questa sua vocazione il limite stesso a qualsiasi velleità di offerta completa ed esauriente.