L'ira del Cosmo / Orford Ness, ritaglio di natura

6 Ottobre 2019

The river sweats

Oil and tar

The barges drift

With the turning tide

Red sails

Wide

To leeward, swing on the heavy spar.

 (T. S. Eliot, The Waste Land)

 

Il fiume trasuda 

Olio e catrame 

Le chiatte scivolano 

Con la marea che si volge 

Vele rosse 

Ampie 

Sottovento, ruotano su pesanti alberature.

 (La terra tesolata, trad. di Roberto Sanesi)

 

Sono questi versi di T. S. Eliot che mi sovvengono quando penso a Orford Ness. Nel 1922, nel momento in cui viene pubblicato The Waste Land, Orford Ness era già un luogo cosparso, oltre che di “olio e catrame”, anche di una miriade di sostanze chimiche e di aggeggi militari. Un luogo appartato con campi di aviazione e baracche di ogni genere dove si sperimentavano il paracadute, la fotografia aerea e le tecniche moderne di camouflage. Un luogo dove, dal 1924 in poi, si eseguono test balistici per bombardare in modo più performante, anche a basse altitudini. E dove, dal 1935 al 1937, si inventa il radar. A partire dal 1938 qui si eseguono test di “letalità e vulnerabilità”, inclusi quelli volti allo sviluppo di bombe a frammentazione. Durante la seconda guerra mondiale le sperimentazioni continuano con lo studio dell’aerodinamica di bombe moderne o dell’uso di mitragliatrici sempre più potenti. Questo sito così “comodo” (perché lontano e segreto) risulta ideale ovviamente anche per l’elaborazione delle componenti delle bombe atomiche. E così via…

 

Ecco, tutto questo e molto di più avvenne concretamente a Orford Ness, una striscia di costa triangolare (“ness”) separata dalla terraferma dal fiume Alde, nel Suffolk. Oggi Orford Ness è diventato un vasto “paradiso naturale”. Di accesso complicato e visitato da poche persone alla volta, il lembo mortifero si è trasformato in un ambiente metafisico, dove ciò che si impone è un senso assoluto di vuoto. La topografia piatta crea un orizzonte enorme con, da un lato, un suolo ricoperto da una bassa vegetazione e, dall’altro, un cielo smisurato. Il vuoto della pseudo-isola è in verità pieno di oggetti difficili da decifrare, pure per chi conoscesse la storia militare locale in dettaglio. Questo è il regno di residui di ogni tipo: ferro, pezzi di legno, baracche, elementi di cemento. Vista l’immensità del perimetro, anche gli edifici più grandi scompaiono, come se la natura avesse di fatto ripreso i suoi diritti. 

 

 

Uno dei tanti paradossi di una visita a Orford Ness sta nel fatto che qui non sono gli oggetti ad attirare lo sguardo, ma l’insieme costituito da un enorme spazio da attraversare a piedi. Privo ormai di ogni finalità l’ex-laboratorio “serve” soltanto per far scoprire paesaggi fuori dal comune e talmente estesi da annullare la presenza dell’uomo. La storia del luogo potrebbe far pensare a un “memento mori” reale da esperire ricostruendo i momenti caldi del passato. Però, addirittura gli specialisti venuti sin qui per ritracciare la storia militare del territorio sono attratti dalla peculiarità inusuale di questo paesaggio. In un’epoca nella quale il turismo – forse la più importante attività industriale globale – è soprattutto turismo ‘paesaggistico’, Orford Ness offre l’incontro con un “ritaglio di natura” radicalmente diverso, irreperibile nei paesaggi standardizzati odierni. Il paesaggio è, lo sappiamo, bello, pittoresco, sublime, romantico, bucolico, ecc.; il paesaggio porta sempre con sé un aggettivo, che esprime un’identità o una tonalità legate a un concetto. Questo territorio, con i suoi paesaggi insoliti, sfugge invece alla categorizzazione e non smette di sorprendere, di essere fonte di vere esperienze paesaggistiche. Vi è qui, in altri termini, una bellezza inconsueta, non catalogabile. Questo sublime non è né quello alpino, né quello marittimo, e neppure quello ingegneristico (le infrastrutture sono quasi tutte scomparse). Questo pittoresco non è quello delle rovine romantiche. Da dove proviene allora il potente senso di piacere estetico legato all’esperire Orford Ness? Certo, noi siamo cresciuti con l’Antonioni di Deserto rosso o con il Tarkovski di Stalker. A tratti, a Orford Ness è come se si risprofondasse nell’estetica del brutto espressa dal cinema degli anni ’70 e ’80. Ma il fascino del luogo si esercita pure su chi non possiede tali “chiavi di lettura”. Si potrebbe pensare che aleggi un “karma” paradossale in un sito che da portatore di morte si è trasformato in oasi naturalistica. 

 

Di sicuro la tremenda storia che lo lega ai mezzi di distruzione resta sempre presente. Le tecnologie sviluppate qui hanno servito la “giusta causa” fino alla Battaglia d’Inghilterra. Antropologicamente, comunque, Orford Ness fu un laboratorio di armi di distruzione di massa, usate ben oltre la fine della lotta per la liberazione dell’Europa. Ed è bene tenerlo a mente. 

 

 

Mentre tanfo e grandine e cumuli di guerra

 

Mentre tutto trema nel delirio del clima

e la brama di uccidere maligna inventa inventa

 

Rari sono i luoghi in cui resistere,

luoghi dove Muse si danno convegno

per mantenere l’eco di un’armonia

per ricordarci ancora che esiste il sublime

per riesaltare gli antichi splendori ed accogliere nuove vie di Beltà

 

Raro pur sempre e sepolto nelle selve d’ombra di armi totali

un Luogo: e ora rinasce e tenta difenderci dall’ira del cosmo.

(Andrea Zanzotto, Conglomerati)

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