La borsa della Vergine 

24 Dicembre 2022

L’origine del presente breve scritto sta nell’incontro con un dipinto del Museo delle Belle Arti di Bruxelles. Il quadro, piuttosto noto, è un’Annunciazione attribuita al cosiddetto “Maître de Flémalle”, identificato anche (ma non riconosciuto da tutti) con il pittore Robert Campin. 

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Un dettaglio ha attirato lo sguardo: si tratta di un elemento secondario che non “quadra”, ossia una specie di “borsa”, che appare nell’angolo destro, nella parte inferiore della composizione. L’oggetto, di cui non si evince con certezza se di tipo tessile o in pelle, possiede un bordo rosso e una tracolla verde. Ambedue, il bordo e la tracolla, formano una elegante linea serpentinata. L’elemento misterioso in questione è una “borsa della Vergine”, situata ai piedi della figura femminile. Si iscrive sulla diagonale che parte dagli occhi dell’arcangelo Gabriele e “tocca”, strada facendo, due libri sacri: l’uno, mosso dall’aria che penetra dalla finestra (lo Spirito Santo?), l’altro nel grembo di Maria. Se si mettono in relazione i tomi con la borsa, quest’ultima può essere interpretata come porta-libro, cioè il contenitore di un oggetto di pregio, che sia un esemplare raro o una reliquia protetta da un raffinato involucro. 

Tale preziosità e il collegamento ovvio con le Sacre Scritture e la Vergine stessa sono però in contrasto data l’ubicazione dell’oggetto: sta “in basso”, quasi fuori campo, marginale (la presenza “in basso” è, lo vedremo, topica) e, nello stesso tempo, iper-visibile, proprio perché non collimante nel contesto generale. 

La borsa-contenitore è preziosa quanto il suo probabile contenuto, la Bibbia, che a sua volta comprende tutto. Anche il vaso sul tavolo è un contenitore: qui è riempito di gigli, simbolo della virginità. E lo è pure il vestito di Maria, che contiene il suo corpo. Il materiale tessile avvolge il corpo della Vergine, mentre su un’altra lussuosa stoffa – che sembra un “foulard” uscito direttamente da una collezione Hermès –, poggia il libro. Il dipinto presenta tessuti bianchi (dell’angelo), rossi (della Vergine), verdi (la panca), gialli (il cuscino) e di fantasia (il “foulard”), fino al nero della borsa. Il testo delle scritture e il materiale tessile sono del resto etimologicamente vicini. 

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Nel famoso Trittico di Merode (Met, New York), anch’esso attribuito a Campin ed estremamente simile all’Annunciazione di Bruxelles, su un tavolo quasi identico, si vede un libro poggiato in questo caso, su una borsa molto elegante a due facce: un esterno verde e un interno rossastro. La scrittura esposta sul tavolo appare pure qui come l’oggetto transizionale (vedi Winnicott) tra Gabriele e Maria. 

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Aggiungiamo, prima di proseguire, altri dipinti, sempre fiamminghi, vicini all’Annunciazione del Maestro di Flémalle. Il primo è un quadro del “Maestro del 1499”, che vede la Madonna sul trono circondata da due giovani donne, ognuna con un libro in grembo. Nell’estremità più bassa della composizione vi è di nuovo una borsa, questa volta interamente rossa, anch’essa dotata di un cordoncino disposto con cura sullo sfondo. Di nuovo, la borsa, (porta-libri?) messa al centro del lato inferiore della composizione, sembra voler fuoriuscire dall’insieme. Essa prolunga verticalmente la figura di Maria, sta “sotto di lei”. 

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In una Annunciazione di Gérard David il nostro oggetto riappare, sempre nell’estremità bassa, e anche qui condivide con il vestito della Vergine le pieghettature, ovvero una forma scultorea specifica. Il terzo esempio, ancora un’opera di David, è particolarmente spettacolare. In un interno teatrale una umile Maria è visitata dallo Spirito Santo, nella solita veste di colomba. Mentre sulla sinistra riappare il cliché del vaso con i gigli, ai piedi della Vergine e in posizione estrema ecco un magnifico oggetto rosso.

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Il gioco plastico della superficie parrebbe indicare che abbiamo a che fare con una borsa vuota. Al contrasto potente fra il rosso della sacca e il nero dei cordoni si aggiunge il giallo-oro di una coroncina del rosario, che sembra uscire dalla sacca stessa.

Esiste quindi un sistema all’interno del tema generale dell’annunciazione composto in primis dalla Madonna, poi da uno o due scritti sacri, dal vaso con i gigli, da vari elementi tessili e, in posizione sia periferica (marginale, quasi rimossa), sia privilegiata (nella continuità verticale o diagonale di un agente sacro o di un libro sacro), una borsa. 

Da Robert Campin l’ubicazione della Vergine è in uno spazio diverso dalla tradizione consolidata: l’annunciazione non ha luogo all’esterno e neppure in uno spazio modesto. La scena avviene, al contrario, in un interno ricco e borghese, occupato da suppellettili. La presenza materiale – vestiti, “foulard”, cuscino, copri-panca e borsa – è dominante. Come risaputo, le Fiandre e in primo luogo la città di Bruges sono, nel Quattrocento, uno dei più importanti centri di produzione manufatturiera d’Europa. Il quadro devozionale di Campin appare in questa luce quale una formidabile vetrina in cui esibire stoffe preziose, mobili eleganti, nonché una borsa lavorata con grande cura, che non è l’abituale cul de villain dei maschi. Se questa Annunciazione è uno showroom, allora la dimostrazione degli oggetti esibiti funziona pure sul piano psicologico. Mostrare questi oggetti a portata di mano della Madonna, è un modo di renderli interessanti, o meglio, desiderabili. 

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La stoffa su cui poggia il libro, i vestiti di Maria e di Gabriele, l’elegante cuscino, la borsa misteriosa – tutto ciò diventa potenzialmente un objet du désir perché esposto all’interno di un dipinto che celebra, per la fede cattolica, il momento fondante della storia umana. Quanto di più sacro si mescola con oggetti profani di gran pregio decorativo. 

Allargando ancora un po’ il nostro corpus l’operazione di réclame all’interno di un’opera religiosa sembra aver avuto successo: nel trittico di Jean de Witte, capolavoro del “Maestro del 1473”, sempre fiammingo, la moglie del committente è ritratta sulla destra.

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Vestita con estrema raffinatezza, ingioiellata, con un copricapo dal sottile velo e i capelli alla moda, la donna penetra l’hortus conclusus della Vergine, della quale riprende l’umile posa. Solo che nel frattempo la Signora de Witte ha fatto shopping e ha con sé proprio una borsa come quella delle annunciazioni fin qui analizzate. Si tratta di una borsa molto più autonoma, non più collegata a un libro sacro. È posata al suolo e simbolicamente “occupata”, e perciò protetta, da un elegante cane. Torniamo ora all’idea dello showroom, cioè al fatto che le borse con la Vergine (o della Vergine) appaiono in dipinti che fungono da amplificatori per un elemento tutto sommato secondario. Il fatto che un prodotto lussuoso debba contare, per sedurre, sull’economia psicologica del desiderio, contrasta radicalmente con una situazione e una protagonista che sono agli antipodi di qualsiasi genere di desiderio. La verginità genetica di Maria la sottrae al regno del desiderio (la fiamma della candela è spenta), del piacere e dell’impuro (tutto qui è limpido, asettico, come la piccola scopa appesa al muro). Fermarsi qui, alla scena vista mille volte che sacralizza la madre di Gesù, significherebbe però scordare la dimensione empatica, che collega il credente con la Donna per eccellenza, e quindi con una persona agognata. Uno degli aspetti o motori del Marianismo è legato, in altre parole, proprio a ciò che sta “sotto” questa storia, cioè, alla sessualità della Vergine. La scena, in cui addirittura la materialità delle stoffe si fa sensuale e che celebra in tutti i modi la verginità (come fonte di salvezza per il mondo dopo l’amplesso fatale e malaugurante di Adamo e Eva) illumina un nodo centrale: la sessualità rimossa di Maria. L’idea hegeliana della bestimmte Negation, di ciò che potremmo chiamare la “dialettica della negazione”, ricorda che la negazione è caratterizzata dal paradosso di mettere in luce e valorizzare l’oggetto negato. Ciò che non ha avuto luogo , nel grembo di Maria (saldamente protetto dalle Sacre Scritture), rammenta che tale esiste comunque. La “borsa di Maria” in quanto “sesso di Maria” potrebbe quindi essere l’organo spostato “in basso” ed espulso (non ne ha bisogno), la borsa magnifica e mai riempita. Tutte le borse del nostro piccolo corpus sono vuote e dimostrativamente inutilizzate. La borsa vaginale dalla struttura a pieghe è il sesso-non-sesso della Vergine, ossia quell’organo unico, che il concepimento immacolato di Gesù intende spiegare e far ammirare. 

Questa linea interpretativa può essere beninteso criticata come un anacronismo post-freudiano, se non fosse che, durante il medesimo periodo storico si discute, e questa volta in sede teologica e non per motivi psicologici, una problematica intrinsecamente connessa al nostro soggetto. Il dogma della verginità perpetua di Maria sostiene, come sappiamo, la verginità prima, quella in partu, e quella dopo. Interrogativi come: in che modo il figlio di Dio prese forma senza intento umano? come pose lo Spirito Santo Gesù nel corpo di Maria, che si limitò a nutrirlo? Gesù fu formato soltanto una volta all’interno di Maria (come pretese Buonaventura di Bagnoreggio)? e svariati altri aspetti, come la concezione per aurem, furono l’oggetto di un dibattito assai vivace, specie tra Francescani e Domenicani. Questa materia ecclesiastica e tutto sommato “tecnica” interessa però solo fino a un certo punto. Quel che importa di più, anche vista l’immensa popolarità delle annunciazioni, è il fatto che con la “sessualità zero” della Vergine è la sessualità in generale a diventare il tema del giorno. L’annunciazione rappresentata (già di per sé un progetto ossimorico) serve, specie durante il Quattrocento, come il medium che permette di parlare in maniera eclatante e del tutto nuova di sessualità e anche – la precisazione è d’obbligo – di controllarla. L’immacolismo in auge, insieme all’umiltà topica della Vergine Madre, è inoltre un modo di indicare la relazione della donna con la sua parte genitale. La borsa è il risultato di un transfer e “incarna”, per così dire, qualcosa che riguarda l’identità corporea e sessuale non soltanto di Maria, ma di tutte le donne. Per sua forma e struttura appare come l’oggetto ideale atto a simbolizzare la femminilità. 

Oggi la cosa pare evidente, addirittura in senso statistico (una maggioranza di persone femminili sceglierebbe proprio la borsa come oggetto rappresentativo). Viene in mente, per indagare le ovvie implicazioni sessuali, la borsa chiusa, tenuta stretta contro il corpo, in Marnie, un film di Hitchcock sulla difficile trasformazione di una frigida cleptomane, che ha subito un trauma di origine sessuale, in una sposa dotata di libido. 

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La borsa chiusa di Marnie è la materializzazione di un Noli me tangere moderno, dovuto a una ferita “interna”. Esiste dunque una costruzione sociale e semiologica della femminilità, un processo che si basa, almeno in parte, sull’esistenza di alcuni oggetti-chiave, come appunto la borsa. A prima vista, il messaggio di un dipinto del genere “annunciazione” potrebbe essere riassunto dallo slogan “casti e felici”, oppure “felici perché casti”, con la Vergine assurta a modello assoluto. La base di una sessualità azzerata, che produce comunque un frutto, resta un mistero, qualcosa di impensabile che travaglia le coscienze religiose del secolo XV, e non solo. Mostrando grazie alla borsa-feticcio ciò che va protetto a ogni costo, il dispositivo artistico conferisce a quella parte del corpo un valore ineguagliabile. La giovane aristocratica fiamminga de Witte appare, in questo senso, già come una seguace di Maria: la sua borsa preziosa viene difesa allegoricamente da un levriero, cioè da un agente capace di agire con forza per preservarla. Da porta-Bibbia, la borsa si è trasformata così in un oggetto che riguarda l’intimo femminile, ma pure in qualcosa che può essere immaginato, desiderato, conteso. 

Nell’Annunciazione di Jan de Beer (1520) la borsa contiene sempre le Sacre Scritture ma anche Gesù stesso, “JHS” (le lettere sono ricamate sulla borsa con filo dorato), per il quale serve da matrice. Cosa “diceva” un tale dipinto all’epoca a una donna e cosa a un uomo?

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