Persona, posizione, forma, cambiamento

11 Marzo 2012

 

Oggi è il mio primo giorno come ospite del Dheisheh Camp. Abiterò temporaneamente nella guest-house del Centro Culturale Al-Feniq, centralità simbolica e operativa del campo, in attesa di spostarmi nuovamentein un’altra quotidianità Refugee. Nel frattempo si sono aggregate due figure chiave di questo progetto: Yasser Hem’dan, Project Administrator, e Vivien Sansour, Project Coordinator. Giorno per giorno assistiamo alla genesi di Campus in Camps dove le competenze e le osservazioni dei nuovi arrivati offrono ulteriori elementi di avanzamento.

 

Ho dedicato le prime due settimane al disegno degli arredi e abbozzando una numerosa serie di segni in grado di trasformarsi in un logotipo. Per le opere, interamente in legno MDF e multistrato, il percorso è stato svelto e divertente. Da tempo non entravo nel mondo del design su misura e, benché semplici e funzionali, devo dire che siamo tutti piuttosto contenti che i componenti siano interessanti nella modalità d’uso e allegri nei colori, compatibili con l’economia di progetto.

 

 

Alcuni disegni del dossier con le annotazioni tecniche.

 

Dalla gara d’appalto è uscito vincitore George Elia Antoni (nome translitterato), un carpenter di Bethlehem che si distingue per essere l’unico artigiano a perseguire un design attuale e libero da retaggi folkloristici. Una persona energica, pratica e generosa. Ho l’impressione che mi divertirò e imparerò molto seguendolo in officina. Sarà la prima persona che intervisterò per registrare una prima rappresentazione di cosa significhi lavorare in questo contesto, con una visione contemporanea.

 

Segno e simbolo. Quali differenze? Con questo domandone ho presentato ai 15 partecipanti le prime prove di logotipo, esercizio di “filosofia visiva”soprattutto in questo caso dove i contenuti da intercettare, molteplici e complessi, animano ardentemente le soggettività all’interno di un discorso comune. Preferibile quindi l’idea del segno che, a differenza dell’urgenza simbolica, lascia viaggiare l’occhio alla ricerca di immaginari aperti e ridefinibili come l’idea di cittadinanza che si porta appresso.

 

Prima del confronto collettivo, sono rimasto per un’ora e mezza in ascolto di una lezione di Arab composition, una materia che riguarda l’espressione scritta e orale in arabo, partendo dal libro Orientalism di Edward Said. Interamente tenuta in arabo, è stato strano ambientarmi in una simile tecnologia comunicativa, adattarmi ad un paesaggio verbale senza conoscere che poche, striminzite parole. Ma il non verbale è altrettanto potente, capace di trasmettere, dicono gli esperti,almeno il 60% del contenuto. Non è stato difficile capire che non era una lezione, ma un dibattito aperto, franco, elegante e vivace sulla questione dell’identità e dei cliché sul mondo arabo. Ho agganciato poche parole internazionali come Micky Mouse, Apple, Steve Jobs, Romania… e una parola in arabo che credo significhi“esatto” e suona b’sapt.

 

Mi sono confrontato quindi con i Campers, ricevendo esiti inaspettati. Per esempio che un segno a mio avviso di sapore “arabo” fosse a loro distante perché apparentemente… “cinese”. Oppure che un mio disegno, teoricamente riuscito e risolutivo, sembrasse il logo di una compagnia di gelati israeliana, decretandone un’inevitabile esclusione dalla gara (a questo link i loro commenti).

 

 

Commenti aperti sulle proposte.

 

Mi hanno quindi chiesto: “can we draw something by our own?”. Of Course. Una possibile co-creazione sospinta da necessità comuni e non da un esercizio di progettazione partecipata. Auto-coinvolgimento vs cooptazione coercitiva: con questo intendo dire che Campus in Camps è uno spazio loro, non vuol essere una scuola ma un luogo del confronto dei saperi o, come la spiegherebbe Munir Fashi, uno dei relatori di questo percorso, The House of Wisdom. Una Casa della Sapienza. Vi assicuro che ogni appuntamento a cui sono stato presente mi è sembrato, più che una lezione appunto, un’assemblea stimolata dai temi proposti dai “docenti”.

 

Come posizionarci dunque? Non siamo trasparenti. Il bisogno di un’immagine che in breve tempo affiancasse i supporti ufficiali ci ha fatto scegliere un’altra strada,forse non troppo influenzati dalle loro suggestioni oneste ma acerbe, in ogni caso indicative di un richiamo all’essenzialità. Mi sembra un buon compromesso tra un “ascolto assorbente” e un mandato professionale indubbiamente utile ai partecipanti.

 

Due C si connettono in un movimento infinito e circolare, generando un “terzo spazio”.

 

Per il sito web, abbiamo individuato fra molti un modello di interfaccia estremamente vicino alle nostre necessità. E si tratta neanche a farlo apposta di un disegno affettivamente a me molto prossimo: ne sapete qualcosa? Credo di sì… Da questo framework partiremo per adattarlo alla specificità del progetto. Sul tema digitale ho aperto a quei Campers interessati all’argomento la possibilità di lavorare fianco a fianco. Un tema importante dar vita ad una redazione co-curata da loro per la gestione della comunicazione.

Se voleste venire a trovarci, in questo calendario online trovate tutti gli appuntamenti, aggiornati in divenire.

 

Ps: la cittadinanza mobile di Re:Habitat sta funzionando… ho ricevuto da voi suggestive alternative sul design e una solida base logistica dallo studio,impressioni a caldo sul logo, proposte di approfondimenti tematici e nuovi indirizzi di rete. A presto, per affrontare il tema della residenza.

 

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