Questioni di gender, questioni di etica?
Il dibattito piuttosto triste e banale che anima in questi ultimi tempi l’arengo delle questioni relative all’identità sessuale e di genere ha – bipartisanamente – una caratteristica comune. Che scaturisca dalla parte più baciapile e ideologica di una certa chiesa cattolica o che venga dall’empireo del post-femminismo bagnato nelle acque queer, la parola etica abbonda e deborda. Sembra che non si possa parlare di queste faccende senza mettere in campo la morale. L’idea che gli omosessuali siano più etici degli eterosessuali, basandosi sul fatto che tra “eguali” c’è più equità farebbe rizzare le carni ad Aristotele. Nell’Etica a Nicomaco il nostro si spende ampiamente per dimostrare che l’amicizia perfetta non è quella tra eguali e che ci possono essere molte altre forme di amicizia che presuppongono la differenza. Quello che il nostro però non sopporterebbe è la riduzione dell’etica a morale che “prescrive” e giudica”.
Altrove – ma evidentemente in Italia è inutile scrivere libri sul gender – su Modi bruschi. Antropologia del maschio (Elèuthera) e Il punto G dell’uomo (Nottetempo) ho detto, a partire dall’esperienza che le discipline antropologiche con la vasta gamma di lavori “sul campo” raccontano, che l’avere messo la questione delle identità sessuali in una dimensione politica ne ha distrutto qualunque senso. L’idea tutta cattolica che si è più di sinistra se si fa l’amore in un certo modo e con certe persone è la traduzione del politichese in un campo che richiederebbe moltissima delicatezza. Una delle conquiste dell’omosessualità è avere sgombrato questo campo dalla morale. Fare l’amore non significa impegnarsi eticamente per qualcosa, ma godere della vita nella sua radice più immediata. Cosa che gli eterosessuali hanno dovuto dimenticare. Ogni accenno all’amore libero tra etero viene guardato come “exploitation”, oggettivazione dell’altrui corpo, uso improprio della sessualità e relegato alle stranezze di “tinder” e delle ammucchiate adolescenziali. Con conseguente demonizzazione e distruzione del desiderio. Nel Punto G dell’uomo ho raccontato che proprio l’idea che gli uomini siano “sempre” sessualmente dei maiali alla fine ha dato al loro desiderio una nicchia demonizzata ma almeno maledetta e l’ha salvato dalla sacramentalizzazione del desiderio femminile che comunque sia è “etico”. È singolare che decenni di femminismo e oggi di discorso queer debbano finire per sorreggere l’edificio pericolante della morale cattolica sul sesso. Come se non ci si potesse salvare dal subordinare qualunque pratica sessuale e qualunque identità sessuale a una finalità etica, politica, religiosa. La vittima sacrificale di questa battaglia tra benpensanti è non solo il vecchio “libero amore” tanto bistrattato, ma la dignità che le identità sessuali costruite nei secoli hanno.
Confondere “dominazione sessuale” con “identità di genere” implica una grande ignoranza della fenomenologia delle identità di genere. Ci sono culture in cui la “dominazione maschile” non è prevalente e altre in cui il potere tra diverse identità viene negoziato continuamente. L’idea che la dominazione maschile sia un universale è altrettanto antipatica quanto quella che l’identità femminile sia inferiore e puzza di “essenzialismo” (di cui si è macchiato, ahinoi, perfino Bourdieu per fare un omaggio al femminismo). Comunque il dibattito attuale non mi sembra abbia alcuna voglia di diventare serio e profondo, sembra un discorso da caffè, che sia un parroco a farlo o una militante delle nuove identità sessuali. Quello che tale dibattito trivializza è proprio quel valore della differenza che una parte del femminismo e perfino del pensiero queer si è tanto battuta per affermare.
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