Rapito: Bellocchio e il demone della conversione
È un viaggio nelle zone d’ombra della nostra Storia, il cinema di Marco Bellocchio. Penso a Il traditore (2019) e soprattutto al monumentale Esterno Notte (2022). Ora, con Rapito, appena uscito nelle sale dopo il passaggio al Festival di Cannes, Bellocchio raccoglie sentimenti ed emozioni che scaturiscono da una storia lontana, e forse anche dimenticata.
Esterno notte, racconto dei giorni di prigionia di Aldo Moro, era un film inevitabilmente claustrofobico, soffocante. In Rapito lo spazio chiuso, anch’esso soffocante, degli ambienti ecclesiastici, la plumbea sacralità dei riti religiosi, viene scossa dalle immagini, bellissime, dell’ingresso dei bersaglieri a Roma attraverso la breccia di porta Pia. Crollano le mura, si smuovono i confini, inizia, per l’Italia, l’avventura unitaria. Sono immagini che appaiono distanti dalla consueta elaborazione visiva del cinema di Bellocchio. Quel convulso movimento di corpi, quasi una danza, rompe la stasi mortifera in cui versava la Chiesa, che tuttavia non riconosce la novità chiudendosi nei suoi palazzi, stordita nel suo delirio dottrinario. Porta Pia resterà a lungo una ferita profonda, e forse mortale.
In Rapito, prendendo liberamente spunto dal libro di Daniele Scalise Il caso Mortara, Bellocchio fa emergere dall’oscurità dell’oblio la storia di Edgardo Mortara, il bambino ebreo che nel giugno del 1858, all’età di 7 anni, viene sottratto alla famiglia per ordine del Santo Uffizio bolognese con la legittimazione del pontefice Pio IX. Inizia così una vicenda drammatica che avrà risonanza internazionale. Se ne occuperanno capi di stato e persino la stampa americana. E la vita della famiglia Mortara verrà stravolta.
Nel 1858 manca poco alla fine dello Stato Pontificio e del suo potere temporale. Le gerarchie ecclesiastiche sembrano non accorgersene, graniticamente indifferenti al desiderio di cambiamento che, a partire dal 1848, si è andato manifestando nell’intera Europa. La scena sociale e politica è in subbuglio, mentre la chiesa romana è arroccata in se stessa per difendersi dall’inesorabile avvento della Modernità.
C’è un passaggio del film di Bellocchio che fa capire la portata di questa strenua autodifesa. “Dicono che sono reazionario, ma io sto fermo, è il mondo che si muove verso l’abisso”, dice il papa rivolto al suo seguito (Pio IX ha il volto di uno straordinario Paolo Pierobon, fluttuante tra benevolenza e crudeltà).
Nel 1858, l’anno del rapimento di Edgardo Mortara, Pio IX è pontefice da oltre dieci anni, e lo sarà per altri venti. Nel 1870 convoca un concilio, che verrà interrotto dall’ingresso delle truppe italiane a Roma. Ma farà in tempo a sancire il dogma dell’infallibilità del papa in materia di fede, e quello dell’Immacolata Concezione. Non tutti i padri conciliari sono d’accordo, ma Pio IX non demorde. L’uomo è ostinato, e soprattutto è convinto di avere una missione da compiere: salvare l’umanità, che, per lui, non può essere che cristiana. La Chiesa fa centro su se stessa, lasciando fuori il mondo. Si protegge, mette al sicuro il patrimonio delle proprie verità, che spesso suonano lontane dalla predicazione evangelica.
Un altro passaggio di Rapito: il papa è a pranzo con i catecumeni, tutti bambini attorno agli otto anni. Tra questi c’è anche Edgardo Mortara, calato nella sua nuova identità di cristiano. I due si guardano a lungo. “Oggi – dice il papa – è stata una bellissima giornata. Ho voluto festeggiare con voi la festa dell’Immacolata Concezione”. Fa una piccola pausa, poi chiede: “Qualcuno di voi sa dirmi che cos’è un dogma?”. I bambini tacciono, nessuno di loro sembra saperlo. È Edgardo Mortara a rompere il silenzio, Edgardo conosce la risposta: una formula che pare appena imparata. Dice tutto di un fiato: “Il dogma è una verità di fede, in cui si crede, senza fare domande, senza discutere, perché viene direttamente da Dio”. Il papa è soddisfatto: “Bravo Edgardo, mi sei costato caro, ma mi hai ampiamente ripagato”.
È costato caro al papa e alla Chiesa il rapimento di Edgardo Mortara. Ha fatto scalpore. Ma non si può tornare indietro. La dottrina, indifferente alle umane vicende, non lo consente. Non ci sono eccezioni. Chi ha ricevuto il sacramento del battesimo non può essere educato in una famiglia di non-cristiani. E Edgardo ha ricevuto il battesimo dalla domestica di casa Mortara, che, di sua iniziativa, ha battezzato il bambino credendolo in fin di vita. Ma il bambino era soltanto malato, come dichiarerà il medico di famiglia al processo aperto un anno dopo i fatti. La testimonianza della domestica risulterà poco attendibile, eppure neanche questo basterà a restituire Edgardo alla famiglia, che non ha mai smesso di reclamarlo. Ma c’è davvero stato quel battesimo che agli occhi di Pio IX giustificava il rapimento?
La “conversione” è il demone che guida l’azione della chiesa di Pio IX. I non-cristiani rappresentano un’anomalia, e vengono malamente sopportati. L’incontro tra la comunità ebraica romana e il Pontefice è l’incontro fra sudditi sottomessi e maltrattati, esposti agli arbitri del loro re. “Offrire regali in cambio di offese, – ha scritto Maurizio Molinari commentando il film di Bellocchio su “La Repubblica” – subire il disprezzo e dover ringraziare, essere alla costante mercé di un potere nemico, doversi sempre scusare per il solo fatto di essere ebrei”.
Le cose però si complicano, e Rapito segue da vicino il cedimento della coscienza di Edgardo Mortara, la sua “conversione”. Il piccolo ebreo, che nel 1858 era uscito dalla sua casa di Bologna invocando il nome della madre, dopo anni di rieducazione è diventato un “soldato di Cristo”, secondo l’auspicio di Pio IX. E quando il fratello maggiore Riccardo, entrato a Roma con i bersaglieri, lo incontra per riportarlo a casa, Edgardo si rifiuta di seguirlo: “Questa è la mia casa”, dice con fermezza, “la vera famiglia di Cristo”, scriverà nel suo diario.
Qualche anno dopo, Edgardo verrà ordinato sacerdote, e si adopererà per convertire gli ebrei. Lo farà anche nei confronti della madre ormai giunta alla fine della sua vita. Vorrà convertire anche lei, che, poco prima dell’ultimo respiro, troverà la forza per dire: “Sono ebrea e voglio morire da ebrea”.