Simondon: immagini senza sguardo
Questa è l’epoca della visibilità, pervasa e dominata dalle apparenze in tutti i suoi livelli, da quelli materiali, tecnici ed economici a quelli culturali, spirituali ed esistenziali. Oggi più che mai tra l’Essere e l’Apparire non c’è più contrapposizione ma identificazione: l’Essere è l’Apparire, e il secondo detta le condizioni e i modelli per l’esistenza del primo. Per esistere bisogna apparire; un’esistenza senza apparenza sarebbe così insignificante e anonima da preferire perfino di non essere: chi non appare non esiste. Tutto è immagine, l’immagine è tutto. Oggi come mai nel passato si produce e si diffonde una quantità incommensurabile di immagini di ogni tipo, da quelle realizzate manualmente con mezzi e materiali tradizionali a quelle prodotte con tecnologie avanzate come quelle digitali. Le immagini esercitano innumerevoli funzioni in ogni settore e ambito della vita sociale, dalla ricerca scientifica all’economia e alla comunicazione, dalla medicina alla progettazione alla produzione di qualsiasi oggetto, dal design, all’architettura, dalla pittura alla grafica, dalla fotografia al cinema. Con l’avvento dell’era digitale l’immagine raggiunge un nuovo statuto: da oggetto bidimensionale di contemplazione e fruizione visiva diventa medium agentivo, strumento operativo e perfino milieu, ambiente virtuale in cui l’osservatore può entrare, immergersi e muoversi al suo interno.
In ogni civiltà l’invenzione delle immagini, in tutte le sue molteplici forme, ha contribuito in modo determinante al progresso dell’umanità. Tuttavia, inspiegabilmente, definire cosa sia un’immagine non sembra essere una nozione ai più chiara, anche perché, diversamente da quanto comunemente si è disposti a credere, non è affatto semplice esplicitare una risposta esaustiva, come presto vedremo. In primis si dovrebbe cercare di definire se la natura dell’immagine sia eminentemente visiva, mentale o fisica. La definizione dell’immagine è un compito che ha impegnato le migliori menti fin dalla nascita della filosofia da Democrito a Platone, da Aristotele a Lucrezio, da Dante a Leon Battista Alberti, da Witelo a Cartesio, da Schopenhauer a Husserl … tanto per indicarne qualcuna. Negli ultimi decenni del secolo scorso alcuni studiosi hanno riproposto il tema suggerendo nuove metodologie di approccio.
Gottfried Boehm, autore di La svolta iconica (Meltemi, Roma 2009) pone una netta distinzione tra picture e image, indicando che per picture si deve intendere l’immagine fisica nelle sue componenti materiali, mentre il termine image deve essere riferito a ciò che attiene alla natura visiva dell’immagine; la picture si può appendere al muro, bruciare, incorniciare, … mentre l’image no, può essere soltanto vista, ricordata o dimenticata.
Anche W.J.T. Mitchell, un protagonista americano del visual culture, nel suo Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale (Cortina, Milano 2017), ha proposto una tassonomia più analitica della precedente, differenziando le immagini grafiche (tutti i generi di pittura, scultura e disegni) dalle immagini ottiche (tutti i casi di riflessioni speculari e proiezioni); le immagini percettive (quelle retiniche e le apparenze) dalle immagini mentali (quelle oniriche, fantastiche, mnemoniche); comprensiva anche delle immagini verbali, come le metafore o le descrizioni ecfrastiche.
Altri studiosi si sono cimentati nella compilazione di tassonomie sempre più articolate e distinte per piani: ottico, fisiologico, mentale, fisico, materico … Un importante psicologo americano James J. Gibson nel suo Un approccio ecologico alla percezione visiva (Il Mulino, Bologna 1999) ha individuato dieci categorie di immagini, che qui non descriviamo per ragioni di spazio.
Una sistemazione ancora più estesa delle svariate declinazioni a cui il concetto di immagine può essere riferito è stata tematizzata dal filosofo francese Jean-Jacques Wunenburger nel suo Filosofia delle immagini (Einaudi, Torino 1999) con l’intento di comporne un esaustivo atlante, in cui vengono analizzate e descritte numerosissime categorie: immagini visive, motorie, verbali, mnesiche, inconsce, materiali, simboliche, analogiche, mistificanti, alienanti, sacrileghe ecc.
Il dato comune di tutte queste classificazioni è che le immagini siano tutte riconducibili ad un’unica origine, quella ottica e che siano il prodotto finale del processo visivo. Sulla base di questa convinzione si regge anche la certezza che le immagini siano degli “oggetti eminentemente visivi e visibili”, che si esperiscono per via visiva; che, in definitiva, in qualche modo, siano comunque “oggetti” da vedere.
Questa conclusione sembra dare credito all’assioma che le immagini esistano solo per gli occhi e soltanto se vengono viste. Non si danno immagini invisibili o che possano prescindere del tutto dal sistema visivo. A “prima vista”, mai ci fu occasione migliore per dirlo, la perentoria apodissi ci rassicura al punto da farci abbandonare ogni proposito di possibili confutazioni.
Tuttavia, questa logica argomentativa ci porta a escludere che l’immagine mentale possa avere una ontogenesi differente. Alcuni autori, invece, ritengono che essa non sia soltanto indipendente dal sistema visivo, ma che detenga anche un singolare primato, quello di proto-pre-immagine: l’immagine prima e primordiale. Uno di questi autori è Gilbert Simondon, un importante filosofo francese del secolo scorso, del quale è stato tradotto di recente in italiano un testo molto importante e illuminante (Immaginazione e invenzione 1965-1966. Mimesis, Milano 2022). Il filosofo descrive una vera e propria genealogia delle diverse categorie di immagini. Individua quattro stadi o cicli genetici, ciascuno dei quali risponde a specifiche finalità evolutive e cognitive. Simondon teorizza che il primo livello di questa genealogia si ha con la formazione di una particolare immagine mentale, quella generata da un fascio di tendenze motorie che prefigurano l’anticipazione dei movimenti di un organismo nel suo ambiente. In questo primo stadio ontogenetico, che può essere definito biologico o vitale, l’immagine si costituisce come l’embrione di un'attività motoria che si sviluppa da sé, sotto forma di un'anticipazione non controllata da alcun riferimento esterno, né dall'esperienza allo stato libero dell'ambiente, vale a dire senza alcuna correlazione con altri sottosistemi dell'organizzazione psichica. È questa la fase in cui, in relazione con i coordinamenti ereditari dei movimenti, mostrati dagli studi di etologia, si forma l'immagine anticipatrice ricca di elementi motori endogeni, che precede la fase in cui l’organismo inizia a fare esperienza degli oggetti esterni e del proprio ambiente di vita. È del tutto evidente che, così intesa, questa categoria di immagine mentale possieda uno statuto speciale che merita di essere approfondito: cosa che promettiamo di fare quanto prima.
Soltanto in un momento successivo all’azione motoria dell'organismo e anche grazie ad essa, si viene a formare un sistema di ricezione di segnali che daranno luogo alla formazione di una nuova categoria di immagine inerente all’incontro con gli oggetti esterni e l’impatto con le caratteristiche fisiche dell'ambiente: l’immagine percettiva o immagine a posteriori. In questo livello secondario, che può essere definito anche psicologico, la formazione dell’immagine sollecita una partecipazione più specializzata del sistema nervoso che coinvolge anche processi psichici come la motivazione, il desiderio, il bisogno che connotano sul piano emotivo e affettivo l’incontro con l’oggetto.
Il terzo livello dell’attività dell’immagine Simondon lo definisce formale e riflessivo in quanto esplica, dal punto di vista soggettivo, delle corrispondenze, non solo analogiche, con le componenti dell’ambiente. L'immagine percettiva, arricchita di apporti cognitivi, entrando in risonanza con le dimensioni affettive ed emotive del soggetto promuove la formazione dell’immagine simbolica, il cui senso e funzione trascendono del tutto l’esperienza sensoriale del mondo fisico.
L'universo dei simboli formati interiormente tende nel tempo a una saturazione dei significati la cui densità semantica accende l’attività psichica di particolari processi, come quelli dell’intuizione e dell'invenzione, meccanismi molto potenti capaci di spillare da un crogiuolo di immagini risposte immediate alle pressanti e sempre nuove problematiche evolutive, cognitive e progettuali che ogni specie affronta nel suo cammino.
Ma torniamo al primo stadio, alla tipologia di immagini biologiche anticipatrici del movimento in cui la predominanza degli elementi motori primari è strettamente connessa al fatto che nello sviluppo della specie, come in quello degli individui, la motricità precede sempre la sensorialità.
L’intensità di questa anticipazione a breve termine può variare con il livello della motivazione fino a dare luogo a una forma quasi allucinatoria di apparizione dell'azione; anche in tal senso, dice Simondon, si può parlare di immagini a-priori. La definizione, presa in prestito dalla Critica della ragion pura di Immanuel Kant, viene utilizzata dal filosofo francese per indicare una classe di immagine il cui statuto ontologico è quello di un ente inottico e non visibile. Cerchiamo di spiegare perché. Ciò che permette a un organismo di cercare cibo, ripararsi, accoppiarsi, allontanarsi o avvicinarsi a qualsiasi cosa è l'azione motoria, innescata dall'immagine a-priori dell’anticipazione endogena; un’immagine biologica, infrapercettiva che si forma all’interno dell'organismo, il cui contenuto è esclusivamente motorio. Nell'anticipazione l'immagine a-priori assume i tratti di una intuizione motoria o di uno schema di proiezione che parte spontaneamente dal sistema nervoso centrale e si irradia verso la molteplicità delle situazioni; per molti aspetti è assimilabile a ciò che Henri Bergson definiva élan vital, slancio vitale. “Le immagini a-priori sono differenti dai concetti in quanto sono degli a-priori che consentono l'inserimento dell'essere vivente nel suo ambiente e non sono i risultati di un'esperienza induttiva, cioè costruzioni a posteriori che riassumono l'esperienza.” Prima di ogni azione, prima che si compia un qualunque movimento, l'organismo li anticipa con pattern innati di coordinazioni ereditarie preesistenti che, in rapporto alla situazione, fungono da progetto, da spinta e da guida per il loro compimento. Simondon lo spiega precisando che “la fase tetica, quella cioè che precede l'esperienza, traduce la spontaneità dell'organismo e la preesistenza di un'attività di anticipazione che si dispiega anteriormente all'esperienza. L'esperienza è già la fase antitetica che corrisponde alla relazione più serrata tra l'organismo e l'ambiente.”
Nell'esperienza sensomotoria queste immagini biologiche rispondono in modo funzionale all’esigenza di organizzare e stabilizzare la relazione dell'organismo con l'ambiente. Esse determinano un vero e proprio mondo mentale al cui interno si suddividono delle regioni, dei domini o dei punti qualitativi, nei quali il soggetto organizza un analogo dell'ambiente esterno, una sorta di topologia delle modalità di accesso. “L'anticipazione motoria delle condotte avviene in virtù dello sviluppo endogeno e l'organizzazione dei movimenti nel corso dell’ontogenesi non è una sequenza di reazioni, ha le sue leggi specifiche che non derivano dalla percezione e non dipendono dall'influenza dell'ambiente. Questa realtà autonoma delle condotte virtuali è una base organica di anticipazioni e costituisce una delle basi delle immagini motorie.” Le immagini biologiche a-priori del primo stadio chiamano alla partecipazione tutto l’organismo come mezzo di attualizzazione in stretta inerenza con lo schema corporeo, ovvero con la rappresentazione che ciascun organismo si fa del proprio corpo e che costituisce un punto di riferimento costante nello spazio, assolutamente imprescindibile per la vita di ogni specie. In un secondo momento lo schema corporeo integra anche i dati sensoriali di diversi ordini, da quelli esterni e oggettivi a quelli propriocettivi, anche se la fonte primordiale dell’a-priori delle immagini motorie rimane unicamente l’organismo. Queste immagini sono a tutti gli effetti delle intuizioni della realtà: ogni anticipazione, infatti, comporta sempre la forma di una proiezione nell'ambiente degli schemi motori che si irradiano a partire dallo schema corporeo dell’organismo.
Il testo di Simondon ci spiega e documenta in modo convincente che esiste, quindi, una vera e propria base biologica dell'immaginario, che anticipa l'esperienza dell'oggetto e la formazione della sua immagine visiva.