Speciale
“Stop killing blacks”
La rivolta dei migranti di Rosarno del 7 gennaio 2010 è passata alle cronache come un evento inspiegabile, una fiammata di follia, l'ennesima conferma dell'emergenza immigrazione. In un mondo in cui molte cose sembrano quello che non sono, senza rispetto per una verità sfuggente ma per la vaghezza portata a sistema di conoscenza del mondo, anche in questo caso abbiamo letto e sentito un elenco di luoghi comuni e di menzogne.
Dal 1990 nella piana di Gioia Tauro, in Calabria, a lavorare nei boschi di aranci ci sono i primi ragazzi immigrati in Italia. Inizia così lo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo per la raccolta delle arance calabresi. Con lo sfruttamento inizia la violenza della 'ndrangheta che controlla anche il settore agroalimentare. L'elenco dei ragazzi africani feriti o uccisi negli agrumeti di Rosarno dal 1990 al 2010, l'anno della rivolta, è impressionante. La 'ndrangheta spara per mantenere il controllo, per spaventare, per fare capire che una volta finito il lavoro è meglio che gli immigrati se ne vadano altrove.
Il 10 settembre 1990 non è una di quelle date che si ricordano, anche se sui giornali italiani e statunitensi forse compare la stessa notizia. Ellis Island, davanti a New York, l'isola che ha accolto più di 12 milioni di immigrati (di cui più di 4 milioni di italiani) diventa un museo per ricordare tutto quello che è stato. Lo stesso giorno però sui giornali nazionali italiani non c'è traccia di un'altra notizia: Mohamed viene gambizzato a Rosarno. Ha 28 anni. Viene dal Maghreb.
Gli unici che sembrano cogliere i segni dei processi in corso e metterli in relazione sono gli uomini della Lega Lombarda. Hanno il 4% in Parlamento e si muovono subito. Non sappiamo se sono a conoscenza dell'aggressione fatta a Mohamed, sicuramente sanno quali sono i loro obiettivi. Il 28 settembre del 1990 depositano una proposta di legge popolare che ha come primo firmatario Umberto Bossi: la legge prevederebbe che l'ingresso di lavoratori extracomunitari possa avvenire solo dietro il rilascio di un visto e che questo sia subordinato alla concreta disponibilità di un posto di lavoro.
La proposta di legge pone un'altra condizione: che in Italia il tasso di disoccupazione scenda al di sotto del 5%. Evidentemente i leghisti sanno che il tasso di disoccupazione in Italia è sceso sotto al 5% solo una volta, a metà degli anni sessanta; vuol dire, nella pratica, che nessun immigrato può venire in Italia. La proposta di legge cade nel vuoto, ma non per la presenza di leggi alternative. Semplicemente si lascia tutto com'è.
Dal 1990 al 1999 a Rosarno si contano 8 ragazzi africani feriti e 4 uccisi. I migranti di Rosarno non ce la fanno più e quello che pensano sia più giusto fare in un paese democratico è scrivere una lettera al sindaco. Mentre la stampa italiana mette in prima pagina lo spettro dell'invasione degli extracomunitari, il 19 dicembre del 2006 il Guardian manda un inviato a Rosarno per capire cosa succede.
Un ragazzo marocchino dice: “C'è moltissima violenza contro gli immigrati. Un ragazzo che conosco è stato aggredito con un bottiglia rotta e trascinato per strada. Ci puntano le pistole contro e ci derubano. E hanno un gioco che si chiama 'andare per marocchini': salgono in due sullo scooter e quando passano ti colpiscono con un bastone. E la polizia non fa niente”.
Le violenze continuano: la lettera al sindaco di Rosarno non ha sortito l'effetto voluto, perciò gli africani di Rosarno nel 2008, a fronte di un'altra sparatoria, decidono di manifestare per strada, invado Rosarno, pacificamente. La manifestazione porta all'arresto del colpevole, ma il sistema con cui la 'ndrangheta gestisce il lavoro negli agrumeti non cambia.
Il 31 dicembre 2009 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (lo stesso della legge Turco-Napolitano che istituì i CPT) dice: “È necessario essere vicini a tutte le realtà in cui si soffre anche perché ci si sente privati di diritti elementari. […] Solidarietà significa anche comprensione e accoglienza verso gli stranieri che vengono in Italia”.
Il 7 gennaio 2010, dopo il ferimento di due ragazzi a colpi di fucile, scoppia la rivolta. Cinquecento africani entrano a Rosarno da via Nazionale armati di bastoni e spranghe di ferro. Possiamo immaginare le conversazioni telefoniche: “Pronto, polizia! Qui ci sono gli immigrati che spaccano tutto! Dovete venire perché stanno spaccando tutto!”.
“Signora, per favore, ci dica il suo nome e il luogo preciso.” “Ma non avete capito che sono tantissimi! Hanno i bastoni e stanno spaccando tutto!”
La gente di Rosarno ha paura. L'avremmo tutti. Perché nelle parole e negli occhi degli africani c'è una cosa che non si può equivocare, non si può declinare nelle interviste, non si può usare un eufemismo, quella cosa ha solo un nome: rabbia. E produce conseguenze.
Altri due africani gambizzati, un altro preso a sprangate sulla statale 18, ricoverato in codice rosso al pronto soccorso, un rosarnese arrestato perché cercava di investire africani e carabinieri con un escavatore: in tutta “la Piana” attorno al paese si organizzano ronde armate, iniziano a formarsi comitati contro le violenze degli africani in piena ondata di vendetta italiana.
La rivolta attira la stampa, Rosarno diventa per qualche giorno una notizia da prima pagina. I giornali non solo non raccontano niente di quello che è successo prima del 7 gennaio e non colgono la questione di un'aperta contestazione dell'organizzazione criminale, ma esibiscono notizie false e frasi apertamente razziste. Le più gentili, “gli immigrati sono tutti senza permesso di soggiorno”, “anche se uno vive in condizioni di schiavitù, questo non giustifica che poi si faccia giustizia da solo”. Pochissimi si chiedono cosa è successo veramente. Il fatto viene velocemente archiviato, la fiammata di attenzione si spegne subito. Rosarno ritorna al buio. Così passa quasi inosservato il fatto che il 10 gennaio la piana di Gioia Tauro viene svuotata.
Vengono portati via duemila migranti, tutti africani; la maggior parte su pullman e treni diretti al centro nord, con la motivazione ufficiale dell'“ordine pubblico”. Ed è esattamente quello che vuole la 'ndrangheta. Duecento sono rinchiusi nei CIE di Crotone e di Bari. È stata definita una “deportazione di massa”.
Lo “scandalo” della rivolta del 2010 non impedisce che la situazione rimanga immutata nel tempo, fino ad oggi. Dalla Puglia alla Campania, dall'Emilia al Piemonte, il sistema Rosarno, invece di sparire, si diffonde in tutta Italia.