Tecnici
28 Novembre 2011
Nominati i sottosegretari del governo Monti. Anche tra di loro solo tecnici, con l’eccezione di un politico di area PD.
I nuovi preti
Il mondo divenuto finalmente “uno” sotto il segno del neoliberalismo non avrebbe più bisogno di politica ma solo di tecnici. È il ritornello che viene continuamente fischiettato dai media. La politica, anzi, tende ad essere assimilata a quel fenomeno fastidioso che i cibernetici chiamano “rumore”. Disturberebbe o frenerebbe il buon funzionamento della macchina, la quale, inutile dirlo, è finalizzata ad un solo obiettivo: l’incessante autovalorizzazione del capitale. Così i tecnici si presentano sulla scena del mondo, quando il mondo rischia di collassare (la crisi). Sono gli amministratori, si spera abili, di un ordine dato. Sono i competenti. Sono coloro che sanno applicare la ricetta con il minor margine di errore possibile. La loro pratica fredda e razionale, a considerarla da vicino, confina con il rituale religioso, sebbene i panni che vestono non siano affatto quelli scintillanti del celebrante. C’è una verità, indiscutibile come lo sono tutti i miti che concernono l’origine del mondo, ed è la verità del capitale e delle sue imperative esigenze, e c’è un rituale che deve essere eseguito con la stessa maniacale precisione con cui, secondo le Upanishad vediche, il sacerdote deve sacrificare la vittima. Non ha evidentemente alcun senso interrogare il sacerdote e chiedergli “perché” la vittima debba essere macellata. Non lo sa è non è tenuto a saperlo. Così è scritto nel suo libro sacro, quel libro sacro che per i moderni enuncia “le leggi oggettive del mercato”. La sua competenza riguarda solo il come, il suo sapere concerne la procedura. Per questo, e non per altro, i tecnici-preti sono stati convocati.
I grandi cuochi
Ma la tecnica ha solo questo senso procedurale? Il “governo dei tecnici” è soltanto il dominio anonimo degli esperti al servizio del Dio capitale? Non vi è un altro modo di intendere la tecnica, un modo laico e libero da fardelli teologici? Quando, a sinistra, si guarda con qualche timida speranza a questa stagione della storia italiana, è forse a questa altra idea di tecnica che si fa riferimento, anche se probabilmente non lo si sa affatto. Lo storico della scienza Georges Canguilhem, nel suo celebre saggio su Il normale e il patologico del 1943, osservava, basandosi sui dati offerti dalla storia della medicina, che la tecnica non esiste soltanto “come debole servitrice che esegue degli ordini indiscutibili”. Tale è la tecnica pensata irrazionalisticamente e teologicamente come applicazione di un sapere dato, tale è la tecnica “culinaria” e “rituale” che applica delle “ricette”. La tecnica, affermava invece Canguilhem, è intrinsecamente euristica, non si limita cioè ad applicare, piuttosto trova, escogita, crea delle soluzioni che prima non erano nemmeno pensabili (e, aggiungerebbe il suo maestro Bergson, nemmeno “possibili”). Anche il grande cuoco, dopotutto, è tale solo perché sa inventare del nuovo e, inventando, rinnova la tradizione dell’arte gastronomica. Insomma, se i tecnici sono convocati per rispondere a dei problemi è perché si spera che trovino una soluzione che non è già stata scritta da qualche parte. Da loro ci si attende risposte capaci di ristrutturare la domanda. La grande tecnica non è al servizio di un sapere dato (ad esempio: “le leggi del mercato”), ma è essa stessa sapere in atto, produzione di verità e di nuove leggi. Non è rito ma trasformazione scientifica del mondo.
La politica, ancora
Quale nome prende questa grande tecnica quando si rivolge alle cose dell’uomo, alla sua dimensione sociale e pubblica? Il suo nome è non è forse ancora “politica”? Nel Protagora, Platone metteva in bocca al sofista così chiamato un mito sull’origine dello Stato. La politica, innanzitutto, era annoverata tra le virtù, una parola che in greco non ha un senso morale, ma significa in primo luogo capacità, competenza tecnica. Tra tutte le tecniche di cui la scimmia nuda deve disporre per reggere la competizione nella natura, una gara nella quale parte svantaggiata a causa della sua povertà di istinti, la politica è la tecnica regina: è una specie di protesi di tutte le protesi. Senza di essa, infatti, le altre tecniche sono prive di guida e generano solo autodistruzione. Essa però, a differenza delle altre competenze, è data da Zeus a tutti in ugual misura. Non vi sono, insomma, “specialisti” nella politica. La “virtù politica” è democratica per definizione. Riguarda la definizione del bene comune. Un bene che deve essere, appunto, ricercato in comune da tutti gli uomini seguendo un metodo rigoroso. Un bene che non è scritto una volta per tutte in un qualche libro sacro, nemmeno in quelli degli economisti di Chicago. Tale bene è all’orizzonte del fare politica. È sempre in gioco nelle nostre scelte locali e contingenti. Di esso siamo sempre responsabili. Non cessiamo di crearlo e di disfarlo. La grande tecnica è allora la politica e il “governo dei tecnici”, dato questo senso delle parole, può essere il governo dei filosofi, vale a dire il governo di quei coraggiosi e di quegli spregiudicati che ritengono che la verità non sia monopolio di un Dio (comunque si chiami, anche Capitale o Mercato) ma la posta di un’avventura della conoscenza dalla quale nessuno può essere escluso.