Pier Vittorio Tondelli / Trent'anni di camere separate
Nel 2019 ricorre il trentennale di quello che probabilmente non è il romanzo migliore di Pier Vittorio Tondelli ma di sicuro è il più importante: Camere Separate.
Il libro uscì nove anni dopo quel 1980 che segnò l’esordio deflagrante dello scrittore emiliano: con Altri Libertini, Tondelli aveva mostrato una tecnica sopraffina al servizio di storie pruriginose, di provincia, talmente contemporanee da essere un insulto per una parte dell’opinione pubblica italiana, che non tardò a indignarsi e ad accusare l’autore. Altri Libertini venne ritirato dopo un anno dalla pubblicazione dal procuratore di L’Aquila per oscenità e rimane ancora oggi una delle vette della letteratura italiana della seconda metà del Novecento.
Tondelli compariva sulla scena letteraria armato di una capacità di modellare il linguaggio unica: sapeva piegare al suo volere le parole, con la consapevolezza dello scrittore navigato, pur avendo solamente venticinque anni. L’uso della lingua tondelliana diviene subito materia di dibattito e di curiosità, nascendo da quella fucina di creatività che vedeva due enfant prodige, abitanti di Bologna e animatori della sua scena culturale, conquistare la ribalta; due giovani ragazzi che con le parole – e non solo – sapevano fare ciò che volevano: Tondelli, appunto, e Andrea Pazienza. Entrambi vittime di una morte tristemente precoce.
Dopo Altri Libertini, Tondelli incamerò due romanzi come Pao Pao e Rimini: l’uso della lingua era sempre quello che oramai i lettori e la critica avevano imparato a conoscere – arricchita da virtuosismi mai fini a sé stessi, in grado di dare una sonorità sempre nuova al linguaggio – ma la potenza dei due libri risultò inferiore rispetto al romanzo d’esordio.
Poi arrivò il 1989 e Camere Separate. Un qualcosa che era “altro” rispetto alla sua precedente produzione, un oggetto estraneo, nuovo, lontano da ciò a cui i suoi lettori erano abituati.
Si avverte fin dall’incipit una forte dissonanza stilistica: non c’è spazio per niente di superfluo, per i suoi tipici anacoluti, per le “notti raminghe e fuggitive” e “luci sciatte e livide, neon ammuffiti”. Qui, ad animare le prime pagine, c’è solo un volto che si guarda riflesso nell’oblò dell’aereo. È il volto di Leo, il protagonista del libro, impegnato a dover fare immediatamente i conti con l’evento che gli sta devastando la vita: la morte, in giovane età, del suo fidanzato, Thomas.
Tondelli mette fin da subito in relazione un dolore così grande con la fine della giovinezza, quasi fosse anche una dichiarazione di intenti sull’uso della lingua che l’autore ha intenzione di fare; una lingua pronta a maturare e diventare altro per raccontare un amore così doloroso.
Il libro è diviso in tre movimenti, come se si trattasse di parte di una sinfonia, e dalla teoria sinfonica attinge gli andamenti con cui procede. Il dolore di Leo è raccontato al presente e viene interrotto da accelerazioni o decelerazioni che fanno riferimento ai flashback – e che, in quanto tali, usano il passato – fondamentali per capire ciò che sta dietro a Leo: il suo essere scrittore, la sua formazione, gli ex fidanzati, l’approdo a Thomas. È abbastanza istintivo identificare Leo – scrittore emiliano omosessuale – come una sorta di alter-ego di Tondelli, ma dove sia la verità e dove la finzione non è importante. Perché il dolore di Leo è così crudo, intimo e senza il minimo imbellettamento da diventare tutto ciò di cui il libro ha bisogno per esprimere una realtà tangibile: “il dolore è più reale dell’amore”; questo Tondelli fa dire al suo protagonista.
Leo affronta varie fasi del dolore e prende coscienza del fatto che le parole non servano a nulla, in un momento del genere. Né le sue né tantomeno quelle altrui. E questa è una consapevolezza terribile per una persona che di parole campa.
Poi vaga, senza meta né pace, per l’Europa e gli Stati Uniti, in cerca di qualcosa che non trova mai fino in fondo.
Torna a casa, quindi, per provare l’estremo tentativo di un epifanico ritorno alle origini. E perché in passato era servito: l’odore della sua terra aveva già avuto un potere salvifico nella prima esperienza di vicinanza alla morte che Leo avesse avuto. Ma questa volta l’odore di morte è più forte di quello della via Emilia. E il suo paese non è cambiato, rispetto a quando scelse di partire: Leo, per i suoi conterranei, rimane un corpo estraneo, un diverso. E così è obbligato a essere un flâneur per cause di forza maggiore, che non sa né dove né come fermarsi.
Al centro di tutto questo movimento c’è la morte. E l’amore. O, meglio, la paura della morte e la paura dell’amore.
Nei vari flashback, si vede un Leo terrorizzato da ciò che l’amore per Thomas sta portando alla sua vita. Arriva addirittura a sentire il suo immaginario di scrittore distrutto dai sentimenti che prova per il compagno.
In un tentativo di salvaguardare il proprio io da questo terrore, Leo affronta il rapporto con Thomas non perdendo mai di vista il concetto di “separazione”. Da qui deriva l’evocativo titolo scelto da Tondelli: “lui era sempre certo del suo amore per Thomas, lo voleva per tutta la sua vita, fino alla fine. Ma non nella sua camera”. Questo pretende Leo, per uscire vivo da una relazione in cui sarà effettivamente lui l’unico sopravvissuto: le camere separate. I due, salvo nel momento iniziale della loro relazione, non vivranno mai nella stessa nazione, questo perché per Leo la precarietà geografica è uno stimolo, un deterrente che consente all’amore di non “infangarsi nella quotidianità”. La lontananza autoinflitta porta il protagonista a dover fare i conti con la solitudine: in pagine straordinarie, Leo riflette su quanto la sua solitudine faccia effetto sugli altri. Le persone si sentono in dovere di consolarlo, stargli vicino, aiutarlo, anche perché spesso è lo stesso Leo a doversi rivolgere a loro, in quanto “la solitudine è anche scomodità. Obbliga a rivolgersi agli altri, a fare richieste continue”.
Ma sono richieste di carattere utilitaristico, perché Leo se la gode, la sua solitudine; è la situazione che si è scelto tra una pausa e l’altra da Thomas – come se non esistesse una dimensione collettiva all’infuori di loro due – ed è pronto a difenderla con qualsiasi arma possibile. Quando è con Thomas, invece, Leo diventa improvvisamente un animale sociale, disposto a trovare nella condivisione e in ciò che lo circonda un’ulteriore affermazione del loro amore. In una riflessione sul tema, si legge: “l’amore ha bisogno del mondo, per potersi affermare e Leo sapeva come la felicità avesse bisogno di restare mondana per potersi appagare”. Così, lo scrittore affermato, accompagnato dal suo fidanzato, affronta conferenze universitarie, incontri con intellettuali e rappresentanti del mondo culturale europeo, cene con ambasciatori desiderosi di conoscerlo. Leo è al centro dell’attenzione, è la star, ma ben presto si rende conto che la presenza al suo fianco del silenzioso Thomas è fondamentale nei momenti in cui deve vestire i panni del giovane scrittore popolare e istrionico.
Il sentimento di Leo è talmente vero e potente da rendere necessaria la costruzione di elementi di autodifesa. Ed è proprio da un amore del genere che sgorga il dolore per la morte di Thomas, un dolore da cui Leo non riesce ad avere scampo e che sarà centrale per tutta la durata del romanzo. È impossibile non collegare questo sentore funereo costante, presente all’interno del libro, alla condizione di Tondelli, che appena due anni dopo se ne sarebbe andato a causa dell’AIDS.
Ma Tondelli non cerca scappatoie né momenti consolatori. Il dolore del suo protagonista è sempre estremamente crudo; in certi momenti persino razionale, nel suo essere scandagliato con tanta precisione e verità. Leo è un uomo innamorato che non crede nell’amore universale. Non c’è spazio per nessuna utopia né illusione, nel modo di amare di Leo. Ed è per questo che il dolore impresso sulle pagine risulta ancora più reale e ha bisogno di una lingua nuova nella produzione dell’autore. Una lingua secca, tagliente, descrittiva come un referto d’autopsia ma non per questo meno bella e stratificata rispetto ad altre opere dello scrittore emiliano.
A trent’anni dalla sua uscita e a ventotto anni dalla morte prematura di Tondelli, Camere Separate è un diario sentimentale e umano fondamentale per la letteratura italiana. Emoziona e disorienta il lettore pur lasciandolo sempre e comunque meravigliato innanzi alle infinite frecce presenti nella faretra del suo autore, confermando anche a uno sguardo odierno tutto il suo intatto interesse e valore .