Un weekend postmoderno
In apertura di Un weekend postmoderno. Cronache degli anni ottanta (Bompiani 1990), libro che raccoglie articoli di giornale, testi critici e “cronache” culturali di Pier Vittorio Tondelli, troviamo descritta una bizzarra impresa. Luogo dell’azione: Correggio. Protagonisti, oltre a Tondelli stesso, un gruppo di amici, studenti del D.A.M.S. bolognese e altro. “Una quindicina di ragazzi s’è presa la briga di fare carnevale senza avvertire nessuno, senza finanziamenti, senza manifesti per le vie del borgo o strombazzamenti in giro: nessuna radio libera ci ha messo lo zampino, nessun inviato stampa. Così un sabato pomeriggio arrivano in piazza un carro trainato da una piccola ciuca, gente stranissima ma riconoscibile, due oche tenute al guinzaglio e lerce di pantano, qualche gallina che razzola tra i coriandoli e scavalca i ranghi scassati del corteo inseguita dai bambinetti che provocano, i crudeli, facendo: ‘Coccodé’”.
Il corteo mascherato, se stupisce gli adulti, incontra l’urlante favore dei più piccoli. Promette premi di conoscenza a chi si espone al contagio e accetta, sia pure per un pomeriggio, che “carnevale è allacciamento di intensità fra la gente, senza nessuna distinzione, è ribaltamento e scoronazione dell’autorità,... è licenza, è corporalità, è abbassamento e digestione ed espulsione di tutto ciò che è alto e colto e gerarchico e tribunalesco”. Il carnevale descritto da Tondelli, magico e allusivamente iniziatico, sfila simile a una processione felliniana, pifferai in costume alla testa di adolescenti-elfi e gente di circo o teatro. Il senso dell’impresa è quello di una fiesta autoprodotta, in parte commedia dell’arte, in parte happening e stravagante festino privato che porti pacifico disordine nell’industriosa e troppo quieta provincia reggiana. Riconosciamo, nel cronista della gioiosa incursione, l’allievo di Piero Camporesi, maestro di studi sulle tradizioni popolari in Emilia; e il giovane, brillante lettore di Michail Bachtin interprete di Rabelais. Possiamo però spingerci a porre la stessa attività critica di Tondelli sotto il segno della fiesta, e a considerare da questa orientate le pratiche di scrittura?
Fiestas
Il senso di frenetica partecipazione suscitato dal carnevale è associabile, nella prospettiva dell’autore di Altri libertini e di Pao-Pao, ai più efficaci eventi artistici contemporanei, e stilizza in qualche modo gli interventi del critico-narratore. Trascorsa l’euforia lievemente di maniera dei primi anni Ottanta - “questi lucidi, festaioli, artistoidi anni Ottanta”, sintetizza Tondelli - possiamo oggi dubitare circa i caratteri collettivi e quasi misterici di manifestazioni artistiche o teatrali, certo rimane intatta la seduzione di una ricerca da compiersi molto on the road, con vicinanze e familiarità non meno preziose degli apparati, e per cui il talento narrativo sia non solo importante, ma essenziale. Tondelli è abile nell’interpretare la recensione come saggio breve, con aperture politiche, storico-sociali, antropologiche; e a praticarla nelle immediate vicinanze del romanzo (di costume) contemporaneo, privilegiando i momenti descrittivi su quelli categoriali. Viene così a inserirsi tra i non molti critici-scrittori in lingua italiana, come Arcangeli, Arbasino o il Pasolini di Descrizioni di descrizioni, già Soffici o Longhi se consideriamo modelli primo-novecenteschi, per cui la distanza tra attività critica e attività letteraria si riduce di molto, e non si colloca sul piano del dizionario. Scrivere d’arte, non di rado attraverso pastiches, diviene un modo per mettere in racconto gerghi e orientamenti contemporanei, esplorare comportamenti, stabilire affinità e indicazioni di percorso; prendere parte a un appuntamento - il “carnevale” - che sarebbe riduttivo intendere come solo generazionale; innovare infine usi linguistici e mantenere la lingua viva e vicina al cuore della cosa. Nel muoversi per città e piazze italiane o nel proporsi come cronista del “week end postmoderno”, Tondelli si mostra complice. Diffida delle grandi narrazioni e evita accuratamente argomenti perentori o definitivi. Non si appoggia alla scienze del linguaggio, dell’uomo, della società né possiede, per scelta propria, una terminologia. La narrazione è condotta con leggerezza, prevale il proposito di non interferire, non appropriarsi, non prevaricare. La scrittura è francamente coinvolta dal suo oggetto, non importa se un quadro, un’installazione, un video, una performance, e appare narrativa, tutta presa da un vis-à-vis poetico e interrogativo.
Critica d’arte, storiografia, “creatività giovanile”. Politiche della memoria
L’abilità mimetica della scrittura non esaurisce però la complessità della posizione dell’autore, che appare capace, entro una carriera relativamente breve, di formidabili autocorrezioni. Colpisce il grado di mobilitazione civile che sorregge l’attività di Tondelli critico, ed è un aspetto che si è meno rilevato nella letteratura a lui dedicata: mobilitazione che si fa maggiore nel corso di circa un decennio e orienta progressivamente la costruzione dei testi e la scelta degli “stili”. Emerge un autore che lavora “al sentimento della frase e della pagina” e presta particolare attenzione alla chiarezza linguistica, anche se (o proprio perché) in presenza di temi nuovi - la new wave musicale, il fumetto d’autore, il teatro della “nuova spettacolarità”, i ritorni alla pittura. Svolge riflessioni sulle agenzie formative, il mercato, le responsabilità culturali delle generazioni “adulte”. Si pone il problema della memoria e della tradizione del presente confrontandosi criticamente con i modi della critica d’arte istituzionale, accademica e non, sperimentando inediti intrecci tra ricerca e divulgazione. Talvolta, soprattutto agli inizi, lo avvertiamo sin troppo “gradevole e levigato”, troppo “affettuoso” (per citare Longhi); eppure, nella pratica dell’intervista come conversazione, momento di un unico, interminabile travelogue generazionale; nella mobilità; nel proposito di intimità con opere, artisti, processi lo troviamo vicino alle istanze di ricognizione aperta, ludica e “disponibile” già di Arbasino e (almeno in parte) Carla Lonzi. Senza teorizzare sulla propria attività di testimone e interprete, piuttosto esercitandola, Tondelli risponde a una questione essenziale per chi si occupa di temi artistici contemporanei, più volte posta negli anni sessanta e primi settanta per poi rimanere di fatto irrisolta: come scrivere di arti visive? Come partecipare e insieme documentare riflessivamente, intrecciando prossimità e distanza?
Attorno al 1985, quando l’attività di Tondelli critico e organizzatore culturale si consolida, la crisi della creatività giovanile diviene evidente e cresce il distacco tra establishment e subculture. Il punto di vista (tutt’altro che dimissionario o “post-moderno”) diviene quello di una allarmata pedagogia politica. “Il proliferare delle riviste giovani”, avverte lo scrittore, “delle riviste alternative o della cosiddetta ‘controcultura’ una volta scomparso ha lasciato dietro il vuoto... In compenso ecco, dopo pochi anni, esplodere decine di testate di settore che affidano ai capitali del made in Italy, alla pubblicità e alla promozione ogni eventuale messaggio. L’inno di battaglia è fashion, è glamour. Non si parla qui di gloriose testate di settore che svolgono un proprio particolare compito specialistico, quanto piuttosto di riviste giovanilmondane che, se affrontano temi... di tutto rispetto e grande importanza, come il misticismo, le nuove professioni, la rivisitazione dei miti culturali, lo fanno sempre con un’ottica à la page, come se ogni volta si trattasse sempre di una nuova moda e mai, per la miseria, di un problema serio, importante, sostanziale”. Appare urgente, nel contesto italiano, contrastare il destino di labilità e dispersione che minaccia la produzione artistica contemporanea: mancano riviste, sedi di incontro e ricerca, interesse e cura istituzionali. Dunque la necessità di “scritture” terse e semplificate, ma non banali, vicine a tratti all’oralità e insieme colte, tali da sollecitare senza escludere. Se il saggio inteso come genere letterario può sembrare distanziante, la “cronaca” non esaurisce i propri compiti sul piano dell’intrattenimento, della mondanità o del pettegolezzo. Procura invece un’efficace informazione, crea archivi e cittadinanza.
Movimenti, istituzioni
“Non si vuole proprio credere”, afferma Tondelli nel 1985, “che i ragazzi italiani di oggi non abbiano nulla da dire; che siano abissalmente separati dai loro coetanei di ogni altra generazione precedente; che produrranno soltanto graffitini e decorini, sculturine di capelli e musichette da Tempo delle mele. C’è in ballo anche la grande responsabilità degli organi di informazione e dell’estabilishment culturale, perché se tutti noi offriamo ai giovani soltanto schifezze, che cosa mai potremo chiedere in cambio?”. Alla data cui si riferiscono i brani citati è possibile dirsi anacronisti e en avant, apollinei e post-punk. Tondelli scrive di un “ellenismo contemporaneo”, sofisticato e ipertecnologico, segretamente rituale, cui sente di appartenere e che è in larga parte un orientamento internazionale: glam-punk. Venute meno le grandi narrazioni moderniste, preme sopra ogni altra cosa fissare una scena estremamente mobile, descrivere e indirizzare in senso critico e riflessivo i comportamenti. “Avremmo bisogno, un grande bisogno, di qualcuno che insegnasse ai giovani il dissenso”. E ancora, nel 1987, riflettendo sulle specificità del contesto italiano post-terrorismo: “si è passati da una situazione favorevole ai giovani a una contraria”. Aggiunge: “perché non interessare e stimolare quell’istituzione fondamentale nella formazione dei giovani che è l’università? Perché non agire all’interno delle case editrici costringendole a varare programmi, progetti, ricerca, laboratori nelle scuole, usando come docenti i propri autori?”. I “giovanissimi” chiedono cosa poter vedere, cosa poter leggere, quali artisti poter frequentare; ma non incontrano efficaci agenzie formative che trasformino la domanda culturale ingenua in professionalità. Si ha forse interesse a trattenere le generazioni post-politiche nei territori del mero consumo? “Credo che il problema di una giovane critica esista”, osserva Tondelli; “forse i giovani critici ci sono, ma non hanno spazi? Occorrerà riflettere su questo... Harold Bloom afferma che ogni critico ha bisogno un poeta della propria generazione da seguire e con cui confrontarsi. Ma anche un poeta, uno scrittore, un artista ha bisogno di un critico della propria generazione con cui confrontarsi e discutere”.