Vittoria Matarrese: dal Palais de Tokyo alla Bally Foundation

27 Dicembre 2022

La curatrice franco-italiana Vittoria Matarrese è stata recentemente nominata nuova direttrice della Bally Foundation, istituzione creata dallo storico marchio di accessori e abbigliamento prêt-à-porter, attiva da quindici anni a supporto della creatività e dell’arte internazionale e che nella primavera 2023 aprirà una nuova sede a Lugano. 

Da me intervistata, Vittoria Matarrese ha illustrato il percorso che l’ha condotta a questo incarico e gli obiettivi della nuova sede della Bally Foundation. 

Quali sono stati i principali step che ti hanno portata a questo tuo nuovo incarico?

Vittoria Matarrese: Sono nata in Puglia, a Conversano, in provincia di Bari, e lì ho intrapreso i miei studi in Architettura al Politecnico di Bari. Al terzo anno di università sono stata un anno in Erasmus a Parigi e, una volta terminato l’Erasmus, ho preferito rimanere lì. Ho chiesto il trasferimento degli studi e mi sono laureata in Francia, dopo però essere stata per un anno a Berlino grazie a una borsa di studio per la mia tesi di laurea. 

Dopo essermi laureata in Architettura, ho iniziato a dedicarmi alle mie vere passioni: alla danza, alla musica, alle mostre, all’arte in genere e mi sono molto specializzata nel cinema. Ho cominciato a collaborare con Les Cahiers du Cinéma, con Arte, ed è in quel contesto che ho incontrato Frédéric Mitterand, all’epoca direttore dei programmi di TV5. Per due anni sono così diventata per TV5 produttrice e redattrice capo di due trasmissioni settimanali sul cinema d’autore. 

Successivamente, quando Frédéric Mitterand è stato nominato direttore di Villa Medici, a Roma, mi ha chiesto di seguirlo come direttrice artistica. Nei due anni in cui ho lavorato a Villa Medici ho curato una serie di programmi e festival (come ad esempio Villa Aperta), occupandomi anche del rinnovo dei giardini, dell’apertura di una gipsoteca e di una libreria. 

Uno dei membri del consiglio di amministrazione di Villa Medici era Olivier Kaeppelin, il nuovo incaricato del progetto del Palais de Tokyo, il quale mi ha chiesto di seguirlo come suo “braccio destro” in questo suo incarico. Essendo io architetto di formazione, mi sono dunque occupata del progetto di rinnovo architettonico del Palais. 

Quando poi Jean de Loisy è stato nominato Presidente del Palais de Tokyo, mi è stato chiesto di cosa preferissi occuparmi e ho espresso il mio desiderio di dedicarmi alla programmazione, incrociando le arti plastiche con la danza, con lo spettacolo, con la musica, cioè di tutto ciò che è performativo. Così è nato il dipartimento da me curato con cui ho organizzato, tra gli altri progetti, un Festival di performance all’anno e un programma di residenza esclusivamente dedicato ad artisti performer. 

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Come è nata invece la collaborazione con la Bally Foundation? 

VM: Dopo dodici anni di lavoro al Palais de Tokyo, sono stata avvicinata per la direzione della Bally Foundation. È un progetto bellissimo perché la Fondazione ha la vocazione di essere non soltanto dedicata alle arti plastiche, ma all’arte e alla cultura in genere. Per questa ragione cercavano un direttore che avesse dimestichezza non solo con l’arte ma anche con l’universo del cinema e della musica. Oltre al progetto in sé, mi è piaciuto molto sia il luogo, Lugano, sia il brand che ha dei valori: Bally ha ad esempio una fondazione per la salvaguardia delle montagne. 

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La Bally Foundation, che esisteva già, quali programmi ha finora svolto in ambito artistico e culturale? 

VM: La Fondazione ha sempre dato un grande sostegno all’arte e alla cultura. Ad esempio è sostenitrice storica del Festival di Locarno e da più di dieci anni ha dato avvio al Bally Artist Award. Dunque è sempre stata legata alla cultura, ma parallelamente anche all’ecologia. Ciò che finora non ha avuto è una sede e una direzione unica per il sostegno economico dei progetti legati all’arte, alla cultura e all’ecologia. Da qui la necessità di dotarsi di una sede a Lugano, così, da un lato, da poter sostenere gli artisti in modo più concreto, con mostre e con una programmazione specifica; dall’altro, da poter dare luogo a un centro di pensiero, di discussione, di ritrovo.

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La sede di Lugano, dal punto di vista architettonico, è già pronta? 

VM: Esiste un progetto di rinnovo architettonico e la sede, in realtà, è abbastanza pronta anche se mancano alcuni aspetti da concludere per metterla a norma. Il progetto architettonico mira a riportare l’edificio alla sua origine, eliminando ciò che è stato modificato nel tempo. Rivede inoltre tutto il sistema di illuminazione e di sicurezza. 

Sarà dotato anche di una sua collezione e quindi di sale dove esporre un’eventuale collezione permanente?

VM: La mia prima conversazione con il CEO del brand, Nicolas Girotto, è stata proprio in merito a un’eventuale collezione d’arte. Ne abbiamo parlato molto ma siamo arrivati a pensare che non sia ecologico creare oggi una nuova collezione; sarebbe piuttosto interessante integrare il Bally Artist Award nelle collezioni del MASI di Lugano, anche allo scopo di valorizzare maggiormente gli artisti. La Bally Foundation deve sostenere e non possedere: l’idea del possesso non è per noi così interessante. 

Hai già in programma residenze per artisti? 

VM: No, perché le residenze non inizieranno prima del 2024 e adesso sto delineando il programma per il 2023. Le residenze si svolgeranno in situ: l’ultimo piano della Fondazione sarà adibito a due appartamenti per le residenze. In questo modo, gli artisti potranno concepire opere site-specific davvero ragionate e discusse rispetto al luogo e rispetto alla sua storia. E il luogo, Lugano, è ricchissimo di aspetti da esplorare: il lago, il giardino, la geografia, la storia della città, la storia del Ticino, la flora, la fauna…

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Le residenze saranno solo destinate all’arte contemporanea? 

VM: Per il momento ci stiamo dedicando all’arte contemporanea ma intesa senza separazione disciplinare tra arti visive, musica, coreografia… 

La Bally Foundation si spingerà anche oltre le sue mura per fare rete con altre istituzioni?

VM: Emergenza, residenza e programma parallelo volto a coinvolgere davvero la comunità in sito, sono senz’altro le direttive principali della Fondazione. Tuttavia, è previsto un ruolo della Fondazione anche al di fuori delle sue mura, collaborando con grandi istituzioni internazionali. 

Dal punto di vista economico la Fondazione si autososterrà o avrete dei partner?

VM: Per il momento la Fondazione si autosostiene, ma vorremmo in futuro trovare partner su dei progetti specifici.

Quale aspetto ti affascina maggiormente dell’arte contemporanea?

VM: Dell’arte contemporanea, e in particolare delle generazioni emergenti, mi affascina la capacità di essere nel mondo e di pensare il mondo. È la prossimità dell’arte con la filosofia: l’arte è davvero un modo di rielaborare il quotidiano, la realtà, i problemi attuali; dunque, l’ecologia, le questioni sociali, sociologiche, economiche, politiche. Per me l’arte è sempre stata un mezzo di analisi. Per questo mi piace moltissimo guardare il mondo attraverso l’interpretazione degli artisti.

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Dal tuo punto di vista, di italiana naturalizzata francese, perché molti giovani italiani nell’ambito della cultura decidono di andar via dall’Italia e di trasferirsi all’estero?

VM: Perché in Italia sono stati fatti troppi pochi sforzi dal punto di vista pubblico e perché non ci sono abbastanza soldi per la cultura. Soprattutto, in Italia non si invitano artisti e persone dall’estero, ci sono pochissime realtà internazionali, è tutto molto nazionale. Nel momento in cui tutto è molto nazionale spesso i punti di vista sono univoci, per non dire limitati. Invece, Parigi, Londra, Amsterdam, Copenaghen sono città molto più aperte, perché sono attraversate da flussi di pensiero. L’Italia preserva molto quello che è italiano ma in realtà dovrebbe anche allargare il cerchio e creare questo genere di flussi. È un peccato che non succeda.

Se e quali sono, a tuo avviso, le iniziative in Italia che possono invece considerarsi davvero internazionali?

VM: L’unica iniziativa di per sé internazionale è la Biennale di Venezia. Poi c’è Artissima che sta facendo sforzi titanici, è una delle poche realtà italiane che sta crescendo, ma servirebbero anche istituzioni pubbliche di questo livello. 

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