Fondazione Rovati. Gli Etruschi nostri contemporanei
Innovativo, inclusivo, immersivo, interdisciplinare, cross-temporale, emozionale. Questi sono alcuni degli aggettivi attribuibili al visionario progetto della Fondazione Luigi Rovati aperta a Milano il 6 luglio 2022, nello storico palazzo di Corso Venezia 52, attraverso un processo graduale di avvicinamento che ha portato il 7 settembre 2022 all’inaugurazione del Museo interno alla Fondazione stessa. Due piani espositivi e più di 250 opere che annullano il tempo attraverso un intenso dialogo tra l’arte contemporanea e l’archeologia, dimostrando così come gli opposti (l’antichissimo e il recentissimo) si somiglino più di quanto sovente si creda. L’arte è sempre stata contemporanea, quindi; e al contempo l’arte è sempre antica, portando con sé, nel proprio DNA, quanto accaduto nel suo passato, anche lontanissimo.
Luigi Rovati, a cui la Fondazione è dedicata, fu medico, ricercatore, imprenditore farmaceutico, Cavaliere del Lavoro, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, amante dell’archeologia, della storia, dell’arte. Fu fondatore, nel 1961, di Rotta Research Laboratorium, una biotech di eccellenza internazionale nella ricerca e nello sviluppo di nuovi farmaci, divenuta, sotto la sua guida, una tra le principali multinazionali farmaceutiche italiane. Da un lato, la sua attività nel campo della medicina come cura del corpo, dall’altro, la sua sensibilità per l’arte come cura dell’anima, stanno alla base dell’approccio interdisciplinare scelto dalla Fondazione a lui dedicata, che infatti si propone di innescare un intenso dialogo tra scienza e arte.
La scelta di aprire la Fondazione attraverso un processo graduale di avvicinamento per il pubblico è stata necessaria per far comprendere a pieno i molteplici e innovativi aspetti che la caratterizzano. Innanzitutto l’intervento di restauro, ampliamento e riqualificazione del palazzo dove ha sede, che dal 1958 è stato di proprietà della famiglia Rizzoli per poi non essere più abitato dal 2016 e quindi acquistato dalla Fondazione. L’intervento di restauro è stato affidato allo studio MCA - Mario Cucinella Architects, fondato e diretto da Mario Cucinella. Avviato nel 2017 e molto sensibile alla sostenibilità ambientale ed energetica, l’intervento ha conservato la facciata storica dell’edificio, mentre ha ampliato i piani interrati così da dar luogo a un piano espositivo ipogeo e a un piano ancora al di sotto destinato ai depositi e agli impianti tecnologici.
Al piano ipogeo l’architettura in pietra ospita grandi vasi, ex voto, gioielli, monili e reperti che parlano della vita quotidiana e delle varie attività degli Etruschi, nonché urne cinerarie volterrane e chiusine; il tutto posto in dialogo con opere contemporanee di William Kentridge, Lucio Fontana, Arturo Martini, Pablo Picasso, Alberto Giacometti.
Al primo piano, invece, è stato operato un raffinato restauro conservativo dei pavimenti, dei soffitti e degli arredi originali del palazzo per mantenere lo stile degli ambienti progettati da Filippo Perego. In questi spazi, accanto all’archeologia, vi troviamo la tela The Etruscan Scene: Female Ritual Dance (1985) di Andy Warhol, le polaroid della serie Etruschi (1984) di Paolo Gioli, i disegni e gli acquerelli di Augusto Guido Gatti ispirati alle pitture rinvenute nelle tombe di Tarquinia, il dipinto Le Cheval d’Agamémnon (1929) di Giorgio de Chirico, le opere di Francesco Simeti e Marianna Kennedy, le due sale dedicate rispettivamente a Luigi Ontani e Giulio Paolini e un ambiente per mostre temporanee.
Gli altri piani dell’edificio ospitano spazi funzionali al Museo come gli uffici, la Sala studio, le sale conferenze, lo Shop museale Johan & Levi, il Caffè bistrot e il Ristorante gastronomico dello chef Andrea Aprea.
Di particolare rilievo è il progetto di recupero del giardino al piano terra nel quale il Padiglione, da serra e ricovero per gli arredi del giardino, è stato ristrutturato e riconvertito in spazio espositivo. Aperti gratuitamente, il giardino e il suo Padiglione, rivelano il primario obiettivo della Fondazione: diventare un luogo inclusivo, privo di barriere, aperto alla comunità milanese, italiana e internazionale.
Basata su un metodo di lavoro definito da otto codici fondamentali (conoscenza, espansione, inclusione, creazione, spazio, estetica, relazione, utilità sociale), la Fondazione si propone come luogo di pensiero, sperimentazione, condivisione e come parte integrante del tessuto culturale della città, assumendosi come principale obiettivo quello di avere un importante valore di impatto e utilità sociale.
Giovanna Forlanelli Rovati, Presidente della Fondazione Luigi Rovati, in questa intervista ne racconta il processo di ideazione e costituzione, nonché le attività in corso e future.
A quando risale l’idea di aprire una fondazione?
GFR: Il progetto è nato a partire dal 2014, dopo la cessione della parte commerciale del Gruppo farmaceutico fondato da mio suocero, Luigi Rovati. Tuttavia, il lavoro nel mondo dell’arte e della cultura è un’attività che portiamo avanti da più di venti anni sviluppando e realizzando progetti in chiave di responsabilità sociale all’interno dell’azienda. In passato avevamo pensato di costituire una fondazione culturale legata al nome dell’azienda, ma nel 2016 con mio marito Lucio e mia figlia Lucrezia abbiamo deciso di costituire una fondazione intitolata a mio suocero. Siamo tre medici: questo aspetto è importante perché uno degli obiettivi del Museo della nostra Fondazione è di diventare un luogo di sperimentazione del rapporto tra salute e cultura. Nel 2014 abbiamo cominciato a pensare a come realizzare un progetto filantropico che legasse la nostra esperienza nella cultura e nella ricerca scientifica a un progetto di filantropia strategica, innovativo rispetto al panorama italiano e di respiro internazionale. Non volevamo una casa museo, né un luogo dove esporre le collezioni di famiglia, ma una startup culturale legata a un processo di costruzione manageriale, pertanto di filantropia strategica, non tradizionale (intesa come di pura erogazione) ma volta ad avere un forte impatto sociale ed economico sul territorio, creando e divenendo moltiplicatore di ricchezza e benessere nella società. Dunque un progetto nato da noi e realizzato con risorse proprie.
Quali sono stati i principali step per realizzarlo?
GFR: Innanzitutto è stato necessario trovare il luogo. Volendo un’eco internazionale, Milano sembrava senza dubbio la città più adeguata. Per la sede, la decisione è stata quella di non costruire un nuovo edificio in periferia, ma rigenerare un immobile storico nel centro della città, all’interno di un contesto museale già esistente. Parallelamente, attraverso uno studio di benchmark sull’offerta culturale di Milano, è emerso come mancasse un progetto nuovo in ambito archeologico. Da qui la scelta di concentrarsi sull’arte Etrusca. In famiglia, mio marito Lucio è un appassionato di questa civiltà e un collezionista: ma una piccola collezione non sarebbe stata sufficiente per costruirci attorno un museo.
Con quale approccio vi siete accostati all’idea di dotare la città di Milano di un innovativo museo di archeologia?
GFR: Desideravamo cercare di scardinare il concetto, tutto italiano, per cui l’archeologia debba essere soltanto pubblica. Questa convinzione comporta due situazioni problematiche in Italia: da un lato ci sono reperti straordinari che non vengono esposti e di cui non si ha notizia perché sono “affogati” presso i depositi delle Soprintendenze; dall’altro, esistono numerose collezioni private che, per timore e per mancanza di risorse, raramente o comunque con grande difficoltà vengono esposte al pubblico.
Partendo dall’intento di cercare di scardinare tale concetto, nel 2016 abbiamo acquistato la Collezione Cottier Angeli, una collezione Svizzera composta di impasti e buccheri datati sesto/quarto secolo A.C. molto ben conservati. Per il suo rientro in Italia abbiamo siglato un accordo con il Ministero dei Beni Culturali per cui, una volta entrati in Italia, tutti gli oggetti della collezione sarebbero stati notificati e, qualora ci fossero stati esemplari di sicura provenienza illecita, questi ultimi sarebbero stati da noi donati allo Stato ma notificati comunque all’interno della collezione. Così è stato fatto: su settecento reperti, una quindicina sono risultati di provenienza illecita e dunque, seppur esposti negli spazi del nostro Museo, sono di proprietà dello Stato.
In seguito, abbiamo acquistato altre collezioni e singoli reperti. Oggi la collezione consta di circa 5.000 reperti.
Quali sono i principali scopi della Fondazione e quali le attività finora realizzate?
GFR: La Fondazione ha fra i suoi scopi la promozione, la divulgazione, il sostegno, da un lato dell’arte e della cultura, dall’altro della ricerca scientifica. Ha già dato luogo ad alcune attività, tra cui i due incontri tenutisi prima ancora di aprire il palazzo, nei quali archeologi, storici dell’arte e architetti urbanisti hanno discusso sul tema della “Cultura: Città e territorio” e “Archeologia in città”. Per far conoscere al pubblico il nostro metodo di lavoro la Fondazione ha poi organizzato dei dialoghi focalizzati sugli otto codici alla base del metodo stesso. Abbiamo poi attivato delle alleanze o collaborazioni tra cui quella con la Fondazione Zeri, da cui è nato l'attuale ciclo di conferenze focalizzato sui nuovi spazi espositivi dagli anni Cinquanta.
All’interno della Fondazione c’è anche il Museo….
GFR: Parallelamente alla Fondazione è stato progettato il Museo d’arte come elemento interconnesso alla Fondazione stessa, ma al contempo separato. Un nuovo modello di Museo archeologico che espone i reperti non cronologicamente e li innesta con opere contemporanee, creando accostamenti visivi delicati e molto semplici da comprendere. Un altro nostro obiettivo è infatti quello di rendere un museo archeologico interessante per tutti, non solo per gli specialisti. Per farlo, il percorso deve essere agile, veloce, innanzitutto emozionale, molto semplice dal punto di vista della riconoscibilità delle forme e degli oggetti esposti. Lo spazio al piano ipogeo ad esempio, ti avvolge: l’imponente architettura delle cupole in pietra esalta gli oggetti esposti nelle vetrine. Il visitatore, inoltre, è incuriosito dagli innesti di arte contemporanea che in alcuni casi si mimetizzano con i reperti antichi (pensiamo al piccolo Sumero in oro di Gino De Dominicis posto all’interno degli ori antichi).
Per quanto invece riguarda il piano nobile, in cui è l’arte contemporanea a dominare gli spazi, avete chiesto a Luigi Ontani, Giulio Paolini e Francesco Simeti, di concepire opere capaci di “ridisegnare” la stanza a ciascuno di questi affidata, tanto che quegli ambienti sono diventati rispettivamente la “Sala Ontani”, la “Sala Paolini” e la “Galleria Simeti”. Perché avete scelto proprio questi artisti?
GFR: Ho da subito instaurato un dialogo diretto, continuo, con ogni artista chiamato a concepire opere create per i nostri spazi e in stretto dialogo con essi, non solo con Ontani e con Paolini.
Giulio Paolini è un amico e avevamo già collaborato al volume L’autore che credeva di esistere nel 2012 pubblicato da Johan & Levi.
Anche con Francesco Simeti avevamo già collaborato per gli spazi in azienda: per il piano nobile del Museo ha realizzato due arazzi che reinterpretano gli arazzi fiamminghi originariamente presenti, mentre nella sala delle armi spicca la grande opera di Marianna Kennedy As Above So Below, un grande specchio, che riproduce un roseto in legno intagliato e dipinto.
La scelta di coinvolgere Ontani nella realizzazione dei grandi acquerelli nella originaria sala da pranzo è scaturita da un suo piccolo acquerello della mia collezione. Dopo il nostro incontro a Roma Ontani, accompagnato da Emanuele Trevi, ha ripercorso il viaggio di Lawrence in Etruria alla ricerca anche delle proprie radici. Luigi Ontani infatti è nato a Vergato, piccolo centro vicino a Marzabotto, una fra le più importanti città fondate dagli etruschi.
Nella realizzazione delle sale gli artisti hanno scelto anche il colore delle pareti: bianco per la Sala Paolini e cardinalizio per la Sala Ontani.
All'interno delle sale del piano nobile il dialogo tra contemporaneo e antico continua con l'esposizione di reperti archeologici di varie provenienze.
A quando risale il suo avvicinamento all’arte contemporanea?
GFR: L’amore per l’arte contemporanea è nato quando, dopo la mia laurea in medicina e l’ingresso in azienda, ho cominciato a viaggiare nel mondo. In quegli anni, a New York, ho conosciuto Leo Castelli e Ileana Sonnabend. Ho acquistato le prime opere della mia collezione da Philppe Daverio (la prima è stato un lavoro di Loredana Gandolfi) per poi conoscere Lia Rumma e Salvatore Ala. Viaggiando spesso negli USA, grazie anche alla grande amicizia che mi legava ad Alfredo De Marzio (Presidente Rizzoli International), ho constatato che non erano disponibili per i lettori italiani pubblicazioni sull’arte contemporanea e soprattutto le biografie dei grandi artisti americani. Nel 2005 nasce quindi la casa editrice Johan & Levi.
Il contrasto e la messa in dialogo tra il contemporaneo e l’archeologia, che costituisce il carattere fondante del Museo, nasce dunque da una sua passione per entrambe le epoche artistiche?
GFR: Sì, e il contrasto tra l’ipogeo e il piano nobile è la nostra forza, nonché frutto di “azzardi”: nella costruzione del Museo abbiamo espresso il desiderio di innovazione e il desiderio di voler scardinare la museologia tradizionale. Il pubblico ci ha dato ragione: una visitatrice è tornata ben tre volte perché ci ha detto che il luogo la metteva a suo agio, si sentiva a casa.
Il sentirsi bene rimanda all’altra mission della Fondazione che è legata alla ricerca in merito al rapporto tra salute e arte?
GFR:Ho sempre prestato attenzione ai musei: entrare in un museo mi ha sempre dato un grande benessere psicofisico. Ormai anche gli studi dimostrano come l’arte aiuti nella cura di molte patologie e i musei stanno lavorando su questo aspetto. Il museo è un luogo “altro”, che ti stimola e ti emoziona, e dove ogni volta scopri qualcosa di nuovo. Rendere il nostro museo un luogo di costante frequentazione è per noi un obbiettivo importante. Per questo le mostre temporanee sono inserite nel percorso permanente (incluse sempre nel biglietto di ingresso) e anzi in alcuni casi possono anche modificarlo ruotando le opere della collezione. Al piano nobile verrà a breve ospitato un importante reperto etrusco proveniente dal museo di Cortona, che porrà di nuovo l'attenzione sul lampadario di Diego Giacometti posto all'ingresso in un implicito dialogo a distanza. Nell’ipogeo, invece, la scrittura etrusca costituisce il focus della prima esposizione temporanea che avrà come protagoniste la Stele di Vicchio e la Stele di Kaminia, importanti testimonianze della lingua etrusca.
Qual è stata la prima mostra temporanea che avete ospitato?
GFR: La prima mostra temporanea è stata quella di Sabrina Mezzaqui intitolata “La vulnerabilità delle cose preziose”, nello Spazio Bianco al piano nobile.
Quanti visitatori avete avuto nelle prime settimane dall’apertura del palazzo?
GFR: Abbiamo avuto 20.000 visitatori dall’apertura gratuita del palazzo fino al primo ottobre, termine della gratuità. Ancora oggi abbiamo la conferma di questi numeri.
Secondo Lei, quali sono state le scelte che hanno incentivato o agevolato la visita al museo da parte del pubblico?
GFR: Importante è stata anche la scelta della Fondazione di aprire il palazzo e in un secondo momento il Museo, così come la scelta di aprire al pubblico il Palazzo e il Museo per un periodo gratuito, senza un opening riservato.
La scelta di aprire prima il palazzo era per noi funzionale a dare risalto al grande lavoro di ristrutturazione realizzato, che si è svolto prestando una grande attenzione alla sostenibilità seguendo la filosofia dell’architetto Cucinella.
In luglio sono iniziate le attività con una serie di conferenze e con l’apertura della Sala Studio, dello Shop museale di Johan & Levi, del Caffè-bistrot, del Ristorante gastronomico dello chef Andrea Aprea, del giardino e del Padiglione d’arte.
La posizione così centrale di fronte ai giardini Montanelli in un’area dove sono presenti molti altri musei ha sicuramente agevolato la visita.
Il gradimento da parte dei visitatori è stato misurato anche grazie a questionari somministrati attraverso dei totem interattivi posizionati all’ingresso: su una scala da 1 a 10 l’indice di gradimento è di 8.5, confermando che lo spazio piace alle persone.
Come si inseriscono la vostra biblioteca e il vostro archivio all’interno delle attività della Fondazione e del Museo?
GFR: Come accade ormai per tutte le biblioteche ubicate nelle grandi città, gli spazi sono ridotti; perciò abbiamo realizzato nel 2020 la biblioteca e l’Archivio nella nostra struttura di Monza, dove invece disponiamo di ampi spazi. Con l’apertura del museo diamo la possibilità a chi ne fa richiesta, di ricevere e poter consultare i libri in Sala Studio in Fondazione.
Come invece viene sviluppata la mission scientifica della Fondazione?
GFR: La Fondazione ha siglato convenzioni con la cattedra di Etruscologia dell’Università Statale di Milano e con la Facoltà di Archeologia dell’Università Cattolica.
Con la Duke University e il professor Forte collaboriamo e sosteniamo in parte la campagna di scavi a Vulci.
Abbiamo finanziato borse di studio per gli studenti dell’Università Cattolica impegnati negli scavi a Populonia.
Un’importante collaborazione è nata con l’Istituto Nazionale di studi Italici ed Etruschi che ha portato alla digitalizzazione della rivista Studi Etruschi, che ha permesso, specialmente durante la pandemia, la consultazione da parte degli studiosi di tutto il mondo.
Per quanto riguarda invece il welfare culturale abbiamo finanziato borse di studio al primo Master executive Cultura e Salute promosso da CCW Cultural Welfare Center.
Tornando a parlare del Museo: se da un lato desiderate scardinare la tradizionale modalità espositiva dei musei archeologici, dall’altra quale mission vi prefiggete in merito all’arte contemporanea?
GFR: L’arte contemporanea ha un pubblico molto selezionato e di élite, anche perché ha grande peso la parte economica legata al mercato dell’arte.
L’arte contemporanea è diventata uno status symbol, quasi un marchio: possedere opere dei grandi artisti contemporanei è attività perseguita dai grandi marchi della moda e del design, poiché il contemporaneo è accessibile ad un pubblico high spending. La Fondazione Luigi Rovati ha come finalità ultima l’utilità sociale: uno spazio aperto alla comunità.