Zavattini diarista: zibaldoni e progetti

25 Ottobre 2022

Questo primo volume dei Diari di Cesare Zavattini (a cura di Valentina Fortichiari e Gualtiero De Santi, La nave di Teseo, pagg. 640) comprende gli anni 1941-1958. Sono forse gli anni più significativi di Zavattini uomo e uomo di cinema, nel pieno della maturità esistenziale e artistica. Anni di radicali cambiamenti storici e personali, dalla seconda guerra mondiale al boom economico, dal fascismo alla nascita della repubblica. Per Zavattini sono gli anni che segnano il passaggio dalla letteratura al cinema, nei quali diventa uno dei principali esponenti del neorealismo italiano insieme a Roberto Rossellini, Vittorio De Sica e Luchino Visconti. Con una differenza però sostanziale: che i tre nominati sono i registi e lui l’autore dei soggetti e delle sceneggiature. I registi sono in primo piano, lo sceneggiatore no e talvolta addirittura scompare dai titoli di testa e di coda. È una battaglia per il riconoscimento di un ruolo e di un lavoro che Zavattini condusse per tutta la vita, con indubbi riconoscimenti ma anche con risultati che si sono visti soprattutto e talora soltanto negli ultimi decenni. Il suo rapporto con De Sica mi ricorda quello di Ennio Flaiano con Federico Fellini, altrettanto sofferto.

Questi diari, di cui sono previsti altri due volumi, sono bellissimi e ricchissimi: appassionanti. Zavattini non si risparmia e manifesta la sua straordinaria generosità di uomo e di scrittore. Sono anche diari tormentati, autentici nella loro sincerità di parte, come in ogni diario e in ogni autobiografia. Zavattini si innamora del genere del diario, in particolare del modello del Journal di Jules Renard, tra i massimi esempi contemporanei. Lo cita più volte con ammirazione e immedesimazione (e necessario contrasto): «(6 gennaio 1944) Continuo la lettura del Journal di Renard. Impressionanti somiglianze con me: timidezza, vanità (si dirà che sono di tutti gli scrittori, ma questa di Renard è la mia); desiderio di essere maître del suo paese (anche di lui il parroco dice male), e di fare un romanzo sul suo paese (vedi miei appunti sull’idea del romanzo Luzzara) e l’amore della brevità […] anche Renard è sincero a metà. E a me non manca nessuno dei difetti di Renard».  

Questi diari possono essere letti in più modi e prospettive. Ricordano pure i libri di ricordi umanistici e rinascimentali, in cui si teneva nota dei conti, delle questioni famigliari ed economiche. Sono zibaldoni di testi e di appunti, miniere di idee e di progetti, come quelli di Montaigne, Jean Paul, Hawthorne, Leopardi. Pieni di aneddoti e di ritratti, di moralità e di aforismi come i pensieri di Chamfort. Di memorie e ritratti del proprio paese, della realistica e a un tempo mitica Luzzara. Basti qualche rapido esempio: «(27 luglio 1950) Quando alziamo la testa col timore che uno ci veda, specie da lontano, c’è sempre qualcuno.»; «(31 luglio 1950) Bontempelli: entra in casa mia, vede il suo volume sulla lirica italiana (in biblioteca) e lo indica.

La Masino gli dice con voce tremenda: “Smettila di guardarti.” Lui dice: “Ma l’ho visto.” Lei: “Smettila.”»; «(13 agosto 1950) Penso al film su Van Gogh mentre mangio di notte cotolette alla bolognese e bevo lambrusco.»; «(1 settembre 1950) Mese fra i più intensi della mia vita. Per esperienza, per dolore (dolore della vanità), ho perso nove decimi delle illusioni.»; «(2 febbraio 1952) A cena dalla Pecci Blunt (Moravia, Piovene e moglie, la Morante, la Chittaro). Dice la Morante: dev’essere bello fare l’amore con un prete cioè tirare su delle sottane e trovarci…» 

Momenti, aspetti e note di vita quotidiana, espresse in una quantità e varietà di forme brevi, nel pieno rispetto creativo della tradizione.

Credo tuttavia che il fulcro principale di questi anni di diario sia costituito dal cinema. È qui che si concentrano l’interesse, l’ansia, la preoccupazione, la rabbia, lo sconforto, l’entusiasmo e il disincanto di Zavattini, vulcanico nelle proposte e sempre pronto a ricominciare anche dopo le delusioni più cocenti. La maggior parte delle pagine è dedicata al rapporto con Vittorio De Sica, fonte di splendide soddisfazioni e di continue frustrazioni.

È il principale compagno di scena, nel bene e nel male. In certi momenti così beffardamente velenoso da indurlo a considerazioni che rasentano la disperazione: «(10 dicembre 1951) Ieri giornata nera, da suicidio. Mi hanno letto per telefono il pezzo che De Sica ha scritto per “Copione” circa regia e soggetto in Umberto D., domanda fattagli dal “Copione” stesso. Dice cose talmente false e artificiose che sono stato male tutto il giorno e gli ho scritto una lettera per troncare la nostra collaborazione.

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Poi la lettera non gliel’ho mandata. Ho letto oggi anche articoli in cui lui parla di Miracolo a Milano, dei suoi contenuti ecc., come se li pensasse lui. Ciò è mostruoso, lui usa le frasi degli articoli che scrivono su di lui, e le mie frasi. Che cosa posso aspettarmi da uno così? Qualsiasi brutta azione ancora.» Sono gli anni che vanno dal successo mondiale di Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948) ai capolavori Miracolo a Milano (1951) e Umberto D. (1952), a Stazione Termini (1953), L’oro di Napoli (1954), Il tetto (1956).

Non poteva naturalmente mancare Roberto Rossellini: «(22 luglio 1950) Rossellini mi invita a colazione. Dice che vuole fare un film con me. Parliamo dell’autore del film. Dice che autore è colui che inventa le cose, non si può, aggiungo io, fidarsi su nessun apriorismo (il regista – lo scrittore – il produttore).»; «(25 luglio 1950) Rossellini è veramente un buffone. Capisco come fa: succhia un po’ qui e un po’ là.»; «(3 febbraio 1952) Due volte a colazione con Rossellini-Bergman, e una volta a cena. Loro confidenze. Vedo S. Francesco. Importante in ogni caso malgrado i suoi difetti. Rossellini mi dice che la sola persona di cui è geloso sono io. Mette me su un piano più alto di De Sica. Dico che De Sica e io ci completiamo.» 

A cui si aggiungono in un eccezionale e variegato concerto di voci Blasetti, Visconti, De Santis, Soldati, Monicelli, Lattuada, Maselli, Ponti, Sordi, Magnani, in breve tutti i protagonisti del cinema italiano del Novecento. 

Al cinema si alternano la letteratura e il giornalismo, in cui primeggiano il rapporto affettuoso e professionale con Valentino Bompiani, i tanti progetti di giornali e riviste, la minuta quotidianità dei premi letterari: «(9-11 giugno 1947) Do il voto a Flaiano per “Amici della Domenica”»; «(31 luglio 1950) Giorni fa è venuta la Palma Bucarelli a raccomandarmi Monelli per il premio Viareggio. È venuta oggi la Saba a raccomandarmi come sopra Levi.»

Prima lo sbandamento e la tragedia della guerra; poi le opportunità e le speranze della politica, l’ispirato e assiduo impegno per la pace, il respiro delle relazioni internazionali; accanto ai dubbi religiosi, alle inquietudini e alle angustie famigliari, economiche e professionali, l’insonnia e i turbamenti sanitari: «(3 marzo 1952) Sono arrivate le tasse, milioni da pagare.

C’è il pericolo di non riuscire abbastanza per pagarle tutte. C’è anche una causa di plagio promossa da Campanile con molta malignità per Buongiorno, elefante!. C’è tutti gli armeggi di Andreotti e compagni contro di me, c’è l’ambiguità di De Sica, circa Andreotti, circa il viaggio in America in cui mi pare loro alleato per riuscire a fare meno scandalo che si può del rifiuto del passaporto a me: a tutt’oggi risulta che De Sica ce l’ha e io no. Ma non devo precipitare giudizi. Inoltre ho dei notevoli disturbi, fitte fortissime al cuore.»

Come la passione liberatoria dell’arte e della pittura: «(31 dicembre 1950) Stanotte ripreso a dipingere alle 4. Un momento di felicità di colore come una volta»; lo slancio lucido ed emotivo per la bontà: «(17 luglio 1950) la bontà è la chiave di tutto. Bontà è felicità.»; e il «cuore» saldamente e inscindibilmente ancorato a Luzzara (2 febbraio 1951).

Nei momenti sereni e leggeri aleggia un tono di scanzonata e rivelatoria furbizia: «(13 agosto 1950) Tutti dicono, gli ospiti: quanta roba ha Zavattini, quando offro: birra, aranciate, coca cole, chinotti, minerale. Dicono: che ricco, si vede proprio l’invidia in moto. Invece abbiamo la latteria sotto e mandiamo giù il cestino e tiriamo su con la cordicella birra, coca cola, e quello che gli ospiti desiderano.» Oltre a una lungimirante e ironica visione del proprio destino: «(11 maggio 1948) È inutile, signori, che cerchiate di diminuire la mia fama: io sarò famoso per le grandi cose che non ho fatto.» 

Eccellente la curatela di Valentina Fortichiari e di Gualtiero De Santi. A Fortichiari si deve da decenni la cura, l’intelligenza e la pubblicazione di molti testi e opere dello zio Cesare Zavattini, una dedizione meticolosa e lenticolare, amorevole e illuminante. 

Riconoscenti, aspettiamo perciò al più presto l’uscita dei due prossimi volumi.

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