Un ritratto immaginario di Alice Zanotti / Amelia Rosselli, Tutti gli appuntamenti mancati
Come si ricostruisce un ricordo, cosa si mette nella valigia della memoria, come si dispongono i ricordi, quali sono i fatti da tenere, le immagini da lasciare, quale lingua usare contro l’oblio, come preservare tutto dalla polvere del tempo, quali i suoni da inventare, e, soprattutto, cosa fare con gli spazi lasciati vuoti a causa di ciò che si è dimenticato. Ovvero, come sopravvivere al passato e resistere nel presente, pensare un futuro. Forse, il taccuino in tasca durante le lunghissime camminate era un modo per governare tutto ciò: “Scriveva di pensieri e di passi, intanto, a frammenti su quaderni che rimetteva poi nelle tasche della giacca, e quando lo faceva usava la penna, e scriveva e andava avanti e indietro nel quartiere lungo il fiume, dove ha abitato prima di trasferirsi in via del Corallo”.
Lo leggiamo nel libro Tutti gli appuntamenti mancati. Un ritratto immaginario di Amelia Rosselli di Alice Zanotti, uscito per Bompiani da poche settimane. È un romanzo che narra la vita della grande poetessa, un racconto che recupera, inevitabilmente, la storia della sua grande famiglia da cui si è avviata la “tempesta” di vita di Amelia. Una tempesta di fatti storici tragici, una tempesta lunga tutta la sua resistenza nella vita, ma anche una tempesta di parole poetiche, di suoni fantastici, di amici e incontri.
Un libro che nasce dallo stretto contatto dell’autrice, Alice Zanotti, convivenza si può dedurre, con le carte di Amelia Rosselli, non solo le poesie ma anche le lettere e altri scritti, e con i testi su Amelia Rosselli: una sorta di immersione – evocando l’acqua tanto presente in questa storia – nella vita della poetessa in un continuo specchio di ruoli.
La narrazione si dipana in 3 capitoli e una data: i tre capitoli portano tre nomi, Melina, Marion, Amelia, che sono la poetessa stessa nelle tre fasi della sua vita perché, come si legge, “Amelia ha un nome ma ne rivuole tre. Ne ha avuto uno per quando era bambina, un altro per se stessa da ragazza, e uno per adesso. L’ambizione è desiderio, il desiderio è che tutte le cose abbiano tre nomi, uno per quando sono nuove, uno per quando si rompono ma possono essere aggiustate, uno per quando non c’è niente da fare”. La data è il suo ultimo giorno, l’11 febbraio 1996. Roma.
In questi capitoli la narrazione si dipana con una storia esterna che segue la cronologia degli eventi, spesso in terza persona, e una storia interna, in prima persona, che segue l’addensarsi e rarefarsi dei fatti come appaiono nell’urgenza del pensiero di Amelia. È un entrare in pantofole nella sua vita, stare in mezzo alla sua famiglia, guardare la forza e la fragilità dei suoi genitori, Marion Catherine Cave e Carlo Rosselli, seguire i pensieri e i passi della stoica nonna, Amelia Rosselli, degli amici, reali o irreali, degli affetti, delle stanchezze. È come sostare nelle sue carte e rintracciare, così nella narrazione che ne fa Zanotti, da dove possono esse nati alcuni suoi versi, assistere agli incontri forieri di poesia. Ma è anche stare nel suo pensiero, nella sua testa e nel suo cuore, perché la narrazione in prima persona, dove Amelia stessa parla applicando al suo pensiero la punteggiatura e parte di quella lingua che tanto la contraddistingue, porta direttamente al di qua degli occhi della poetessa, a vedere i piedi del padre mentre lei sta accovacciata sotto il tavolo, a guardare i capelli stanchi della madre, a scrutare il passo lento della nonna, a toccare i tasti del pianoforte, a vedere addirittura i suoi personaggi inventati, le sue ossessioni; a vedere le finestre di tutte le case dove ha abitato, da Parigi a tutte le case di Roma, passando per gli Stati Uniti e le finestre dei sanatori che l’hanno ospitata, fino all’ultima.
Alice Zanotti accerchia Amelia sempre con un paesaggio, i luoghi dove cammina e respira, vive e passa: una Roma spettacolare, piena di storia e ricordi come lei, una città scomposta e scenografica dove poter ricollocare anche la propria di vita, “[…] si accontenta di guardare il rudere svuotato che è Roma di mattina, Un allestimento teatrale, il sogno più luminoso e scomponibile. E per le strade ancora non c’è nessuno”. Roma che la accoglie quando ha vent’anni e la coccola, ma accoglie anche le sue ossessioni e dunque talvolta la invita alla fuga; “un rudere svotato” come può darsi si senta Amelia alla ricerca di un “deposito di oggetti” da salvare “Perché non sfarinino, perché non perdano i contorni come i miei ricordi, perché siano riconoscibili anche dopo”.
Una Amelia in bilico tra il farsi ghiaccio e non sentire nulla – “Ma l’aria, seppur pungente di inverno, non è abbastanza fredda per lei che ora vorrebbe solo esser ricoperta da una pelle che non sente, indifferente, insensibile a tutto ciò che può far male, come un’armatura gelata.” – che ricorda molto una storia simile quanto differente descritta in versi in quegli anni ma in altre latitudini, quella di Janet Frame che in una sua poesia dichiara di volersi congratulare “coi ghiaccioli per il loro rigore” perché “i loro cuori duri non cederanno mai”; in bilico con il sentire e ricordare tutto, “…perché adesso il suo compito è mettere in fila i ricordi, nessuna distrazione, deve far ordine, non può occuparsi d’altro, deve passarli in rassegna…”.
Mettere in fila i ricordi scioglie il ghiaccio e rende la fatica di un passato in cui c’era e in cui non c’era ma ha visto tutto: l’assassinio del padre e dello zio, non c’era ma nella strada e nel bosco lei c’era, la morte della madre, non c’era ma lei era lì in quella stanza accanto a quel letto in cui un materasso era stato tolto per non cedere alla tentazione di ricordarvi il marito, con la nonna mentre seduta nel letto di Carlo ragazzo decide di lasciar entrare quel vento che la porterà via.
I ricordi sono da mettere in fila “ma i bagliori illuminavano spicchi di memorie acuminate, frammenti taglienti”, come negli anni 50 nella medesima città, Roma, scriveva in versi Goliarda Sapienza: “…pensieri acuminati / da terrori taglienti”. Tanto che talvolta il desiderio è smarrire ciò che si è visto e ciò che si è immaginato, le immagini e le parole che portano la paura del passato, il ricordo della sofferenza quasi che dimenticare possa equivalere a salvarsi; ricorda l’ultima pagina di Il letto è una rosa, il romanzo di memorie di Monica Vitti, in cui si può leggere: “[Il dubbio] mi manda sulle labbra e nelle orecchie, parole che avrei voluto cancellare dalla mia memoria e dal mio vocabolario. Visi, suoni, profumi, urla, che avevo chiusi fuori dalla porta. […] Vuole vedermi impazzire”.
Questo di Alice Zanotti è un libro bellissimo, il libro di una scrittrice che non solo incontra la storia ma pure entra nella storia, nell’esistenza del suo personaggio, che è un personaggio storico. È un racconto che rispetta la realtà ma che va, e conduce, anche altrove. Zanotti ha riacceso la luce su tutte quelle parti della storia che riguardano Amelia Rosselli e la sua famiglia, e ha acceso la luce, una luce bellissima, in parti che stanno in ombra, che ora noi lettori possiamo vedere bene e crederci. E come per Amelia “il ricordo è una via che non ha mai visto, una via vicina al bosco”, per il lettore di questo romanzo la vita di Amelia Rosselli è una via che diviene ricordo.