Reinventare Goliarda Sapienza
Goliarda di Angelo Pellegrino, da poco uscito per Einaudi, è un romanzo che narra la vita di Goliarda Sapienza e di suo marito, Angelo Pellegrino, negli anni della loro vita insieme trascorsa tra Gaeta e Roma. L’espediente letterario, ciò che fa aprire anche dolorosamente lo scrigno dei ricordi, è il personaggio di una giovane fotografa che ha intenzione di fare un lavoro fotografico sui luoghi dell’autrice di L’arte della gioia.
Così Judith, fotografa innamorata delle opere di Sapienza, contatta Pellegrino per farsi accompagnare e farsi raccontare i loro “dove” della scrittura e della vita. La voce narrante si rivolge a 3 persone: a Iuzza, dunque Goliarda, a Judith, e alla lettrice o al lettore. È una narrazione che si snoda tra il ricordo dell’autore e il ricordo dei ricordi di Sapienza, un rimestare nelle vite che rende il testo vivo e presente a noi, forse perché è l’ora che sia di tutti coloro che lo leggono Goliarda Sapienza: “[…] perché sei proprio tu, Iuzza, ad aver aperto questo vaso chiuso della nostra vita isolata con le tue innumerevoli pagine che io stesso ho pubblicato. Inutile tenere lo scrigno ancora chiuso, ormai appartiene e tutti, per sempre”.
Inizia così un viaggio incredibile e appassionante tra parola e immagine, tra visione e parola, che conduce per mano in un mondo privato, talvolta privatissimo: il mondo della coppia Sapienza Pellegrino. Si parte da Roma dove Angelo tira fuori dopo molti anni alcune fotografie che ritraggono la scrittrice in giovane età e la loro descrizione, che riporta conversazioni private avvenute nel tempo tra la coppia, danno lo spazio per reimmaginare e aggiungere tasselli a una esistenza così tanto raccontata già dall’autrice stessa.
La collocazione di questa prima tappa del romanzo è già essa stessa un luogo del vedere e dell’immaginare, in quanto è la casa romana dove i due scrittori hanno vissuto ed è facile farsi portare via, durante la lettura, da molti dettagli come quello del cactus che c’è ancora e che Goliarda vedeva sempre dalla finestra, dalla loro terrazza che porta a un panorama che lei durante la sua vita ha visto coi propri occhi chissà quante volte.
E mentre la lettrice o il lettore appassionato da questi dettagli sta girovagando per le pagine creandosi una visione di ogni parte di racconto, è inevitabile che si senta un poco Judith, che in alcuni momenti vorrebbe sapere di più e in altri sembra cercare il modo di immagazzinare ciò che sta vedendo e sentendo. Ed è in questa dimensione romana che lega Goliarda Sapienza a una casa e a dei rituali che la scena cambia e diviene Gaeta.
E a Gaeta, luogo eletto dalla coppia per scappare dal caos della capitale e potersi ritirare in una dimensione di scrittura e vita simbiotica, l’immaginario della lettrice e del lettore inizia ad affollarsi di quello che Pellegrino racconta come “Il mondo intorno a noi”, per stringere sempre più la lente sul mondo tra di loro e il mondo che loro costituivano.
Loro redigevano insieme, vivevano insieme, lavoravano uno alle cose dell’altra, pensavano insieme: “Scrivevamo insieme, gomito a gomito, ciascuno le proprie cose senza darci il minimo fastidio, anzi ci spronavamo a vicenda, mangiucchiando ogni tanto qualcosa che avevamo cucinato prima per non interrompere il lavoro”.
Questo pezzo di vita di Goliarda a Gaeta è da leggersi a occhi non spalancati, a causa della moltissima luce che imperversa nella narrazione, un sole sempre alto su Gaeta, sulla vita della coppia e sul ricordo di quella vita che fa quasi socchiudere le palpebre per il bagliore; ma è da leggersi anche non a cuore aperto, per il troppo amore che rischia di entrarvi e traboccare, l’amore per quei luoghi, per lo scrivere, per la letteratura, per le persone, l’amore tra di loro.
Non si pensi di assistere a una messa in scena di un antico amore a cui si partecipa quasi guardando dal buco della serratura per carpire segreti e ombre, non si tratta di questo. Si tratta di una donna narrata a distanza di molti anni dalla sua dipartita, una donna narrata da una voce che con lei ha vissuto così inscindibilmente: finalmente la scrittrice che per molti è una donna di carta – sempre solo letta – diviene una scrittrice in carne e ossa.
È incredibile come durante questo libro Goliarda prenda, in modo stupefacente, fattezze umane lasciando il suo vestimento consueto di carta. La vediamo nuotare fino allo scoglio preferito, scrivere il suo grande romanzo in una casa il cui pavimento crollerà e poi scrivere in un altro appartamento dove, nella terrazza, fa i “bagni di sole” – “l’acqua di due grandi secchi colmi che la lunga esposizione ai raggi del sole aveva non solo riscaldato ma fatto fermentare, con le bollicine che galleggiavano sulla superficie. Svuotare sulla testa, tutta in una volta, quell’acqua speciale… […]” – la sua spesa, le sue piante e i suoi incontri, fino al suo incontro con la morte.
Alcune descrizioni che fa il personaggio Pellegrino a una Judith giovane rimangono impresse per l’accoratezza, alcune altre descrizioni che non fa a Judith ma alla lettrice o al lettore stupiscono per la vividezza del ricordo, quasi lo scrigno dei ricordi una volta forzato non potesse trattenere odori, sapori, affetti, colori e anche dolori. Dolori e sofferenze non mancano, come potrebbero, nel ricordare come “la scrittrice in quanto tale a un certo punto fu assassinata”, nel ricordare “il disegno a matita tracciato dai carabinieri sulla parete a sinistra del portone per descrivere la traiettoria della sua caduta [...]”.
La riflessione della voce narrante a volte si incrina nel ricordare gli anni in cui Goliarda è più stanca a causa dell’età e delle delusioni editoriali, il corpo non ha più lo scatto di qualche anno prima nel raggiungere uno scoglio o salire una scala. Il ricordo è così pieno perché il narratore stesso, di oltre vent’anni più giovane e destinato a sopravviverle, a custodire e condividerne la memoria, nel fatale compimento degli anni che scorrono, è ora in quella medesima situazione che percepisce come uno scacco di fronte allo scatto energico della giovane fotografa Judith lungo i luoghi della narrazione. È la vita che compie i suoi giri e torna, lui ora è la lei di allora, ma lei a quel tempo come avvertiva questo affaticamento, lo guardava in faccia? Chi conosce l’opera di Goliarda Sapienza conosce la risposta.
Angelo Pellegrino con questo romanzo ci restituisce una donna, Goliarda, che è vita e letteratura, che è umanità e scrittura, la cui esistenza non è separabile dall’arte; ci riporta una esistenza, la loro esistenza, non per “l’occhio del mondo” ma per la condivisione col mondo. Pellegrino ci narra un modo e un mondo per dire grazie.
Leggi anche:
Anna Toscano | Goliarda Sapienza: scrittura dell’anima nuda
Anna Toscano | Maria Giudice, prima di Goliarda
Anna Toscano | Goliarda Sapienza: Lettere e biglietti
Anna Toscano | Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza
Anna Toscano | Goliarda Sapienza: 50 anni di Lettera aperta
Anna Toscano | Goliarda Sapienza, andando all’indietro