Parodia linguistica e lingua letteraria / Andrea Camilleri, in pirsona
Sul finire dell’anno scorso, la Lettura del Corriere della Sera ha dedicato due ampie pagine ai triboli dei traduttori alle prese con espressioni letterarie stravaganti. Tra gli altri, ha tirato in ballo il caso di Andrea Camilleri. La sua prosa ha certo dato filo da torcere ai traduttori. In un riquadro, al centro delle due pagine, una parola ne è stata proposta con enfasi come emblema: pirsona. Scelta azzeccatissima: in pirsona, c’è infatti Camilleri per intero. Non però perché pirsona sia la “pronuncia siciliana per «persona»”. Dice così quel riquadro e propala una bufala. Infatti, all’italiano persona corrisponde il siciliano pirsuna e non pirsona.
Si penserà che è un dettaglio da nulla. E invece no. La differenza pertinente tra italiano (e toscano) persona e siciliano pirsuna sta proprio nella vocale colpita dall’accento. La quintessenza linguistica di ciò che si può dire siciliano risiede insomma in quella u, come nel caso di amore e amuri.
Non c’è la u in pirsona, cioè nella bandiera della prosa di Camilleri. Vi è assente non a casaccio, va aggiunto. Lo scrittore, com’è noto, ha sempre limato con grande scrupolo un’espressione cui sa di dovere molta parte del suo successo. Cos’è allora il suo pirsona?
È una parodia. E non è forse inutile si sappia che, prima di comparire sotto la penna di Camilleri, tale parodia, come del resto molte altre presenti in quella prosa, ricorreva oralmente già in Sicilia. Lo faceva sulle labbra di chi satireggiava la parlata di ipotetici incolti e di villani rifatti che avessero appunto provato a “toscaneggiare”. Si diceva così un dì (e non solo in Sicilia) di chi, nella sua mal controllata espressione, affettava malamente modi linguistici alti: una maschera della commedia che veniva messa spesso in scena, col racconto di gustosi aneddoti, nelle case della borghesia provinciale dalle aspirazioni intellettuali.
In un palcoscenico siffatto, pirsona era il persona presuntamente colto sulle labbra di un ideale rappresentante siciliano di tale maschera. Costui vi avrebbe proiettato, ripulendolo, il suo nativo pirsuna. Che poi il pirsuna villanamente interpretato avesse mai veramente suonato pirsona e che la maschera così stilizzata corrispondesse a “pirsuni” reali poco importava. La parodia voleva così suonasse.
Secondato da un andazzo, Andrea Camilleri ha indubbiamente avuto un colpo di genio, in proposito. Il suo pirsona lo dimostra alla perfezione: da tipico “tragediaturi” (con la u, si noti), della parodia linguistica che ebbe corso nei tinelli della sua gioventù girgentana, egli ha fatto una lingua letteraria. E la lingua stilizzata e teatrale con cui, in famiglia o tra sodali, i siciliani “studiati” come lui mettevano alla berlina i siciliani culturalmente “puvirazzi” è paradossalmente diventata la sua prosa popolare.
C’è da dubitare lo sappiano i traduttori di Camilleri, cui però non si vogliono qui procurare ulteriori triboli. C’è del resto persino da dubitare ne sia ben consapevole l’ineguale coro dei suoi esegeti.
Questo articolo è stato pubblicato, in versione ridotta e sotto altro titolo, dal “Corriere del Ticino” il 21 agosto 2017.