Anna Zafesova e i destini incrociati

10 Giugno 2022

Il 4 giugno 1976, in un villaggio rurale della Oblast’ di Mosca, nasceva Alexey Navalny. Per coincidenza, esattamente 46 anni dopo, quasi come un dono di compleanno, il libro Navalny contro Putin di Anna Zafesova, edito da Paesi Edizioni nel 2021, è stato proclamato vincitore del Premio di saggistica Cerruglio. L’agilità e la genesi del libro, che si presenta come un instant book per il fatto di parlare di eventi appena verificatisi, non traggano in inganno. Il passo sicuro di chi conosce bene la materia e le argomentazioni strutturate e ricche di informazioni – al netto del registro epico che racconta la collusione inevitabile fra i due come se fossero Al Pacino e Roberto De Niro in The Heat – ne lasciano presagire una durata più ampia. “L’ora X della Russia contemporanea scatta all’alba del 20 agosto 2020, quando Alexey Navalny perde conoscenza e cade sulla moquette del corridoio di un aereo low cost nel cielo della Siberia.”

Le persone che amano la Russia sono attente a non farsi risucchiare dal gioco della politica e a non farsi prendere dalla stessa leggerezza che esibiscono quando trattano una democrazia normale: nella storia russa è tutto così intricato e incomprensibile che anche le persone più barricadere si infilano le pattine per non urtare nessuno. Ci si trova di fronte a dei processi talmente complessi, oscuri e machiavellici che a fare il tifo per una parte o per l’altra ci si sente un po’ sciocchi. (Un po’ come quando ho votato il partito Yabloko di Yavlinski, ben sapendo che non avrebbe avuto più chance di un venditore di kvas col suo sifone a due ruote che si fosse autocandidato presentandosi una mattina nella piazza Rossa.) Non ci sono dubbi, fra vaticanisti e cremlinologi i secondi devono avere un QI più elevato. Ecco perché apprezzo la tesi di Anna Zafesova: perché ci invita a uscire dalla zona di relativo comfort in cui ci siamo comprensibilmente confinati e per la quale tutto ciò che succede oltre cortina deve essere considerato con occhiali speciali, sotto una giurisdizione dello spirito chissà perché a sé stante. Anna Zafesova ci invita a sgomberare il campo dalle paranoie e dal cinismo, ci richiama al senso di realtà, ci spinge ad avere fiducia nelle chance del cambiamento, che in Russia passano soprattutto attraverso un fattore generazionale. 

Prigov

La politica è un fatto violento, chi detiene il potere dalla parte del manico non fa sconti e lo esercita con il massimo della temerarietà, questo non solo in Russia naturalmente. Sinceramente, come si fa a non ammirare le qualità umane di Navalnyj, che sfida il potere a viso aperto con uno slancio byroniano in una terra in cui la gente rischia la vita per un centesimo di quello che ha fatto lui? Come si fa a non restare colpiti dall’altezza dei suoi ideali, ma anche dalla sua capacità di calarli nel reale facendo leva sul giornalismo d’inchiesta e sull’attivismo sui social media? Tuttavia, ciò che più mi ha attratto nel libro è la parte destruens dedicata a Putin.

Ho fatto anche qualche scoperta. “L’entourage più stretto di Vladimir Putin, uomo del KGB il cui nonno era stato cuoco nella dacia di Lenin, è composto quasi esclusivamente dai figli di militari, poliziotti, ufficiali dei servizi e magistrati dell’epoca sovietica.” (Il cuoco di Lenin è già il titolo di un romanzo.) Ne emergono una visione servile del potere – servire il potere è una strada per adire al potere e una nota quasi mistica, come se servire il potere fosse una vocazione, un considerare il potere una divinità per sua stessa natura (oltretutto, una vocazione che si tramanda di generazione in generazione). Il dramma è che da sempre la Russia è spaccata in due, fra chi ha servito il potere – e sono milioni di sorveglianti, poliziotti, delatori, funzionari corrotti eccetera – e chi no, e le due metà si scrutano, convivono, si detestano, ma non sanno bene cosa fare l’una dell’altra. Come due naufraghi che si devono aggrappare in mezzo al mare alla stessa trave ma si odiano e si temono. “Il Paese che era dietro le sbarre continua a confrontarsi con il Paese delle guardie, e la ricucitura di quella ferita appare ancora lontana.”

Sergej Dovlatov

Lo scrittore Sergej Dovlatov ha acutamente annotato che khamstvo (noi traduciamo male con “maleducazione”), una sorta di aggressività aprioristica e congenita a cavallo fra arroganza e volgarità che è la cifra della metà della Russia che serve il potere, non si trova in altre parti del mondo. La cosa interessante è che nella sua vita Dovlatov si è trovato a fare il sorvegliante nei campi di lavoro, e ha descritto la vita oltre il filo spinato anche dal punto di vista delle guardie. Ecco, potrebbe essere lui una figura di sintesi. Zona: zapiski nadsiratelja (“Zona: appunti di un sorvegliante”), del 1982, l’ho letto di recente. Libro magnifico e scomodo. C’è una scena agghiacciante. Pavel Egorov è un capitano buono, si è fidanzato con una ragazza fine e inquieta, Katia, che mal sopporta la vita al campo. Lei piange, e si lamenta del continuo latrare del cane Garun. Allora lui, per essere gentile con lei e placarla, esce e spara al cane. Tutto qui. Una scena di indicibile violenza in cui bene e male non solo si intrecciano ma si annebbiano reciprocamente a tal punto che la terra manca sotto ai piedi, e tanto i personaggi quanto i lettori restano istantaneamente nudi, senza alcun orientamento morale e senza sapere dove andare. Da qui quel senso di inguaribile amarezza per la ferita che non si rimargina, una linea di faglia lunghissima che corre per migliaia di chilometri nella Russia sterminata generando due metà che provano a ignorarsi e mai si perdonano.

Kobzon

Da un altro libro, questa volta di poesie, di Dmitrij Prigov, Trentatre testi, a cura di Alessandro Niero, edito da Terra Ferma nel 2011, leggo questa poesia che dice della spietatezza fratricida dei russi.

I polacchi fra loro non si cavano gli occhi

Pure i céchi fra loro non si cavano gli occhi

Se mai lo fanno – appena un poco

Il russo invece è differente

Per un’idea sovrana

Per qualsivoglia ciarlatano

Ti cava un occhio e non ci mette niente

A cavarti

Anche

L’altro.

Cioè, in nome di un ideale, fanno fuori la gente. Solo che gli ideali, come si è visto, si consumano prima del previsto, mentre la propensione a far fuori la gente, come si è visto, tende a durare un po’ di più. Il destino della Russia è cupo, non è colpa mia né di Anna Zafesova. In età brezhneviana girava una barzelletta.

– Come si stava in URSS sotto Stalin?

– Come quando si va in tram: metà sono seduti, metà tremano.

(Il verbo sidet’, stare seduti in russo vuol dire stare in prigione, e tremare in questo caso ha il doppio significato di sobbalzare per i movimenti bruschi e tremare di paura – n.d.a.). Ascoltate questa canzone, eseguita da Josif Kobzon durante un’occasione ufficiale alla televisione nel 1991, in piena pererstrojka. Le persone in sala sono sbigottite, non sanno come comportarsi. Il testo originale è una poesia di Robert Rozhdestvenskij del 1989 dal titolo Canzone dell’altroieri. È uno scandalo, e per prima cosa dalla registrazione viene subito rimossa la strofa Mezzo paese di delinquenti / Mezzo paese di carcerieri. Ieri come oggi, è una canzone impossibile da accettare per la classe politica al potere in Russia, e per gli strati della popolazione che la sostengono con devoto spirito di servizio. 

Старенькие ходики.
Молодые ноченьки...
Полстраны – угодники.
Полстраны – доносчики.
На полях проталинки,
дышит воля вольная...
Полстраны – этапники.
Полстраны – конвойные.

Лаковые туфельки.
Бабушкины пряники...
Полстраны – преступники.
Полстраны – охранники.
Лейтенант в окно глядит.
Пьет – не остановится...
Полстраны уже сидит.
Полстраны готовится.

 

Il vecchio orologio a pendolo.

Le notti giovani…

Mezzo paese di adulatori.

Mezzo paese di delatori.

Nei campi la terra disgela,

la libertà respira libera…

Mezzo paese di deportati.

Mezzo paese di guardiani.

Scarpette di vernice.

Biscotti della nonna…

Mezzo paese di delinquenti.

Mezzo paese di carcerieri.

Il tenente guarda alla finestra.

Beve senza fermarsi…

Mezzo paese è già in prigione.

Mezzo paese si prepara…

https://youtu.be/FGcIMHXyp0Q

Ho trovato in rete una notizia da verificare. Nel 2013, in occasione dell’inaugurazione di una targa commemorativa in una casa in cui era vissuto Leonid Brezhnev, Josif Kobzon (eletto deputato della Duma diverse volte e putiniano di ferro) avrebbe proposto di erigere una statua a Stalin e di far tornare la statua a Dzerzhinskij alla Lubjanka. Mah… Se vi capita, leggete il non tanto instant book di Anna Zafesova, e seguitela.

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Anna Zafesova