Classe cognitiva

4 Febbraio 2014

Il Quinto Stato, scritto da Giuseppe Allegri e Roberto Ciccarelli, suggerisce un’ipotesi di rilevanza storica: i lavoratori del sapere stanno acquisendo una coscienza di classe?

 

Il proliferare di spazi di co-working, l’emergere di una nuova economia peer-to-peer, il successo delle piattaforme di sharing (non solo in Italia ma anche nel resto dell’Europa, negli Stati Uniti e in molti paesi asiatici come la Thailandia, le Filippine e la Malesia) fanno pensare che i lavoratori del sapere - ridotti in uno stato precario dall’impatto combinato della crisi dell'economia del sapere e della sovrapproduzione di laureati - stanno adesso reagendo attraverso l'elaborazione di nuove forme di organizzazione, di una propria visione del mondo e, forse, di una propria prospettiva politica.

 

Se i lavoratori del sapere si sono affacciati sulla scena storica come una massa di individui isolati, alienati l’uno dall'altro e senza avere un progetto comune (come li ha descritti C. Wright Mills nel suo famoso libro sui colletti bianchi del 1951), adesso sembrano transitare dallo status di classe-in-sé a quello di classe-per-sé capace di agire storicamente, per usare i termini di Marx.

 

Il concetto di “classe”  ha ormai un'aura arcaica e quasi retro' e si preferisce, spesso, parlare di moltitudine composta da una molteplicità di lotte e di identità. Tuttavia - come abbiamo visto nei casi dei movimenti della primavera araba (ormai spentasi in un autunno sanguinoso), degli indìgnados spagnoli e degli Occupy negli Stati Uniti - la moltitudine può essere capace di rapida mobilizzazione e di straordinaria vivacità, ma queste manifestazioni rimangono eventi con una durata limitata. Per operare in modo lungimirante e strategico, per agire storicamente, ci vuole la classe. Per questo motivo, il concetto di classe necessita di essere  rispolverato per essere riciclato, come la camicia a quadretti del nonno, nel vocabolario politico degli Hipster.

 

Prima di tutto, occorre ricordare che per comporre una classe ci vuole tempo. Lo storico inglese E.P. Thompson ci racconta che il proletariato inglese si trasformò da una massa frammentata e atomizzata in migliaia di identità e visioni particolari - come la moltitudine di oggi -  in una classe operaia unificata e compatta: questo passaggio richiese mezzo secolo di riunioni, di feste popolari, di serate al pub, di fondazioni di case editrici e di università popolari, di scioperi, di manifestazioni in strada, di creazione di società di mutuo soccorso e moltissime lotte interne.

 

In altre parole, la classe emerge come il risultato di un lavoro politico che è, in parte, anche quello di creare gli spazi pubblici dove i presunti membri di una nuova soggettività politica possano interagire e percepirsi come tali. Forse il nuovo “ecosistema” di co-working di e piattaforme di crowdfunding e sharing per la social innovation può funzionare come luogo in cui il perseguimento di obiettivi economici si trasforma in un agire politico.

 

Questo sembrerebbe essere il suggerimento di Allegri e Ciccarelli. Probabilmente, però, è prematuro aspettarsi che da tale situazione emerga un'immediata espressione politica. E' invece più probabile che la classe cognitiva si formerà ed articolerà la sua alternativa al nel lungo processo di attraversamento dei prossimi decenni fatti di crisi irreversibile, di crescente precarietà e di povertà, di un collasso ambientale sempre più tangibile.

 

Inoltre, anche se viene composta tramite un agire politico, la classe è caratterizzata dalla condivisione di una condizione produttiva,  in cui risiede anche il segreto della sua capacità progressiva. Per questo motivo, né i precari né i creativi possono definirsi “classe” perché questo termine indicano semplicemente  una condizione di mercato (per i primi) e uno stile di vita (per i secondi). Nemmeno il Quinto Stato, come lo descrivono Allegri e Ciccarelli, può essere definito una classe ma, piuttosto, una sorta di armata Brancaleone degli emarginati - ovvero coloro i quali si trovano esclusi dai sistemi di welfare, dal mercato del lavoro e dalle normative fiscali. Quella cognitiva è invece (potenzialmente) una classe, perché è composta da persone che condividono una condizione produttiva: esse gestiscono il General Intellect sul quale si basa una matura economia del sapere.

 

Un tempo si pensava che l’economia del sapere funzionasse su base proprietaria. Ora è sempre più evidente che viene creato maggior valore sfruttando risorse in comune, come saperi, competenze, capacità comunicative etc. Anzi, è proprio la classe cognitiva in formazione a essersi fatta portatrice di questa visione dell’economia del sapere come di un'impresa del comune, sulla scorta della propria quotidiana esperienza produttiva. In altre parole, condividendo una condizione produttiva, la classe cognitiva è in grado non solo di articolare un modello più razionale per il funzionamento di un’economia del sapere, ma anche di immaginare un'idea di società dell'informazione più evoluta.

 

Questo progetto di un ordine sociale più logico - capace per esempio di combinare sostenibilità economica con sostenibilità ambientale - darà ulteriore energia e continuità alle lotte intraprese da parte della classe cognitiva. Vale la pena ricordare che le lotte operaie dei secoli scorsi si alimentavano non solo di un senso di ingiustizia e di bisogni primari ma anche - o forse principalmente - della consapevolezza che la classe operaia fosse portatrice di un ordine sociale più razionale ed evoluto che permetteva, da parte sua,  la soluzione ai problemi del presente. A giudicare dall'entusiasmo con il quale vengono abbracciate visioni anche utopiche come il peer to peer, il cooperative capitalism o la social enterprise, una simile coscienza della propria superiorità sta maturando anche all'interno della classe cognitiva in formazione.

 

L'aver sviluppato la consapevolezza di possedere un potenziale progressivo rende la classe cognitiva un soggetto anche conflittuale. L’attitudine dei social innovators, dei co-workers e degli startuppers è piuttosto pacifica e suggerisce l'idea che si possa costruire un mondo alternativo senza sfidare apertamente il potere costituito. Tuttavia, presto sarà chiaro che il cambiamento, come sempre, richiede dei conflitti. La prima battaglia di questa lotta di classe si articolerà intorno all’accesso ai capitali: l’innovazione sociale e la sharing economy hanno bisogno di risorse per concretizzarsi e occorrono capitali da investire, un’infrastruttura funzionante e una rete di sicurezza per gli imprenditori che vi operano.

 

Le risorse per attuare tutto questo ci sono, ma sono tutte riunite nelle reti autoreferenziali di una classe dirigente altamente concentrata, che si identifica sempre di più con il sistema finanziario. (Una recente ricerca condotta da parte di un Istituto svizzero di studi sulla complessità mostra che circa 150 società, perlopiù  finanziarie, controllano più del  40%  delle risorse dell'economia capitalistica globale..1). 

 

Questa classe dirigente lontana dalle esigenze sociali - un po’ come l’Ancien Régime in Francia prima della Rivoluzione - non ha nessuna intenzione di deviare risorse e investimenti in nuove attività legate al sociale, soprattutto in virtù della mancanza di strumenti cognitivi per capire o immaginare come esse possano, in realtà, essere redditizie o utili.

 

Questa incapacità interpretativa è dovuta in gran parte al fatto che le grandi organizzazioni dell'economia corporate operano in un sistema dove la razionalità economica è stata in gran parte automatizzata, iscritta in algoritmi complicati e trading bots automatici, oppure appesantita da procedure burocratiche per la valutazione di risorse intangibili che non lasciano nessuno spazio per il giudizio umano e, per questo motivo, neanche per la creatività necessaria per immaginare l’inimmaginabile.

 

Questo deficit cognitivo è chiaramente visibile negli investimenti in Corporate Social Responsibility, che continuano ad essere concentrati principalmente in campagne di comunicazione, anche in un ambiente 2.0 dove sono diventate sempre meno efficienti.

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