Cortesforza / Paesi e città
Il mio luogo è Cortesforza e non esiste. Si trova sulla direttrice sud ovest di Milano, lungo il Naviglio Grande. Per raggiungere Cortesforza, da Milano, potete prendere il treno alla stazione di Porta Genova, scendere ad Abbiategrasso e camminare per due chilometri a ritroso, lambendo i pochi pensionati che non fanno la spesa all'Esselunga ma pescano a Castelletto, dove il Naviglio Grande si dirama, vicino alla fabbrica di televisori Mivar, l'azienda che forniva gli apparecchi alla Rai di corso Sempione e a molti hotel tre stelle declinanti a due. È quasi Cortesforza, ma non esattamente, perché vicino alla fabbrica ci sono palazzi di nove piani, con i tetti d'amianto, mentre a Cortesforza non c'è un edificio con più di tre piani, e poi Cortesforza non esiste.
A Cortesforza potete arrivare in bicicletta, usate una pista ciclabile intermittente, ci passano anche auto e moto, pure a 70 all'ora, vi suonano e dovete spingervi sul bordo, a picco del Naviglio; oppure indossate una tutina globale e correte per diciotto chilometri da Porta Ticinese, con gli stessi inconvenienti dei ciclisti; potete prendere l'autobus numero 324, che ha accompagnato milioni di lavoratori nelle fabbriche, negli uffici, dalle prime corse del mattino fino quasi alla pensione. Il tragitto verso Cortesforza – indistinto fuori e luogo mentale – è iniziato a metà degli anni '70. Incontrate i fantasmi di Richard Ginori, Osram, Loro Parisini, Cartiere Burgo, tutte ex aree industriali trasformate in case. Se usate l’auto, proseguite lungo la ex Strada Statale 494, dopo una leggera curva a destra vi accoglie il ponte della Tangenziale Ovest, a Trezzano sul Naviglio. Dovete passarci sotto. Su quel tratto – in inverno, alle quattro di pomeriggio, o alle otto di sera, in estate – è l'ora del tramonto: c'è un momento in cui il sole è nascosto esattamente dietro la struttura di ferro e cemento, irradia lunghi raggi sopra e sotto, ma il nucleo sospeso pare quasi spento, il controluce evidenzia i contorni del cemento, delle lamiere, sembrano fatte di cenere tiepida, soprattutto se le macchine proseguono lente, incolonnate, ferme sopra le vostre teste, e allora potete fissare quelle forme con un senso di comunanza, di quiete disperata. Impiegate dieci minuti per attraversare il semaforo di Trezzano sul Naviglio, ma siete a metà strada e la seconda parte è più scorrevole. Intanto, sulla destra del parabrezza, ci sono le cime dei palazzi del Quartiere Zingone. Lo ha edificato il costruttore Renzo Zingone, negli anni '60, quando Trezzano sul Naviglio è passato da 1300 a 13000 abitanti in dieci anni. Tra i 13000 erano compresi coloro che a Trezzano, Corsico, Buccinasco, Cesano Boscone e in tutto l'hinterland sud milanese hanno creato le basi per le attività criminali degli anni '70, e di oggi. Vicino a dove siete in questo istante, a Cesano Boscone, la ‘ndrangheta ha rapito il figlio del costruttore Gervaso Rancilio, Augusto Rancilio, sequestrato e ucciso nel '78, e mai ritrovato. Questi pensieri finiscono in fretta, anzi, si evitano, è facile impazzire sul bordo del Naviglio Grande, se si pensa cosa fonda l'accordo di una coda quotidiana, qui a Milano. In fondo, sulla destra, c'è il campanile di Gaggiano. Lì giravano scene delle commedie all'italiana. In un film di Festa Campanile, proprio davanti alla chiesa, galleggiava un barcone, vi era adagiata una casetta di legno, abitata da Piero Mazzarella nel film Un povero ricco. I protagonisti erano Renato Pozzetto e Ornella Muti. Lo trasmettono una volta all'anno, nell'estate ininterrotta di Mediaset, quando è abituale abbassare tapparelle per difendersi dal caldo e non guardare fuori. Pozzetto interpreta un ricco che vuole fare un'esperienza da povero per superare la paura di diventare povero, così trova il senso della vita a Gaggiano, insieme a Ornella Muti. È una mattina del 1983, la luce già autunnale, quando dal cielo direzione Cortesforza arriva un elicottero bianco e lancia banconote sopra l'acqua. A Gaggiano passate sul ponte e il Naviglio cambia lato, ora è alla vostra sinistra. Andate sempre diritto, incontrate Vermezzo, e già vedete il campanile di Castelletto. Ma prima, sulla sinistra, al di là del Naviglio, c'è Cortesforza, scostata un chilometro dalla 494. Cortesforza aveva 1574 abitanti nel 2009. I prossimi potreste essere voi.
La domenica sera mettete il secchio verde dei rifiuti umidi davanti al vostro cancelletto. In primavera ed estate, con le finestre aperte, la domenica sera – all'inizio – vi sorprendete nel sentire i dialoghi dei vicini. Ripetete anche voi quelle parole, racchiudono qualcosa di più di ciò che contengono i sacchetti, stretti dentro il secchio: avanzi di cibo, residui di caffè, pane, pasta, riso, granaglie, bucce, torsoli, ossa, pesce, gusci d'uovo, tovaglioli, fazzoletti di carta, escrementi di animali domestici, scarti di fiori da appartamenti. Fate un bel nodo e ripassate mentalmente i giorni in cui esporre la carta, la plastica e il vetro. Per il vetro preparate un secchio blu, pieno di bottiglie, barattoli di ceci, scatolette di tonno, scatolette per cani e gatti. Il camion del vetro passa ogni mercoledì, accelera dieci metri, l'autista frena di colpo davanti a un altro secchio, scende, rovescia il vetro nel cassone, il camion riparte, un fragore di accelerate e bottiglie, sembra che il camion funzioni con un carburante di vetri, e provate sollievo quando il mercoledì si allontana, davanti alla casa di qualcun altro.
Il sabato preparate l'indifferenziato. Indifferenziato è una parola che vi provoca un'ansia indefinita, non sapete come indirizzarla verso qualcosa di preciso. Ma oggi è lunedì mattina, il giorno dell'umido. Vi alzate come sempre molto presto, e mentre vi preparate passa il camion dell'umido, che vi colpisce con il lampeggiante arancione, illuminandovi d'inverno, o relegandovi a un'aggiunta luminosa, d'estate. Avete fretta, non ritirate il secchio. Siete già sulla strada del lavoro e percorrete a ritroso il tragitto dell'inizio.
Oggi avete un malessere leggero e uscite presto dal lavoro. All’ora di pranzo c'è meno traffico e il tragitto sembra senza senso. Eppure il tragitto è quasi tutta la vita a Cortesforza, conta ciò che conduce lì e vi allontana da lì, il transito e la cancellazione delle tracce lungo la strada, come quelle degli animali morti, mimetizzati dopo poche ore nell'asfalto. Siete a Cortesforza alle 14 e vedete tutti i secchi verdi, scoperchiati davanti ai cancelletti. La maggior parte degli abitanti di Cortesforza esce al mattino e torna a casa di sera. I secchi restano soli per dieci, dodici ore. Soltanto davanti alle case dei pochi pensionati non ci sono i secchi, già ritirati dai proprietari, subito dopo il passaggio del camion dell'umido. I secchi scoperchiati hanno piccole tracce di liquidi depositati sul fondo, tracimati attraverso le fragili pellicole biodegradabili. Scendete dall'auto e, con il motore acceso, vi avvicinate cauti al vostro secchio.
(Le fotografie sono di Sabrina Ragucci)