Costanza Quatriglio. Con il fiato sospeso
È un film-esperimento Con il fiato sospeso, un distillato di sguardi in macchina, di piani evocativi, di voci fuori campo che inchiodano lo spettatore alle ansie del presente, alla deriva di un paese mancato. Costanza Quatriglio ribadisce la vocazione verso un cinema etico, necessario, libero dai condizionamenti del mercato, un cinema senza formato, capace di condensare in appena trentacinque minuti i veleni di un’Italia allo sbando, che cede all’incuria, dimenticando le regole del bene comune.
Sulla scorta dell’esempio registico di Kieslowski, della sua «drammaturgia della realtà», Quatriglio sceglie di confrontarsi con una serie di dolorosi fatti di cronaca (le morti per cancro di alcuni ricercatori dell’Università di Catania), che nel racconto per immagini vengono decantati attraverso le ‘maschere’ di personaggi di finzione (Alba Rohrwacher, Anna Balistreri, Gaetano Aronica). Il carattere sperimentale del film consiste proprio nella capacità di ‘piegare’ la grammatica della fiction, di adattarla alla tensione conoscitiva del documentario, innestando dentro le pratiche della rappresentazione alcuni scarti in grado di ribaltare lo statuto e il senso della narrazione.
È il caso dei continui sguardi in macchina delle protagoniste, che interpellano con forza lo spettatore, violando il patto finzionale del cinema classico, come pure dell’uso insistito del primissimo piano e della modalità dell’intervista, attraverso cui la verità dei fatti si insinua tra le pieghe del montaggio, senza l’enfasi ormai insopportabile della real tv. Le vibrazioni del film passano, poi, anche dalla colonna sonora, grazie al mix insolito fra i ritmi indie-punk dei Black eye dog (che incendiano l’incipit e poi restano come in sordina) e il tema musicale di Paolo Buonvino, vero leitmotiv del racconto, con quella grana che scuote e commuove.
A questo potente effetto di verità del racconto contribuisce anche la voice over di Michele Riondino, altro elemento di dissonanza ‘epica’; il suo commento scandisce alcuni passaggi del memoriale di Emanuele Patanè, uno dei ricercatori a cui si ispira il film, e diventa così una sorta di controcanto accorato e lucido. Quella di Riondino è in fondo una voce-guida, una “voce senza corpo” che si incarna in ognuno dei volti che scorrono sullo schermo, che rivive in ogni gesto, sprigionando quello che con Pasolini potremmo dire “tetro entusiasmo”.
Nonostante la luce livida degli interni di laboratorio, le tinte putrescenti degli scarichi e delle provette, infatti, Con il fiato sospeso è un film di passioni, un’opera che testimonia la fiducia e la speranza nella ricerca, l’ostinazione nel vivere “dentro una bolla”, al riparo dei sogni. La tenacia di Stella è, per chi guarda, una lezione esemplare e insieme un atto d’accusa, perché mette in crisi la remissività verso una nazione che continua a costruire alibi, a mortificare ogni forma di resistenza e di senso civico. Se Stella/Rohrwacher è il polo d’attrazione del film, grazie al magnetismo del volto espanso dell’attrice, la rabbia giovane di Anna, i colori graffianti dei suoi capelli e delle sue note rappresentano una sorta di antidoto, di possibile via di fuga; ogni gesto del personaggio fa scintille, si carica di un’ansia pronta a esplodere, a fare rumore.
È lei a chiudere il film, a traghettare la storia verso un altrove finalmente distante dai veleni dei laboratori; un casolare abbandonato, attraversato da profondi tagli di luce, è il luogo simbolico in cui la sua insofferenza sembra trovare rimedio, tra la polvere delle cose e il girovagare distratto di una famiglia di gatti. Il rancore si scioglie, allora, in una serie di piani evocativi, di immagini solo apparentemente fuori contesto, perché illuminate dalla grazia dell’attesa.
Un attimo prima della fine, però, c’è il tempo per una sequenza che spezza il fiato e costringe a guardare in faccia il dolore. Le fotografie di Emanuele, intubato e disteso su una barella, sono una sorta di laico ostensorio, anche se il padre le custodisce e le mostra come un talismano. Non c’è oltraggio in queste immagini, ma solo un urlo a stento trattenuto in gola.
Mentre scorrono i titoli di coda, quel che davvero sgomenta è dover riconoscere che la schiuma dei sogni è acida, e che – per l’ennesima volta – non ne abbiamo le prove.