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Diario russo 20. Gorbaciov, l'eredità controversa

1 Settembre 2022

Un opuscolo dalla copertina blu, una ragazza sorridente in una locomotiva, e il titolo “Se vince Gorbaciov”: appena ho letto della notizia della scomparsa dell’ultimo segretario del Pcus mi son ricordato di questo libricino, uscito in allegato a L’Unità nel 1987, presente nella libreria di mio nonno. Un’associazione mentale che mi era venuta in mente qualche anno fa, all’uscita dalla proiezione del documentario di Werner Herzog, dove la figura di Gorbaciov era letta attraverso gli occhi dell’interesse e delle speranze dell’opinione pubblica europea.

D’altronde, lo stesso leader sovietico aveva ben chiara questa sua popolarità all’estero, che si accompagnava con la contraddizione, a prima vista sorprendente, dell’esser stato a partire dalla fine degli anni Settanta destinato ai vertici del partito e dello Stato. Non è l’unica: il diciannovenne Michail che viene decorato dell’Ordine del lavoro della Bandiera Rossa per il superamento delle norme di raccolta del grano è nipote di due contadini vittime delle repressioni degli anni Trenta, da cui uscirono senza grossi danni, e il giovane laureato in giurisprudenza alla prestigiosa Università statale di Mosca è anche quello che dopo dieci giorni di praticantato nell’Ufficio del procuratore della regione di Stavropol’ chiede di essere assegnato al lavoro di partito nel Komsomol, da dove parte un’ascesa ai vertici, fino al trasferimento a Mosca nel 1978, tutta all’interno della propria piccola patria.

Forse anche questo è stato uno degli elementi della sua popolarità, il racchiudere nella propria biografia quei passaggi della storia sovietica che hanno trasformato nel profondo la vita e i destini di milioni di persone, in un senso o nell’altro, e forse il fatto che un uomo proveniente da una famiglia contadina sia diventato segretario generale del partito è testimonianza sia dell’ascensore sociale rappresentato dal secolo sovietico sia dei cambiamenti intercorsi in quei decenni.

Un aspetto importante per capire le aspirazioni e gli errori di Gorbaciov, e del perché all’innamoramento popolare, dovuto anche a un sapiente utilizzo della propria immagine pubblica, sia seguito il raffreddamento e persino l’ostilità di una parte della società sovietica, e di come il primo e ultimo presidente dell’Urss, rinchiuso nella dacia statale di Foros dai golpisti, torni a Mosca non da vincitore, ma da testimonianza di un passato recente chiuso nelle giornate delle barricate nella capitale.

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Un’impressione che si ha guardando l’ultimo discorso di Gorbaciov il 25 dicembre del 1991, quando la bandiera rossa viene ammainata dal Cremlino dopo 75 anni, e vengono in mente a commento di questa scena le parole dei CCCP in “Depressione caspica”, l’ultimo proclama, una totale estraneità.

Probabilmente ha ragione Vladimir Ševčenko, già responsabile del protocollo di Gorbaciov, che ne ha ricordato le speranze nel voler cambiare il paese e il mondo, aggiungendo quanto poco e male forse i vertici conoscessero l’Urss. Una valutazione che non può non far pensare alla sequela di fughe in avanti, corse sul posto, tentativi di dietrofront messi in atto durante la perestroika, dalla severa campagna contro l’alcolismo da cui il segretario guadagnò l’aggettivo di “minerale” per la predilezione per l’acqua frizzante risoltasi in una inversione a u al contrastato rapporto con le nazionalità e le repubbliche sovietiche, dove vi era posto sia sul riconoscimento dell’annessione forzata dei paesi baltici che per i carri armati a Baku e a Vilnius.

Il Gorbaciov che mette in moto la caduta del muro è anche lo stesso che prova a ridefinire l’assetto sovietico in una federazione di repubbliche sovrane, opzione vincitrice in un referendum poi sconfessato dagli eventi. Una complessità difficile da analizzare e da sintetizzare, e proprio per questo oggi stiracchiata da interpretazioni monche e alla base delle macabre danze funebri all’insegna del ludibrio social, tra ultraliberali ebbri di un trionfo autoassegnato nella Guerra fredda e personaggi sovran-staliniani alla ricerca delle prime pagine ad ogni costo, specchio di tempi assai grami, miserie di una storia tragica e gloriosa, in grado di dir poco su una biografia chiusasi nell’anno del centenario della nascita dell’Urss.

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