Il sigillo della condanna / Dimenticare Nagasaki

6 Agosto 2016

La circostanza che le città distrutte furono due, mentre della Bomba si parla solo, e per antonomasia, al singolare, col solo nome di Hiroshima che ritorna, nel ricordo e come riferimento indelebile, significa forse che nient’altro che l’inizio conta, la prima volta, il fatto che un momento, e una decisione, inaugurale ci sia stato?

 

Foto di Yosuke Yamahata. 

 

Ancora più terribile della prima volta è la seconda, la ripetizione che sola di Hiroshima ha fatto una prima volta, l’apertura di una serie e non un errore isolato (come quegli azzardi biologici, i mostri, che sono sempre unici e infecondi, perché se avessero séguito non sarebbero più tali e la loro mostruosità sarebbe invece assorbita, dimenticata e poi dopo molto tempo ricercata con nostalgia, nella normalità di una nuova specie); ed è per questo che di Nagasaki si tace, o che essa non appare se non come un’appendice si direbbe vuota, una desinenza duale di cui si è conservato il suono ma del cui significato si è persa la memoria.

 

 

Foto di Yosuke Yamahata.

  

Se Hiroshima – ridotta alla puntualità di un inizio circoscritto, e dunque tutto sommato asportabile proprio mediante il suo innalzamento all’abietta dignità di evento assoluto, da ripetizione che in realtà anch’essa già era –, è la memoria che mentre condanna si assolve, Nagasaki è, della condanna, il sigillo definitivo, che quindi si deve dimenticare. Col dopo si cancella anche il prima, e alla fine non resta più niente.

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