Duka e Marco Philopat. Rumble Bee

31 Gennaio 2012

Rumble è una parola onomatopeica inglese che significa “rimbombo”, “boato”, “frastuono”, “fracasso”, ma è anche riferibile ai movimenti interni del corpo e delle sue viscere: “brontolio (di stomaco)”, “gorgoglio”. Il romanzo di Duka e Marco Philopat Rumble Bee (Agenzia X, pp 301, 15€) è il racconto di un rumble, la registrazione fedele dei rumori e sommovimenti impressi nel cervello di Malcolm, un “ragazzo” quarantenne romano, dipendente precario di una piccola casa editrice e standista presso le moltiplicantesi fiere del libro.


Gli autori non ci vogliono presentare un’anima con una storia e pensieri definiti; quello di Malcolm è un cervello fatto di tessuti, neuroni e sinapsi, che entrano volta per volta in profonda risonanza con ciò che li contatta: gli scontri con la polizia nelle manifestazioni di piazza, l’hashish “Temple Ball” e varie sostanze psicoattive, ambienti e paesaggi come il Deserto del Sinai il biancore gelido di Copenhagen. Malcolm muta con ciò che gli sta intorno, i suoi pensieri si riorganizzano e reagiscono a ogni situazione delineando un profilo psicologico in continuo movimento, mantenendo di sé costante un solo aspetto: una connaturata e resistente attitudine ribelle. I pensieri del protagonista arrivano come scariche elettriche, emergono col movimento dei suoi passi nella Torino attraversata dall’Onda degli studenti, si strutturano e prendono forma al ritmo del digitare delle sue dita sul pc quando, dal contro-summit sull’ambiente di Copenhagen, invia email sugli scontri riflettendo su violenza e ribellione.


Malcolm è un conduttore di energia, catalizza e rielabora le urgenze del momento senza mai appropriarsi di parole e connessioni già frequentate; tenta caparbiamente di “camminare e guardare il mondo al livello della strada su un piano orizzontale, un modo di viaggiare onesto, senza sguardi dall’alto”. La sua posizione è scomoda e mantenerla richiede uno sforzo notevole, ma l’intento si realizza e il romanzo conserva questa tensione fino alle ultime righe, in un intrecciarsi ritmico di eventi reali o sognati che sorprendono continuamente il lettore.


Il punto di vista di Malcolm è inesorabilmente attraente, un antidoto contro le retoriche trasversali che da anni si sono innestate nelle coscienze e depositate senza far rumore nella corteccia cerebrale; il romanzo funziona come dinamite per le menti assopite e si rivela un concentrato di anfetamine per chi vuole svegliarsi. Gli autori, con l’ausilio di una storia articolata, a tratti molto divertente e eccessiva grazie anche all’utilizzo di alcuni audaci espedienti narrativi, hanno cercato di raccontare l’incomprensibile: il formarsi e il trasformarsi rizomatico di quel “movimento” protagonista delle piazze degli anni zero, che non può essere descritto e giudicato con il linguaggio tradizionale della politica, ma solo narrato da uno sguardo interno, dallo sciame di voci che al momento giusto, quando il potenziale di energia è colmo, prendono corpo, si spostano senza direzione, attaccano e si ritirano, rendendo impossibile qualsiasi descrizione che le individui: rumble bee.

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