Fontana. Morte di un uomo felice

12 Giugno 2014

Giacomo Colnaghi vive accampato al Casoretto, periferia orientale di Milano, si  muove in bicicletta e spesso torna solo a tarda sera dopo lunghe giornate di lavoro al Palazzo di giustizia. Attraversa Milano d’estate, di mattina e di notte. Colnaghi è un giovane uomo di trentasette anni sposato con due figli ed è felicemente un uomo dello Stato. Per lo Stato ha sacrificato la propria vita, scegliendo di vivere in un monolocale per poter meglio seguire un’inchiesta sul terrorismo rosso che gli è stata affidata. Colnaghi può raggiungere la moglie a Saronno districandosi dal lavoro solo una volta a settimana; quando va bene. La loro vita è ridotta all’incrocio tra arrivi e partenze, tra le malattie e la crescita. Quella di Colnaghi è una vita di carte e di parole: ritagli, ricordi e intuizioni.

 

Eppure Giacomo Colnaghi non è un uomo triste, anzi una sottile felicità lo attraversa, come una qualità leggera che tocca chi è costretto alla solitudine e quindi alla scoperta. Già, perché Colnaghi è principalmente mosso da curiosità: le sue non sono indagini, ma tentavi di fare chiarezza, di comprendere un fenomeno, quello del terrorismo rosso che lo coinvolge emotivamente. Colnaghi è un conservatore, ma è anche un orfano figlio di un partigiano, fedele alle leggi dello Stato in quanto garanti della libertà dei cittadini.

 

Siamo nel 1981, Milano sta mutando e con lei la società italiana, il terrorismo è al colpo di coda, gli anni Settanta stanno sfumando in una nuova epoca e tra arrivi e partenze molto rimarrà sul campo. Cambierà per sempre un certo modo di vivere e d’intendere le relazioni, la lotta si è trasformata in isolamento e le idee in opinioni. Arriverà un tempo più luccicante e brioso, ma incapace di elaborazioni, un tempo che si squaglierà in fretta lasciando il paese privo di spinte propulsive come di ottimismo, in pratica senza più uomini felici.

 

Giorgio Fontana con Morte di un uomo felice (Sellerio, 2014) completa il dittico aperto con Per legge superiore nel 2011 e lo fa entrando a piedi uniti nella storia, ma senza tradire il carattere romanzesco della sua scrittura. Fontana evita ogni ambiguità e racconta la storia lucida e bellissima di un uomo alla fine di un secolo; un uomo amante della campagna e delle buone amicizia, idealista e testardo, e per questo costretto a scontrarsi con un tempo che si crede nuovo ed invece è prima di tutto inutilmente e atrocemente violento.

 

Giorgio Fontana

Giorgio Fontana

 

Ci sono evidentemente riferimenti storici dalla morte di Giorgio Galli alle indagini di Armando Spataro, ma sono solo il necessario sottofondo per un storia semplice, quella di Giacomo Colnaghi di cui Fontana racconta con amabile levità le piccole passioni, i quotidiani godimenti. È in una scrittura marcatamente letteraria che Fontana trova le risorse per delineare un personaggio in continua tensione tra l’attualità, fatta d’inchieste e terrorismo, e una storia intima (ma anche nazionale) che ha la sua brace nella ribellione partigiana.

 

Fontana delinea le contraddizioni tra vita privata e pubblica, tra azione e violenza con un doppio binario: l’inchiesta di Colnaghi e la memoria delle azioni eroiche del padre partigiano. Un alternarsi continuo tra le pagine del romanzo: da un lato la ribellione del padre e dall’altro la fiducia in una giustizia democratica, una medesima radice che porterà entrambi allo stesso triste destino. Ma l’eroismo non sta nella morte, quanto piuttosto nella tensione ideale di entrambi e in particolar modo di Colnaghi nel contenere attraverso un’ostinata curiosità le pulsioni (e le compulsioni) di una società che ha la sua forza proprio nei suoi movimenti più scoordinati.

 

Morte di un uomo felice è la storia di un reduce in un epoca che non contempla il dialogo se non filtrato da mille precauzioni o igienismi. Un uomo normale che la durezza del potere mascherato e della stupidità esposta ha trasformato in un eroe. Ma non era ardimento, era solo curiosità, o ancor meglio era felicità, e non deve essere un caso che oggi, più di tutto, vi sia proprio scarsità di questa forma naturale di gioia: un meraviglioso e gentile amore per tutto quello per cui non si è stati educati, ma che si sa riconoscere come simile. Giorgio Fontana sottrae ai documenti come ai ricordi di famiglia un’epoca ancora vivida di ferite aperte e la restituisce con sensibilità letteraria a lettori curiosi e felici; pronti finalmente a leggere, semplicemente a leggere, come a pedalare liberi da paraocchi.

 

Una versione più breve di questo pezzo è apparsa su IL de Il Sole 24 Ore

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