Speciale

Strappi

22 Giugno 2015

«Nel corso della mia vita ho fatto in tempo ad assistere a tre fatti socialmente importanti: la decadenza della “villeggiatura”, un significativo calo nel consumo del vino e nello smercio di quel prodotto letterario che nei tempi moderni s'è chiamato romanzo». Era il 1949 quando Montale diagnosticava al mondo occidentale la patologia della fretta, indovinando, dalle sue prime avvisaglie, il terrorismo del tempo sulla vita umana. Per chiunque patisca con angoscia la religione della corsa e della produttività inesausta, la lettura è miraggio di salvezza e peccato mortale.

 

Chi si sognerebbe mai di infilare nelle liste minacciose attaccate al frigo, tra l'estetista e il commercialista, qualcosa come: “leggere finché non mi germoglino dentro un paio di domande giuste o perlomeno finché l'anima non sia sazia”? La tirannia del tempo vieta di posarsi, gestisce tutto con furia e distrazione, nega ogni possibilità di riflessione, di critica, anche di noia, il continuo rimescolamento impedisce la sedimentazione. Ed è anche per questo, forse, che il tempo della lettura è un tempo strappato, rivendicato, il tempo di una rivolta. È contrapporre all'andare avanti un andare a fondo, vincere il terrore di fermarsi, rinunciare al tempo per riempirlo, dilatarlo, riguadagnarlo con gli interessi. È recitare piano, contro un falso dio, una preghiera eversiva e seducente: abbi cultura di me.

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