1957 - 2020 / Alberto Alesina, il riformatore gentile

25 Maggio 2020

Quando arrivavi a Harvard, nella sua stanza all’Università, Alberto Alesina ti guardava le scarpe. Era settembre, l’inizio dell’anno accademico. Si giungeva negli Stati Uniti con dei mocassini leggeri, o con le scarpe da ginnastica, o con le Clark. Alberto ti squadrava e ti diceva “Devi comprare un paio di scarpe alte, tipo le Timberland. Vai ai grandi magazzini, ci sono dei buoni sconti. Qui inizia a nevicare a ottobre. La neve rimane come ghiaccio fino a marzo, anche fino a aprile. Mi raccomando le scarpe”.  

Dopo pochi giorni dal primo incontro, si andava a cenare insieme. Ricordo di aver tirato fuori una banconota da 100 dollari per pagare il conto. Alberto mi disse “Metti via quella banconota, con 100 dollari in contanti pagano solo gli spacciatori di droga”. 

 

A fine novembre arrivava Thanksgiving, una festa che noi, arrivati spesso dall’Italia per il primo soggiorno lungo negli Stati Uniti, non capivamo. Era una cavolata di festa, festeggiare mangiando la prima bestia che i coloni americani avevano consumato tanti anni prima. Alberto ci fece capire che Thanksgiving era come il Natale italiano. Bisognava stare insieme. Molti di noi erano andati a Cambridge e a Boston per studiare, e spesso eravamo soli, perché mogli, fidanzate, mariti e fidanzati erano rimaste/i in Italia. Per Alberto era inconcepibile che uno studente italiano passasse da solo la sera di Thanksgiving. Invitava tutti a cena nella sua meravigliosa casa al centro di Boston. Era generosissimo: ai suoi ospiti non chiedeva mai una bottiglia di vino o un altro contributo alla cena. Una volta gli regalai un disco di Elgar, con le Enigma variations e il concerto per violoncello. Gli piacquero molto. Formammo un piccolo club di estimatori di Elgar.  

 

Un week-end andammo insieme a sciare con un gruppo di amici. Alberto era uno sciatore bravissimo, veloce e con uno stile perfetto. Io ero la più schiappa del gruppo. Non c’è cosa più noiosa nello sci che aspettare quelli che arrivano ultimi e rallentano il gruppo. Alberto era molto competitivo ma rimaneva cortese. Era sempre il primo ad arrivare in fondo alla pista. Quando noi schiappe arrivavamo, ci guardava con ironia, ma sempre con gentilezza. Non ci lasciava respirare e imponeva “Dai, ripartiamo”.

Da liberale Alberto non sopportava il paternalismo. Ma non ha mai lasciato soli gli studenti italiani che arrivavano in America. Per tutti c’erano consigli e indicazioni, e i sacrosanti rimproveri quando erano necessari, soprattutto nei confronti della pigrizia. Era un grande professore, molto curioso: voleva sapere tutto quello che succedeva nell’università o nell’istituzione dalla quale l’interlocutore proveniva. Era un modo per rimanere legato all’Italia. 

 

Gli economisti, come tutti, passano il tempo a fare pronostici. Si discute su chi vincerà il campionato di calcio, la coppa Italia, o la Champions League. O il campionato di basket. Poi si passa a argomenti più noiosi. Chi vincerà in futuro il premio Nobel per l’economia? Non è questa la sede per parlare del contributo scientifico di Alberto. Ma c’era un pronostico diffuso. Se un giorno l’Accademia di Svezia avesse deciso di assegnare il premio agli studiosi che si erano occupati di “political economy” – la branca moderna dell’economia che studia l’intreccio tra scelte politiche e decisioni economiche – eravamo tutti d’accordo che bisognasse includere Alberto nella terna di nomi da premiare. 

 

Come tanti, ho litigato con Alberto; spesso non ne ho condiviso gli articoli. Sferzava i mali italiani senza pietà, estremizzando il suo liberalismo, portando avanti spesso posizioni ultra-liberiste. Si documentava su tutto. Le riforme fatte in Italia gli sembravano sempre insufficienti. Era talvolta di un pessimismo senza speranza, quasi pasoliniano. E non si può escludere che negli anni liceali della militanza nella FGCI avesse incrociato l’ultimo Pasolini (le Lettere luterane sono del 1976, gli Scritti corsari del 1975). C’era in lui una combinazione di Lutero – anche nell’intolleranza nei confronti di quelli che non accettavano le sue tesi – e dell’Einaudi delle Prediche inutili. Era un riformatore. Voleva bene all’Italia. Avrebbe voluto un paese migliore di quello che è.

Che la terra ti sia lieve, Alberto.                     

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