Le pipe di Buzzati

28 Ottobre 2024

Con le sue curve sfuggenti, con le volute di fumo che avvolgono la sua materia concreta, la pipa è un oggetto sospeso tra sogno e realtà. Nel nostro immaginario è contemporaneamente l’oggetto principe del surrealismo, da quando Magritte la scelse per illustrare il suo “tradimento delle immagini”, e uno dei tratti distintivi di un personaggio razionalissimo come Sherlock Holmes, che all’inizio di Il segno dei quattro spiega a Watson in cosa consista la scienza della deduzione fumando tranquillamente la sua vecchia pipa di radica.

Come l’oggetto a cui è dedicato, anche Il libro delle pipe è un artefatto misterioso, che sfugge alle catalogazioni. Scritto e disegnato a quattro mani da Dino Buzzati e Giuseppe “Eppe” Ramazzotti nel 1934, fu pubblicato soltanto nel 1946 e in una tiratura di sole 340 copie dall’Editrice Antonioli. Da allora riemerge periodicamente sugli scaffali delle librerie: nel 1966 per Aldo Martello, nel 1986 per Giunti e ora in una edizione pregiata per Henry Beyle, curata da Lorenzo Viganò, anche questa stampata in sole 500 copie. Per l’occasione al volume si è accompagnata una mostra alla galleria Antonia Jannone, in cui sono stati esposti, per la prima volta, 50 disegni originali, oltre a fotografie e pipe appartenute agli autori.

Buzzati aveva 28 anni e Ramazzotti 35 all’epoca della stesura del libro, erano cognati ed entrambi fumatori di pipa. Tra i due il vero intenditore era senza dubbio Ramazzotti, che poi scrisse altri libri sulle pipe e continuò sempre a fumarle e a collezionarle. Buzzati invece abbandonò presto la pipa per la sigaretta, per riprenderla in mano solo occasionalmente. In quel 1934 tuttavia la pipa era una passione comune. Il libro delle pipe però non è un semplice elogio della pipa né un manuale per fumatori e collezionisti. O meglio è anche questo, ma come dicevamo si tratta di un oggetto misterioso. Forse il modo migliore per spiegare di che tipo di libro si tratti è raccontare le varie ipotesi e interpretazioni sulla sua genesi.

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Nella loro veste di narratori, Buzzati e Ramazzotti citano un episodio preciso come impulso decisivo. Durante un sontuoso ricevimento in casa di una nobile famiglia partenopea, terminata la cena e con gli invitati che si siedono al tavolo da gioco, un magistrato estrae di tasca “un oggetto scuro e voluminoso” che dà subito scandalo: è una Pipa da caccia, sconvenientissima in quell’occasione. E questa avventura, spiegano i narratori, “fu lo sprone che ci indusse al lavoro: se un uomo di così sicuro talento (e fine giureconsulto) ignorava una norma tanto elementare nella conoscenza delle Pipe, che doveva esser mai della schiera degli altri fumatori?”.

Da qui la decisione di scrivere “un trattatello” che con prosa ottocentesca guida i lettori alla scoperta dei vari tipi di pipe, reali e immaginarie: pipe di schiuma, pipe di radica, pipe scolpite ma anche pipe a rotelle, pipe parlanti e pipe fantasma! Ma lo spirito enciclopedico si rivela fin da subito un pretesto per raccontare storie fantastiche di fumatori e delle loro pipe dai cinque angoli del globo. In effetti gli autori si presentano ai lettori quasi come due Indiana Jones della pipa, intenti a raccogliere non tanto le pipe in sé ma tutte le storie a loro legate: se non di persona, come quando si recano in Inghilterra nella speranza di esaminare le famose Pipe della Corona, o tramite una ricca rete di informatori sparsi un po’ dappertutto. In questo proliferare di racconti, anche brevissimi, alcuni contenuti nello spazio di una didascalia, possiamo senza dubbio riconoscere la mano di Dino Buzzati, anche se nessuno può dire precisamente chi abbia scritto cosa. Anche i 59 disegni che accompagnano il testo sono di difficile attribuzione, ma pare che ad esempio Buzzati abbia disegnato tutti i capilettera e gli sfondi delle illustrazioni, mentre tutte le pipe dovrebbero essere opera di Ramazzotti.

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Disegno tratto da Il libro delle Pipe (Edizioni Henry Beyle, 2024).

Negli anni ’60 Buzzati definì il libro come “un’operetta didascalica in chiave di umorismo fantastico” e come “un gioco mentale”, ma, nel testo che chiude l’edizione di Henry Beyle, Lorenzo Viganò identifica altrove la ragione che spinse i due cognati a dedicare 10 mesi del 1934 al Libro delle pipe. Si tratta precisamente di un articolo scritto da Buzzati nello stesso anno per il Corriere delle Sera e intitolato Età critica della pipa. È una riflessione ironica sul tramonto della pipa in favore della sigaretta, la “villanella rifatta”. “La pipa”, scrive Buzzati, “è oggi già considerata come cosa anormale. L’uomo con pipa in bocca si fa notare per la strada, e nelle abitazioni civili non trova buone accoglienze”. Saperla adoperare richiede impegno, fatica, e forse per questo a fumarla rimanevano allora categorie un po’ eccentriche, come “i cacciatori di camosci” e “i lupi di mare” – detto per inciso, all’incirca in quegli anni esordivano due celebri fumatori di pipa dei fumetti: Popeye (1929) e il Capitano Haddock di Tin Tin (1941).

Possiamo allora vedere quest’opera come un sentito commiato alla pipa da parte di un giovane Buzzati, dato che presto anche lui l’avrebbe tradita per la sigaretta? Forse, ma c’è ancora un’altra ipotesi, anche questa sospesa tra verità e finzione. Viene dal testo scritto da Buzzati nel 1962 per una mostra della collezione di pipe di Ramazzotti ed è intitolato Hanno un’anima?. Buzzati qui racconta l’origine della collezione del cognato, risalendo a un episodio con protagonista un giovane Ramazzotti ancora studente del politecnico ma già fumatore di pipe. Nel cuore della notte, nel sinistro studiolo sotterraneo dove studiava, Ramazzotti “a un tratto udì, nel profondo silenzio della notte, un gemito cavernoso, quasi un rantolo, uscire da una pipa”. Non era un’allucinazione uditiva ma il primo di una serie di episodi – “pipe che gemevano, squittivano e perfino gorgheggiavano, pipe che si spostavano misteriosamente da una stanza all’altra, pipe che mutavano inesplicabilmente d’umore” – che alla fine convinsero Ramazzotti: anche le pipe dovevano avere un’anima, per quanto piccola. Impossibile non pensare alle “pipe fantasime” a cui è dedicato un capitolo del Libro delle pipe e ancora di più alle pipe suicide che, “che, posate la sera su qualche mobile, si ritrovano al mattino in pezzi a terra”. Le cause dell’autodistruzione, secondo gli autori, vanno cercate nella trascuratezza da parte del proprietario o nell’uso di tabacco che non vada loro a genio.

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Qui possiamo aggiungere ancora un’ipotesi sulla nascita del Libro delle pipe, e cioè che le pipe sono oggetti interessanti da disegnare. Non solo per le loro curve, ma anche perché possono essere supporto per altre immagini (e altre storie). Lo spiegano gli autori nel capitolo dedicato alle pipe scolpite, elencando anche quali siano le forme più adatte a essere ospitate su una pipa: scene di caccia, teste di uomini o di animali, femmine discinte… “La scultura si identifica colla personalità della Pipa”, avvertono Buzzati e Ramazzotti, ma “sia detto una volta per tutte: la

Pipa non sarà mai schiava della scultura, bensì questa di quella”. Così accanto a tavole che illustrano modelli reali, la maggior parte dei disegni del volume raffigura pipe dalle forme più bizzarre. Eccone alcune: una pipa di maiolica che raffigura la caduta di Treviri; una pipa con sculture di tardigradi (di cui Ramazzotti diventò in seguito il massimo esperto!); pipe raffiguranti la testa di un militare turco o del Duca di Mantova. E infine la più surrealista di tutte: una pipa con sculture di balli in cui si intravede un uomo che a sua volta fuma una pipa, “una delle rare raffigurazioni di Pipa su Pipa”, dice la didascalia.

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In copertina, Disegno da Il libro delle pipe di Dino Buzzati e Eppe Ramazzotti. I due autori.

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