“I migliori nani”, dieci anni dopo / L'epopea cinica di Ciprì & Maresco

Per gentile concessione degli autori e della Cineteca di Bologna, pubblichiamo il seguente testo, incluso nel booklet del cofanetto Cinico TV – Volume terzo 1998-2007, che raccoglie la produzione “breve” che Daniele Ciprì e Franco Maresco hanno realizzato nel corso dell'ultimo decennio di attività comune, in particolare per la trasmissione televisiva I migliori nani della nostra vita (2006).

 

Rivedendo le venti puntate de I migliori nani della nostra vita a due lustri dalla prima messa in onda, colpisce in prima battuta l'evidenza con cui si manifesta l'inclinazione “documentaria” di Ciprì & Maresco. Va detto tuttavia che gli spunti documentaristici non sono mai mancati nell'opera dei due registi, fin dai tempi di Cinico TV, magari sotto forma di parodia dei codici televisivi allora in voga: le interviste-verità con il loro maramaldeggiare sulle disgrazie altrui, ridicolizzate dai dialoghi fra i vari Tirone, Filangieri, Paviglianiti e l'implacabile voce off di Maresco; la “pubblicità progresso”, sbeffeggiata attraverso slogan quali «Adotta un siciliano» o «Più liberi con la mafia»; e finanche i vertiginosi montaggi di Ghezzi & Co. – si veda il segmento Don Blob, coloratissima silloge di immagini televisive di delitti mafiosi commentata da un evergreen anni Cinquanta. In tutti questi casi, la non-fiction si trasforma in una fiction più vera del vero, mentre il “reale” perde ogni consistenza e autenticità, tanto da sfociare, qualche anno più tardi, nel mockumentary de Il ritorno di Cagliostro. In un certo senso, come qualcuno ha suggerito, si potrebbe persino considerare l'intera opera del duo palermitano come una vasta, puntuale e – perché no? – accorata ricognizione su corpi e muri in disfacimento, autentiche rovine di un mondo in procinto di scomparire per sempre. Lo stesso Belluscone, firmato nel 2014 dal solo Maresco [la coppia si è sciolta nel 2008, NdR.], sarà appunto il racconto retrospettivo dell'orrenda “mutazione antropologica” in cui quel mondo si è annullato, nonché l'illustrazione dell'unica possibile forma di resistenza: scomparire a propria volta.

 

Franco Maresco (a sinistra) e Daniele Ciprì

 

Ingurgitando e rimasticando per bene intere porzioni di realtà, di televisione, di cinema, anche le più vili e indigeste (si pensi al porno in Omaggio a E. [1990] e Pel di Carota [1991], o alle televendite genialmente inserite a mo' di interludio in Enzo, domani a Palermo! [1999]), Ciprì & Maresco le hanno restituite agli spettatori secondo una logica che potremmo definire “pedagogico-edificante” (sic). È rimasta costante, in loro, la volontà inconfessata di sottrarre all'inevitabile oblio la “troppo umana” civiltà del dopoguerra nelle sue diverse forme: il cinema hollywoodiano classico, l'avanspettacolo, la musica jazz, le ultime propaggini del teatro dei pupi. Ne I migliori nani (e nell'immediatamente successivo Ai confini della pietà, trasmesso nel 2007) tutto questo deborda, si fa bisogno di condividere e tramandare le “cose che si amano” (da Ellington a Franchi e Ingrassia, passando per Visconti, Friedkin, Steve Reeves e molti altri ancora), secondo una forma volutamente frammentaria e rigorosamente a-sistematica.

 

Se è vero, come sostiene Mario Monicelli nella puntata a lui dedicata, che «muoiono solo gli stronzi», lo stesso si può dire per il valore culturale e artistico in quanto tale: una ragione in più per salvarlo. Su questo versante, anzi, andrebbe senza dubbio annoverato tra gli highlights della serie lo special su Nino d'Angelo, spalleggiato per l'occasione da un imbranatissimo Francesco Puma e da un autoironico Goffredo Fofi impegnato a fare il verso a se stesso: un'autentica miniera d'oro per chi volesse sviscerare l'intricatissimo rapporto che lega i due cineasti alla cultura popolare. Insomma, una volta preso atto dell'inevitabile disfacimento di ogni cosa, i rifiuti non possono che diventare oggetto d'amore. Potrebbe sembrare un'esagerazione, eppure è impossibile non notare come ciascuno di questi frammenti, si tratti del corpo di Paviglianiti o di un lacerto di cinema d'antan, venga fatto oggetto di una cura formale davvero inaudita; così come non può che colpire, di fronte alla tendenza del piccolo schermo a “buttare là” le immagini facendole cominciare e finire a casaccio, la certosina precisione nel montaggio degli inserti prelevati da altri film o materiali.

 

Gregorio Napoli con Mario Monicelli

 

Ne I migliori nani, a questo sguardo mai così “archeologico” Ciprì & Maresco accompagnano – altra novità – una sorta di auto-museificazione. Sbaglierebbe di grosso chi pensasse a un improbabile Best of, in odore di auto-promozione. Si tratta invece di quel farsi museo istantaneo di se stessi di cui fu maestro Orson Welles: una figura che, dopo l'omaggio esplicito e quasi sfacciato del Cagliostro, finirà per dominare l'opera del duo di lì in avanti (e soprattutto, poi, quella del Maresco solista). Una celebrazione, quindi, che vuole abbracciare insieme trionfi e fallimenti – ché non si danno mai gli uni senza gli altri – nella quale il peana trascolora spesso e volentieri nell'epicedio. E se un'inconfondibile eco “wellesiana” risuona già a partire dalla sigla del programma, affidata ai trucchi di un prestigiatore di mezza tacca, puntata dopo puntata i due registi non mancano di constatare masochisticamente quanto poco la trasmissione sia seguita dal pubblico, con il critico cinematografico Gregorio Napoli che si aggira per Ballarò chiedendo ai passanti se conoscano Ciprì & Maresco, ottenendo in risposta una scontata quanto unanime serie di «no».

 

Sempre al versatile Napoli spetta il compito di introdurre e debitamente contestualizzare una fetta importante della passata produzione ciprimareschiana (Cinico TV, ma anche materiale inedito del Cagliostro e altre perle), accompagnando i telespettatori lungo una ventina di appuntamenti settimanali che sono un'espansione dell'universo della coppia con materiali nuovi, all'insegna, com'è ovvio, della più totale eterogeneità: sketches comici, interviste sul tipico sfondo nero, materiali di repertorio si avvicendano in spregio a qualsiasi unità di tono o principio di regolarità nella struttura delle puntate. Un monologo di Mimmo Cuticchio sull'incubo della peste può piovere dal cielo dopo un'interminabile sequela di facezie; così come una tremenda (in senso buono) puntata sulle donne si chiude con un monologo di Franco Scaldati su Santa Rosalia. Quasi sempre a reggere il tutto c'è un tenue fil rouge monografico (spesso “obbligato”, come la religione in Sicilia, o la mafia – ma c'è spazio anche una pre-bellusconiana incursione su improbabili dilettanti della canzone di piazza); in ogni caso, le digressioni estemporanee non si contano.

 

Giovanni Rizzo e Gregorio Napoli

 

Rispetto all'età aurea di Cinico TV, comunque, qualcosa è cambiato. Certo, il bianco e nero e le luci sfoggiano i virtuosismi di sempre, gli interpreti sono più in forma che mai (Pietro Giordano e Fortunato Cirrincione su tutti), ma la fattura di gag e sketches si fa più riconoscibilmente televisiva, addirittura più vicina alla satira (si veda l'insistenza con cui Cuffaro e Berlusconi vengono individuati come bersagli ricorrenti); di tanto in tanto vengono persino infranti i tabù del femminile (con l'ingresso nel cast della “poetessa” Antonietta Scalisi Bonetti, già vista in Cagliostro) e del colore. È come se Ciprì & Maresco avessero accettato di abitare definitivamente lo studio televisivo, framework egemonico che ha ormai inghiottito un'intera nazione. Tuttavia, una volta dentro, è in un'altra direzione che guardano, che poi è quella di sempre: il teatro di rivista con i suoi “quadri” (da qui provengono senza dubbio i duetti fra Napoli, promosso al rango di anchorman, e Rizzo, l'assistente deforme) e i film di montaggio tipo Il magro, il grasso, il cretino, visti e rivisti in qualche oscuro cinema parrocchiale. A tratti, nel disordinato collage di maghi affannati e danze del ventre, di imitazioni-lampo e presentatori analfabeti, si ha perfino l'impressione di assistere alla riproposizione in chiave contemporanea (e grottesca) di certi “esperimenti” degli anni Quaranta e Cinquanta, sullo stile de I pompieri di Viggiù di Mattoli o Gran Varietà di Paolella.

 

Giovanni Ciprì e Michele Ferrara

 

A metà strada fra l'avanspettacolo e l'amato jazz si colloca invece l'autentica rivelazione della serie, ovvero i “maestri” Ciprì (fisarmonica) e Ferrara (clarinetto e sax), ai quali sono affidati i numerosi intermezzi musicali. I loro battibecchi à la De Rege, la perfezione, volontaria o meno, dei loro tempi comici, costituiscono un divertito omaggio a una musica – e a un mondo – assai cari ai due registi palermitani. Un omaggio che trova il suo pendant pensoso e malinconico nella tromba di Enrico Rava e nel pianoforte di Salvatore Bonafede, chiamati ad accompagnare il rimontaggio delle celebri, bellissime e terribili immagini documentarie girate da Robert Young a Cortile Cascino nel 1962.

 

La vena de I migliori nani troverà un sviluppo pressoché naturale in Ai confini della pietà, dove, oltre ad approfondire la vocazione documentaria e più squisitamente “di inchiesta” già notevolmente accentuata nella serie dell'anno prima (si pensi soprattutto al dittico su Giorgio Castellani), comprende due puntate che preannunciano i due documentari più significativi del Maresco solista: quella sul jazz lascia intravedere Io sono Tony Scott (2010), nel quale il fragoroso fallimento esistenziale dell'eponimo, geniale musicista siculo-americano adombra la parabola umana e artistica dello stesso regista; mentre l'omaggio a Scaldati ha tutta l'aria di essere lo schizzo preparatorio per Gli uomini di questa città io non li conosco (2015), ritratto dell'attore-autore palermitano che, anche in questo caso, finisce per rivelarsi un autoritratto “per interposto artista”.

 

Il cofanetto: Daniele Ciprì e Franco Maresco, Cinico TV – Volume terzo 1998-2007 (3 dvd di 680' + libro di 96 pp.), a cura di Emiliano Morreale, Edizioni Cineteca di Bologna, 2016.

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