Alessio De Santa / Walt Disney. The Moneyman

15 Dicembre 2016

Walt Disney, il nome ci rimbomba in testa, lo ritroviamo in ogni discorso sul cinema, in ogni ricordo d’infanzia, in ogni gallery “I migliori dieci cartoni animati di sempre: clicca qui!”, ma anche in infinite pubblicità e in un buon numero di frasi fatte. 

Sulla persona, su chi era Walter, figlio di Elias Disney padre duro e oppressivo, però, a cinquant’anni dalla morte restano ancora ombre. L’uomo a capo dell’impero ha perso le sue fattezze terrene per farsi brand e, forse, se potesse saperlo ne sarebbe felice.

Lo sregolato genio, il freddo capitalista, il bambino eterno: ogni biografia in circolazione sembra assolutizzare la figura di Disney, scolpirla con fattezze definite come quelle della statua che sovrasta i visitatori a Walt Disney World. La necessità manichea di definire le grandi personalità è un fardello che accompagna autori e studiosi e, nel caso della vita di Walt Disney, si è concretizzata in un mare magnum di biografie contradditorie e assolutizzanti.

 

Forse per questo motivo Alessio De Santa nella realizzazione di The moneyman, racconto a fumetti della scalata al successo di Walt Disney, ha voluto leggere la storia attraverso gli occhi del fratello di Walt. Sì, perché c’è un fratello, Roy Oliver, possiamo indovinarne le fattezze guardando la sua statua, sobria e un po’ defilata, all’entrata di Walt Disney World: è quel signore che chiacchiera con Minnie su una panchina. Se oggi la Walt Disney Company è il colosso che conosciamo e se abbiamo potuto godere degli incredibili lungometraggi animati e delle avventure degli abitanti di Topolinia e Paperopoli è anche – forse principalmente? – grazie a lui. Il ruolo giocato da Roy Oliver è poco noto al grande pubblico, ma indispensabile nella creazione del sogno del fratello, un ruolo di amministratore e contabile, di braccio destro e confidente, di capro espiatorio e deus ex machina. Il titolo dell’opera di De Santa è già esplicativo in questo senso: moneyman è il termine informale e velatamente dispregiativo con cui a Hollywood sono chiamati i produttori. L’accezione diventa ancora peggiore, poi, se consideriamo che produrre fumetti e cartoni animati, a inizio ‘900, non era certo considerato mestiere redditizio e di cui far vanto.

Insomma, la storia di Walt Disney, la compagnia, è la storia di Walt Disney, l’uomo, e quella di Roy Disney: un unico percorso formato da tre strade.

 

 

Ma cominciamo dalla fine: The moneyman è principalmente il racconto di una lotta contro il tempo, in tutte le forme che questo può assumere per mettere i bastoni fra le ruote ai sogni degli uomini: i debiti, la malattia, la morte. Walt Disney si muove in un eterno contrasto con le leggi immutabili della vita, vediamo gli anni passare, lo vediamo invecchiare nei disegni di Lorenzo Magalotti, ma non ce ne rendiamo conto fino alla fine del libro. Non cambia molto, infatti, dal Walt che viene presentato nelle prime pagine della graphic novel, un bambino irrefrenabile, dispettoso e pieno di passioni, al Walt che progetta Disneyland, con la stessa sfacciata voglia di fare e testardaggine che costringe il fratello Roy Oliver a trovare modi per correre ai ripari, per salvarlo e salvarsi in un rapporto che si svolge sempre identico, un eterno gioco di guardie contro ladri in cui alla fine la guardia e il ladro sono amici per la pelle.

 

Pensare a Walt Disney solo come a un appassionato imprenditore sempre all’inseguimento di un’idea geniale – il primo lungometraggio animato, il primo cartone animato a colori – è riduttivo. Grazie alla mediazione del rapporto col fratello, The Moneyman riesce nella difficile impresa di ritrarre Walt Disney su più piani, complementari e coesistenti. L’iniziativa e le folli idee sono infatti accompagnate dal temperamento testardo e iracondo di una persona che alla fine dei giochi fa sempre di testa sua e costringe chi gli sta intorno, lavorativamente e nella vita privata, a seguirlo, sia nelle imprese che lasceranno un segno indelebile nella storia sia in quelle destinate al fallimento (e di cui si è in gran parte persa la memoria grazie all’incredibile capacità di Roy Oliver di limitare i danni). Troviamo insomma un uomo capriccioso che è disposto a sottomettere l’altro che lo accompagna a ogni cambio d’umore, con la realizzazione del “progetto”, qualsiasi esso sia, come fine ultimo a cui valga la pena di mirare.

Il lato più controverso dei fratelli Disney emerge nell’episodio dei licenziamenti del personale del 1941, dovuti alla chiusura di diversi mercati esteri a causa della guerra; guerra che però, come emerge dalle tavole di Magalotti, i dipendenti della Walt Disney Company erano riusciti ad evitare grazie al loro lavoro nell’azienda. O ancora nell’incontro con Mussolini durante un viaggio in Europa del 1935; mancano ancora quattro anni allo scoppio del secondo conflitto mondiale ma l’episodio, visto con distanza storica, lascia un sapore ambiguo.

 

Controversie, queste, che non riescono tuttavia ad adombrare la scintilla disordinata del genio di Walt Disney. Considerare la vastità dell’impero Disney rispetto ai sogni degli inizi, quando Roy Oliver regalava al fratello più piccolo il materiale per i primi disegni, è banale come ripetere che Steve Jobs ha cominciato la carriera lavorando da un garage. Ogni storia ha un inizio, quella di maggior successo come quella più fallimentare. Direi sia più importante allora considerare i primi anni della Walt Disney Company, quelli in cui Walt era una fucina di idee e i lungometraggi animati andavano a ridefinire la storia del cinema: Biancaneve, Dumbo, storie da non credersi. Anni in cui senza l’apporto di Roy Oliver con ogni probabilità la compagnia sarebbe affondata dietro ai colpi di testa di Walt, sempre arginati e direzionati da quella mano discreta, quasi invisibile, con affetto e determinazione. 

 

Nelle pagine di The Moneyman è Roy Oliver a raccontare, ma nella finzione De Santa e i suoi collaboratori sono riusciti a riportare la stessa discrezione che il personaggio doveva avere in vita. Roy Oliver parla, ma non sempre lo vediamo. Pur essendo il narratore di una storia di cui è a tutti gli effetti co-protagonista resta spesso relegato sullo sfondo, non riusciamo quasi mai a percepirlo nella sua interezza. I momenti in cui è meglio definito non sono quelli di lavoro, ma quelli privati: gli istanti con la compagna Edna, che ha aspettato anni per sposarlo dando la precedenza al sogno pazzo di Walt, o ancora l’ultima furiosa litigata con il fratello a causa della creazione di una compagnia parallela, un conflitto che nasce da una questione imprenditoriale per diventare frattura personale. 

 

La dicotomia tra Walt e Roy Disney che emerge dalle pagine di The Moneyman è la chiave di volta che sorregge il successo impensabile della compagnia, il metro interpretativo per tirare le somme di un fenomeno che ha pervaso la cultura occidentale fino a renderci assuefatti e insensibili: dove Walt sarebbe andato a fondo Roy è rimasto a galla, dove Roy avrebbe visto un topo, Walt ha visto un universo. 

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