Muñoz e Sampayo. La vita non è un fumetto, baby

2 Marzo 2016

Alack Sinner, creato dalla feconda collaborazione tra gli argentini José Muñoz e Carlos Sampayo, è un ex-poliziotto con la faccia rovinata dalle botte e dall'alcol e un cognome che porta con compiaciuto rammarico. I fumetti che raccontano le sue avventure sono stati sceneggiati da Sampayo e illustrati da Muñoz dal 1975 in avanti e, dopo essere stati pubblicati in Italia in modo piuttosto discontinuo – pur riscuotendo sempre notevole successo tra gli appassionati –, finalmente trovano una giusta collocazione in una serie dedicata di otto volumi (al momento sono usciti i primi cinque) curati da Guido Scarabottolo e pubblicati da Nuages.

 

 

Nonostante i suoi autori siano nati sotto il canale di Panama, Alack Sinner vive a New York e incarna gli aspetti complessi e contrastanti degli Stati Uniti degli anni '70: quelli che hanno visto il Watergate e le atrocità della Guerra del Vietnam, che sono stati sconvolti dalle lotte del Black Panther Party e dalla musica psichedelica, quelli in cui il fremito di cambiamento si scontra violentemente con l'ideologia conservatrice di Nixon e di Ford. 

 

La condanna di Sampayo e Muñoz della brutale politica degli Stati Uniti è evidente, tanto più che non esitano a metterci, o meglio disegnarci, la faccia. Nella quinta storia della serie, La vita non è un fumetto, baby, bussano alla porta dello studio di Alack Sinner i due autori argentini, imbarazzati perché privi di ispirazione e desiderosi di studiare i suoi metodi visto che hanno inventato un personaggio col suo stesso nome e il suo stesso mestiere. Sampayo e Muñoz si dipingono come due sudamericani impacciati, poco usi alla fredda e apparentemente cordiale aggressività nordamericana e finiscono per risolvere loro, attraverso la creazione di una storia parallela, basata su quanto sta accadendo nel fumetto, la situazione di stallo in cui si sono impelagati Alack Sinner e la polizia. Al momento di salutarsi con il loro personaggio, Muñoz e Sampayo mettono in bocca ai loro avatar il concetto che ha permeato ogni pagina, ogni figura, ogni linea di testo: gli Stati Uniti sfruttano gli altri popoli con una politica capitalista e colonialista e a loro non sta bene. 

 

 

Alack Sinner dunque è un ex poliziotto che, come i suoi autori, disprezza i metodi violenti e il razzismo assassino della polizia e il nepotismo crudele dei commissariati, preferendogli la comunità afroamericana, che in ogni caso non riesce a vedere in lui un fratello, e fumosi locali dove si ascolta jazz e si incontra un'umanità varia e disgraziata. Le avventure di Alack Sinner, investigatore perché con una morale troppo umana per poter restare nella polizia, sono rivolte a smascherare ricchi tanto potenti quanto pazzi nelle loro manie di grandezza e un mondo occidentale ormai definitivamente corrotto, in cui il marcio non si annida solamente nelle pieghe dei salotti della politica ma ha investito anche le persone per bene, costrette a scendere a patti con una violenza misera e volgare pur di restare a galla. 

Alack Sinner si cala così nei bassifondi, stringe la mano a rivoluzionari, drogati e transessuali (la più lucente corona d'angeli in cielo, per dirla con Rick Moody), si prende a cuore le loro storie e, pur mantenendo invariato il disperato cinismo con cui è stato disegnato, li aiuta a dirimere le loro questioni personali, rimediando sempre nuovi graffi su un volto che riporta fedelmente i segni di ogni indagine e di ogni dolore. Salta all'occhio allora come, sebbene siano passati quarant'anni, le tematiche sociali che scorrono prepotenti dalla penna di Muñoz e Sampayo non siano ancora del tutto risolte. Dietro i pugni chiusi dei militanti delle Pantere Nere scorgiamo Ferguson, dietro l'autostoppista con la spilla del Gay Liberation Front le deliranti dichiarazioni di Trump, dietro i ricordi del Vietnam del pianista eroinomane John Smith III le barbarie delle guerre in Medio Oriente degli ultimi quindici anni. 

 

 

Lo straniamento e lo spaesamento di Alack Sinner li riconosciamo bene, è facile empatizzare con lui: non importa che sia più vecchio di qualche decennio e che le sue rughe siano carta stampata.

La critica sociale, dunque, è il fil rouge che percorre tutta l'opera su Alack Sinner; sebbene però lo stile della narrazione e le tematiche tendano a rimanere invariati, Muñoz e Sampayo riescono a declinare le singole storie con una fluidità sempre nuova, svolgendole ora in forma di breve racconto poliziesco – con un assassinio, un'indagine e una conclusione, sull'onda del più classico dei racconti di Conan Doyle – ora con una struttura che ormai riconosciamo propria del graphic novel, più lunga e densa di contenuti.

Se, inoltre, le prime storie di Alack Sinner sono incentrate sull'indagine poliziesca, ricalcando le classiche strutture del noir à la Chandler, nella sua evoluzione il detective si trova ad allontanarsi dai cliché del giallo per affrontare la propria storia personale, quella lontana dalle fila della polizia, fatta di affetti e situazioni familiari anomale in un'ambientazione sempre più dark e angosciosa. È il caso di Trovare e ritrovare, che per la sua lunghezza ha guadagnato una pubblicazione a sé, la quarta nell'ordine proposto da Nuages, in cui ritorna a galla il passato di Alack Sinner, accennato tra le righe nei precedenti volumi ma mai affrontato direttamente. Nel suo burrascoso incontro con il vecchio padre e soprattutto nella scoperta di avere un figlio con la ex moglie Enfer (come “inferno” in francese), afroamericana, Alack Sinner smette i panni dell'investigatore coriaceo per rivelare una fragilità mai apertamente dichiarata: quella di chi desidera una vita normale tra i normali, senza dover per forza salvare qualcuno, senza dover per forza farsi prendere a pugni nel retro di uno strip club. 

 

 

Il tratto di Muñoz sembra accompagnare il suo personaggio modificandosi ed evolvendo a sua volta, passando da un bianco e nero che ricerca e sottolinea ogni piega del volto e ogni tratto distintivo di persone e oggetti, a violente pennellate che rimarcano un duro contrasto con il bianco dei dettagli, senza per questo coprirlo ma, anzi, esaltando il particolare. Alack Sinner, lo sgradevole capitano Demetrius, l'amico – o quasi – Nick Martinez, la ex moglie Enfer, vengono allora raccontati da Muñoz con un bianco e nero netto e privo di grigi ma ricco di particolari: ogni vignetta è un quadro, ogni tavola un racconto a sé. D'altronde il maestro di Muñoz si chiamava Hugo Pratt.

Nuages e Scarabottolo hanno cercato di mantenersi il più possibile fedeli al modello originale, scegliendo per i volumi un formato che, scomodissimo ed elegantissimo, riuscisse a riproporre il registro grafico di Muñoz nella sua interezza e complessità, attingendo per le scansioni direttamente alle tavole originali (nei limiti del possibile, ovviamente). I volumi al momento sono, come dicevamo, cinque: nell'ordine Conversazione con Joe, Viet Blues, Città oscura, Trovare e ritrovare e Nicaragua

 

Insomma, le opere su Alack Sinner, oltre ad essere una pietra miliare dell'evoluzione del graphic novel e del fumetto d'autore, riescono a riflettere attraverso le vicende di un detective privato una rara miscela di critica sociale e riflessione sulla natura umana. E se Borges nel 1981 sosteneva, con una geniale battuta, di vedere il futuro degli Stati Uniti nero o di non vederlo affatto, Alack Sinner e con lui Muñoz e Sampayo la pensavano così già da diversi anni. Ma si sa che gli argentini sono pessimisti.

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