Alessandra Saugo / È per delicatezza che ho perduto la mia vita
Ho riletto alcune pagine del suo primo libro, Bella pugnalata, al quale sono particolarmente legato perché Alessandra me lo aveva mandato manoscritto quando ancora non la conoscevo. Ricordo che mi aveva colpito, mi aveva sbalordito per come era impietoso e crudele, ma anche per la sua fragilità, delicatezza ferita e dolore. La sua mi era sembrata la voce femminile più contundente che mi fosse arrivata da una scrittrice italiana contemporanea.
Anche oggi mi è successo questo, nonostante abbia già letto e riletto altre volte questo libro. Perché ovunque si posino gli occhi c’è qualcosa che colpisce, che ferisce, che spiazza, che riempie di meraviglia e dolore, un modo di dire le cose che diventano la cosa stessa.
Fin da subito mi avevano colpito soprattutto due cose.
La prima è che si tratta del libro di una vera scrittrice, perché qui si sente una voce. Non solo un io, ma anche una voce, che è una cosa che viene prima, prima ancora dell’io, di quella intercapedine che percepiamo come “io” nel mare chimico della materia in creazione e in pensiero e delle sue terminazioni luminose e nervose che si muovono nel silenzio e nel buio cosmico, una voce che viene da zone più profonde e allagate.
La sua è una lingua concentrata fino allo spasimo, sperimentale come lo è ogni lingua che non si limiti a testimoniare ciò che è stato già razionalizzato, addomesticato e accettato ma che si avventuri in un territorio di conoscenza e di rischio. Una voce piena di accostamenti spiazzanti, da scrittrice che si è dovuta inventare se no non avrebbe potuto dire e vedere quello che ha detto e visto.
Alessandra è una scrittrice feroce, ma solo perché la sua musa è il trauma. In lei c’è ferocia perché c’è delicatezza: le due cose sono inseparabili. Proprio perché in lei c’è delicatezza, proprio per questo le cose che la toccano, la sfiorano, l’attraversano hanno l’impatto di un’ustione e di un trauma. Ma è proprio questo che le dona una seconda vista, che la rende più perspicace, più potente e inarresa, più scatenata e persino più baldanzosa e scherzosa.
Le persone che hanno il pelo sullo stomaco, le persone che sanno bene come va il mondo e che sanno trarne vantaggio non hanno bisogno di essere feroci. Sono le persone inermi, sono le persone che hanno aspettative e aneliti e che subiscono delusione e trauma a registrare così il loro impatto col mondo e con il buio del mondo (“È per delicatezza che ho perduto la mia vita” scrive Rimbaud.) E io ho potuto conoscere di persona quanto fosse grande la sua delicatezza, fin negli ultimi istanti della sua vita e nei messaggi che mi sono arrivati da lei persino dal suo letto di morte.
Gli scrittori vengono fuori da dove uno meno se lo aspetta, perché il vento, si sa, soffia dove vuole. Alessandra viene fuori dal profondo Veneto, da quella miscela anche antropologica di intelligenza elementare, sottomissione, perspicacia e cinismo che ha contrassegnato il turbine economico in quella grande regione antica e nuova e ha visto emergere nuove figure imprenditoriali e umane e nuove visioni e concezioni orizzontali del mondo che si sono sovrapposte a quelle precedenti e arcaiche, perché gli scrittori vengono fuori da irripetibili combinazioni e compresenze di ogni genere e tipo, da fessure che solo loro scorgono, perché gli scrittori cercano delle crune e sono loro stessi le crune.
Quella di Alessandra è una lingua non orizzontalmente “narrativa” ma verticale, da scrittrice che si è dovuta forgiare una lingua per potersi esprimere. Perciò considero scandaloso, considero un segno dei tempi e del povero Paese in cui viviamo che questa voce non sia stata registrata e accolta al suo primo apparire (7 anni fa!), tanto che un libro simile, di così alta temperatura letteraria, conoscitiva e nervosa, un libro così delicato e così selvaggio, che ha a mio parere caratteristiche eccezionali, non ha avuto una sola recensione.
L’altra cosa che mi colpisce riguarda il contenuto dei libri di Alessandra, sia del primo che del secondo (Metapsicologia rosa), che non si limitano a una superficiale denuncia del potere maschile e delle sue sopraffazioni (di cui abbiamo ampia e penosa testimonianza in questi mesi), ma ci mostrano anche il peso e il prezzo dell’adesione femminile a uno stesso modello mentale e sessuale, della prigione narcisistica, dell’inferno della competizione e della guerra interfemminile, della lotta per la sopravvivenza e il dominio in un’epoca in cui tutto è stato orizzontalizzato e privato di trascendenza, all’interno di una visione del mondo schiacciata sulla sola dimensione economica e finanziaria e dell’interscambiabilità della vita e dei corpi.
Alessandra ci fa vedere il rovescio della medaglia anche nella parte femminile dell’umanità, ci fa vedere anche l’introiezione, perciò è crudele e impietosa non solo con i maschi ma anche con le femmine. Perciò è scomoda, perché la sua ribellione è a 360 gradi, perché non semplifica, perché non è manichea, perché non scambia e non spaccia la schiavitù per libertà, perché non lascia comode e consolatorie zone franche, perché entra coraggiosamente anche in questa comune ferita, in questa zona d’ombra dove sono imprigionati sia gli uomini che le donne, cosa rischiosa e che raramente viene fatta, tanto più adesso, perché introduce un elemento di disturbo, di contraddizione, perché inceppa il discorso mettendone in sofferenza i suoi presupposti di superficie. In lei si sente la creatura che non può più essere e non accetta di essere la figura femminile di prima e che non è ancora quella di dopo. In lei si sente il dolore dell’invenzione.
E noi abbiamo bisogno proprio di questo coraggio e di questa invenzione, tanto più nella situazione cruciale in cui ci stiamo trovando a vivere, planetaria e di specie, abbiamo bisogno che non solo gli uomini ma anche le donne facciano questo tratto di strada e attraversino anche il loro pezzo di buio, per poterci finalmente incontrare da qualche altra parte e riaprire i possibili.
Mi cadono gli occhi, per esempio, su questo brano di Bella pugnalata:
“Perché vorrei tanto che le donne violentate, amputate lì, anche solo pasticciate, o che se lo sono inventate per trovare un perché al fatto che sono disadattate, o tutte rovinate, prostituite, incestuate, non avessero tutta la zona morta che hanno. Non fossero queste mega bare che sono. E che non fossero psicoplegiche roteanti su carrozzelle invisibili.”
Per tutto questo Alessandra, come ogni vero scrittore, è una persona ferita e una condottiera.
Alessandra Saugo è nata il 14 gennaio 1972 a Valdagno (Vicenza) ed è scomparsa il 22 settembre 2017. Ha sempre vissuto a Vicenza. Sposata, divorziata, dal suo matrimonio sono nate tre bambine. Di lei sono stati pubblicati finora: Bella pugnalata (Effigie 2010, con bandella di Antonio Moresco) e Metapsicologia rosa (Feltrinelli 2017). Lascia anche alcuni manoscritti postumi.