Il futuro in un dialogo

Introduzione di Tiziano Bonini

 

Non so quanti di voi siano stati a Larderello. Forse, se non avete fatto le elementari in Toscana, Larderello evoca solo vaghi ricordi di pagine di sussidiari dedicate all’energia geotermica in Italia. Io sono fra quest’ultimi. Di Larderello ricordo solo la maestra Marcella che ce la raccontava come un’utopia tecnologica ed ecologica. Poi finalmente ci sono stato.

 

Larderello è in Toscana, ma sembra la Springfield dei Simpson: il paesaggio è segnato da enormi torri di raffreddamento simili a quelle atomiche ma per niente pericolose. Qui si produce ancora il 10% dell’energia geotermica mondiale. Negli anni sessanta Larderello era una comunità-laboratorio al centro di grandi trasformazioni ed innovazioni. Si costruivano villaggi moderni per gli operai, l’architetto Giovanni Michelucci ne progettava lo sviluppo urbanistico, il lavoro aumentava.

 

Oggi Larderello porta i segni di un’utopia invecchiata, lacerata. Il lavoro è scomparso, i villaggi degli operai abbandonati, il turismo mai del tutto decollato. Qui un sound artist inglese, Mikhail Karikis, è arrivato nel 2012 per rileggere Larderello attraverso il suono. Radio Papesse e Villa Romana di Firenze, gli avevano commissionato un lavoro all’interno del progetto Nuovi Paesaggi: racconti sonori dalla Toscana.

 

Karikis, che già aveva creato importanti lavori sonori capaci di rievocare la memoria storica e raccontare il presente delle ex miniere di carbone gallesi attraverso l’uso del suono (Sounds from Beneath, 2010), ha passato giorni a registrare il suono dei soffioni boraciferi e ha prodotto un lavoro radiofonico di alta sartoria sonora, raccontando Larderello soltanto attraverso i suoni emessi dalla sua terra. Dopo quell’esperienza Karikis ha continuato ad esplorare Larderello, è tornato, ha organizzato workshop con i bambini delle scuole elementari di Larderello e ha messo in piedi un progetto più ampio: Children of Unquiet, la cui mostra inaugura il 3 luglio a Villa Romana, Firenze, e rimarrà aperta fino al 29 agosto 2014.

 

 

Nel video (qui un estratto) che apre la prima sala della mostra un gruppo di bambini prende possesso dei villaggi abbandonati, ne dissotterra le memorie e inizia a giocare e a immaginare un altro futuro, in uno scenario che richiama la fantascienza del futuro prossimo di serie tv come Black Mirror o romanzi come Dissipatio H. G. di Morselli. Non ci sono adulti in giro. Il territorio sembra abbandonato da decenni. I bambini arrivano, si mettono in ascolto dei suoni che provengono dai tubi che portano il vapore alle centrali, ricoperti di vegetazione, e iniziano a ri-abitare, a squattare, questo luogo abbandonato, cantandone, per prima cosa, i rumori.

 

Oltre al video, Children of Unquiet è un’installazione sonora di rara potenza, dove il suono della terra si mescola a quello riprodotto dai bambini, una serie di immagini e di disegni, un workshop e un gioco in scatola per bambini, dove si impara a confrontarsi con gli equilibri geo-economici-politici del territorio.

 

Il lavoro di Karikis non solo dimostra il potere del suono di dare forma ad un’intera comunità e condizionarne l’identità, ma è anche un magnifico esercizio di immaginazione di un futuro diverso attraverso l’istituzione dell’amore (tra le immagini della mostra campeggia la scritta “Love is an Institution of Revolution”), dell’affetto, delle relazioni, cioè il capitale sociale.

Un saggio su come il capitale sociale sia il primo bene comune di un territorio, prima ancora delle sue ricchezze geofisiche ed economiche.

 

Il lavoro dell’artista inglese è raccontato molto bene in una conversazione tra Mikhail Karikis e il filosofo politico Michael Hardt, pubblicato nel catalogo della mostra, del quale doppiozero presenta qui di seguito l’estratto finale.

 

 

 

Sull'amore: un dialogo di Michael Hardt e Mikhail Karikis

 

(…)

 

MH Mikhail, una cosa che mi ha colpito del film è la presenza di 'un altro mondo'; c’è qualcosa di inattuale persino nella colonna sonora. Uso il termine ‘inattuale’ in senso nietzschiano, che non è proprio del nostro tempo; tu ne stai creando un altro. Il film presenta un mondo del futuro, forse un mondo fantascientifico, popolato solo da bambini. Perché il discorso sull’amore, che è letto dai bambini, anima questo avvenire da fantascienza? Mi chiedo se l’allontanamento dalla nostra realtà renda questa riflessione sull’amore possibile.

 

MK Fin dalla sua creazione, Larderello sembra essere stata occupata a pensare al futuro. Ben prima che io arrivassi a fare domande in merito. Era un progetto utopico, modernista, pensato per dar forma a un nuovo stile di vita e una nuova idea di comunità a partire da una diversa temporalità. Anche l’energia che vi viene prodotta sembra essere, da quanto emerge, un’arcaica, e tuttavia inesauribile forza naturale: calore e vapore che erompono dalla terra. Il carattere fantascientifico di questo lavoro dipende forse dalla compresenza, nello stesso posto, di molteplici dimensioni temporali o forse dal fatto che getta uno sguardo su un momento preciso, sospeso nell’architettura modernista degli anni Cinquanta, occupata essa stessa a immaginare quel futuro utopico, che risultò poi essere, invece, una distopia.

 

Le grandi ambizioni e aspirazioni di cui è stato investito il villaggio di Larderello gli consentono di esistere come un’utopia o come il suo fallimento, ma da che parte sta la realtà? Da una parte, il mio lavoro riporta la normalità in questi luoghi, con i bambini che fanno le cose di tutti i giorni: giocano, leggono, dormono, ascoltano, cantano. Dall’altra parte, introduce la nozione di amore politico, così come la definisci tu, perché è proprio in questo che Larderello sembra aver fallito. Se l’amore è qualcosa che innesca il cambiamento o addirittura una rivoluzione, mentre allo stesso tempo genera e mantiene comunità e legami forti e duraturi, è proprio in questo che Larderello ha fallito. Perché i sistemi vigenti a Larderello hanno portato novità industriali e tecnologiche ma sono stati fallimentari nel tentativo di tener vivo un rapporto con la comunità locale, finché la loro unione non si è spezzata del tutto.

 

Questo è un progetto speculativo: cosa accadrebbe senza adulti, se dei bambini scoprissero dei libri tra le macerie, e in essi scoprissero qualcosa che invece era sfuggito alle generazioni precedenti? Illuminati da questa scoperta, come trasformeranno questo posto? Nel film i bambini rispondono in modo piuttosto eloquente, abitando gli scenari di Larderello come se fossero un cortile, dove le relazioni, i giochi, i territori sono negoziati in comune. Non mostro come questo posto cambierà in futuro; come artista sono interessato a scoprire il potenziale di cambiamento, con e attraverso le comunità con cui lavoro. Sarà loro compito poi stabilire esattamente quali riforme vogliono avviare. Nel caso di Larderello, oltre ai bambini, ho coinvolto i genitori, l’amministrazione locale e la fabbrica nella riflessione sul futuro. Adesso spetta a loro parlare.

 

MH La gioia dei bambini in questo film è straordinaria. Un luogo che potrebbe apparire tragico è pieno di felicità. Il dramma del progetto socio-economico e l’esuberanza dei bambini sono i termini di una straordinaria contrapposizione.

 

MK Penso che, attraverso il gioco, i bambini stiano ricreando quel senso di bene comune che oggi è totalmente assente da questi luoghi.

 

MH Nel tuo film, il paesaggio è desolato e allo stesso tempo potente. Una realtà post-industriale decadente è accostata alle forze della terra, loro sì, costanti. La terra dura, i progetti socio-economici vanno e vengono. Questo mi porta alla mente delle visioni post-industriali o post-apocalittiche di un futuro in cui la terra, grazie alle sue energie, si riprenderà indietro le città, ma penso ci sia anche qualcosa di diverso nel tuo film, un’interessante dissonanza. Mi chiedevo che senso abbia per te.

 

 

MK In posti come la Valle del Diavolo in Toscana, dove si è svolto questo progetto, alcune spaccature nella superficie della terra ci portano così vicini alle immense forze che lavorano al suo interno, che assistiamo a un’enormità che sembra indifferente alle dinamiche temporali del capitalismo e delle nostre richieste di profitto immediato. C’è un senso di ostinazione in queste forze naturali, che volevo rendere, soprattutto attraverso il suono. Nel corso del film, i bambini cantano i rumori della terra e i droni delle centrali. Le armonie che caratterizzano questo lavoro sono quelle prodotte dal vapore quando erompe dalle aperture, grandi e piccole, della Valle del Diavolo. Verso la fine del film un bambino inizia a cantare la nota di uno di questi droni ripetitivi, e alla sua voce si uniscono quelle di altri bambini a formare una sorta di sciame sonoro. Da un lato, il canto dei bambini afferma la loro connessione con il paesaggio fisico e sonoro della loro infanzia, dall’altro è una forma di resistenza contro le narrative che dominano le loro vite, quelle che dicono che dovranno andarsene per cercare un futuro migliore altrove.

 

Volevo fare un film sull’atto dell’ascolto. I bambini sono osservati nel momento in cui prestano piena attenzione ai suoni che arrivano dal sottosuolo, dalle tubature che veicolano il vapore ad altissima pressione, direttamente dalle viscere della terra. Senza voler mistificare il ruolo dell’ascolto, penso che essendo circondati da questi intensi, continui, ostinati suoni provenienti dalla terra, i bambini non solo imparino le sue armoniche e i suoi droni, ma apprendano anche l'essenza del potere e della perseveranza che risuonano nel loro immediato ambiente uditivo.

 

Una volta ho accennato a un signore del posto che non avevo potuto dormire a causa dell’ininterrotta presenza dei suoni della geotermia, e lui mi ha risposto: “Non li sento più i suoni della terra, perché sono parte di me”. La forza e l’intensità sono proprie degli abitanti di Larderello; è il sistema politico ed economico che li ha temporaneamente privati del proprio potere.

 

MH In Children of Unquiet i bambini non sono turbati dalla presenza, intorno a loro, di potenti forze, piuttosto ci cantano insieme, cercano un modo per andare all’unisono con la terra e per ritrovarsi in un modo giocoso. Non è forse questa un’alternativa all’antagonismo tra il disegno dell’uomo e la terra?

 

Questa conversazione è avvenuta il 24 Gennaio 2014.

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