Gianni Clerici / 2084 La dittatura delle donne

12 Settembre 2020

Gianni Clerici è considerato uno dei maggiori esperti di tennis del mondo. Tennista in gioventù, è diventato famoso come giornalista sportivo per vari quotidiani (i maggiori), e poi per molti anni come commentatore televisivo in coppia con Rino Tommasi. I suoi libri, anche quando sono narrativa, riguardano soprattutto lo sport. Con 2084 La dittatura delle donne, Baldini Castoldi 2020, però per la prima volta si dedica a tutt’altro genere, con un esordio che arriva in occasione del novantesimo compleanno, festeggiato a luglio di quest’anno.

 

Il titolo fornisce il segno chiaro del romanzo. Si tratta di distopia, con un influsso indiscusso da Orwell. Come nel caso dell’autore inglese 1984 era la combinazione numerica dell’anno in cui fu scritto (1948), così in Clerici “2084” vuol rappresentare il prolungamento di quello scenario.

In effetti, pur nella girandola degli anni, il romanzo presenta i tratti caratteristici del filone distopico classico, oggi tanto attuale da meritare un fresco numero speciale di Urania Millemondi (Distopia, luglio 2020),

 

Il dominio della tecnologia e delle macchine. Nel 2084 l’umanità, o ciò che ne resta dopo un disastro ambientale e una nuova guerra mondiale, è avviata a una sorta di medioevo bucolico. La società si riorganizza per assicurare la propria sopravvivenza attraverso un particolare regime, la ‘dittatura democratica’. In esso tutto, dai destini personali alle scelte politiche, è delegato a un super computer, il ‘cerebrorobot’, in grado di indicare la migliore decisione. 

 

Il controllo e la sorveglianza. Nel nuovo assetto ogni cosa deve essere funzionale e regolamentata: non si può decidere il proprio destino e il desiderio, la creatività, l’eros sono visti con sospetto. I cittadini sono sottoposti all’incubo di una Struttura di Controllo in cui, per evitare disordini, è cancellato ogni imprevisto. La burocrazia è impostata su divisioni rigide (nascita, lavoro, procreazione equilibrata) che soffocano i sottoposti in maglie sempre più strette sino a disciplinare persino il possesso e gli affetti verso gli animali domestici. Proprio dalla natura della gatta Gipsy le protagoniste, la pittrice Livia e la figlia Evonne, scopriranno che il modo in cui vivono in quel mondo non è il migliore tra i possibili. 

Se si esaurisse su queste traiettorie, il romanzo susciterebbe un interesse tiepido. Così non è, perché presenta non poche eccentricità.

Innanzitutto quel mondo è governato dalle donne che hanno conquistato il potere e assunto un ruolo dominante. L’umanità è giunta a questo “dopo le prove millenarie di governi Virili che avevano condotto la terra sul precipizio della disintegrazione atomica”. Gli uomini, cioè i vires, sono destinati alle mansioni più umili, servono come braccia per i lavori pesanti e per ‘impollinare’ in laboratorio le amazzoni. Tutto questo in attesa che i nuovi robot in via di perfezionamento possano prenderne il posto e soppiantarli definitivamente. Il sesso maschile così regredisce nella scala gerarchica, è quasi superfluo, posizionato in un ruolo subalterno, sottomesso alle donne e alla programmazione totale. Le donne svettano al potere, sono selezionate per sposarsi tra di loro e per generare preferibilmente figlie femmine attraverso la fecondazione artificiale. Infatti i rapporti fra i sessi sono banditi e ogni forma di riproduzione è rigidamente controllata.

 

In questo scenario la curiosa e impertinente Evonne, amante della ‘favolistica’, figlia di Livia che appartiene alla casta privilegiata degli artisti, rimane incinta di Vijay, un ragazzo della casta degli Assimilati, una sorta di schiavo con capacità artistiche fuori del comune. Costui, sfuggendo agli algoritmi informatici, causa pertanto un’anomalia unendosi a una donna al difuori di ogni programmazione. E questa anomalia rischia di far collassare il sistema, che mostra così i suoi limiti e le sue falle. Non è un caso che Vijay, nome indiano diffuso, voglia dire Vittoria. Ma non è un caso, essendo Clerici l’autore, che richiami anche il nome di un tennista, Vijay Amritraj, noto negli anni 70-80 per aver sconfitto, tra i pochi, il grande John McEnroe. Neppure Evonne è indenne dalla competenza sportiva dell’autore perchè è il nome della tennista Evonne Goolagong, la prima aborigena a vincere tornei del Grande Slam negli anni 70 e ad essere considerata una delle più forti tenniste australiane della storia.

In realtà descrivere un mondo governato dalle donne non è una novità. Nell’arcipelago della distopia il filone ‘ di genere’ al femminile e scritto da donne, dopo qualche incertezza è in netta crescita (Baccolini, Corpo, diritti riproduttivi e rapporti di genere nelle distopie delle donne nel terzo millenio, Cosmopolis, 2019; De Santi, Totalitarismi, ruoli di genere e maternità: uno sguardo sulla narrativa distopica delle donne, The next station, 2014). 

 

Non solo: esso si afferma con successi anche televisivi, come dimostrano le serie tratte da Romanzo dell’ancella della Atwood (Ponte alle grazie, 2004), o di pubblico con Orologi rossi di Eni Zumas (Bompiani, 2018), La passione della nuova Eva di Angela Carter (Feltrinelli, 1984), Cronache del dopoguerra di Sheri Tepper (Mondadori, 1995) per citarne solo alcuni. 

Una delle ragioni di questa svolta è il cambiamento in questi ultimi tempi del genere distopico. Esso non è più esclusivamente il mezzo letterario che avverte l’umanità della presenza di elementi contingenti che potrebbero condurre a un futuro terribile. È diventato anche un modo per raccontare un presente diverso, per mostrare un altro punto di vista sulla possibilità di una liberazione individuale e generale, ribaltando ruoli e mettendo in discussione convinzioni.

 

 

Anche le distopie al femminile incanalano rabbia, ansie, malesseri del presente. Spesso intervengono su alcune coordinate dell’attualità che scardinano aspetti di realtà facendo emergere diverse prospettive. Le sfumature sono le più varie. Alcune sono quelle tradizionali del genere, come la rappresentazione di regimi oppressivi (un esempio è la trilogia Hunger Games di Suzanne Collins, Mondadori, 2009-2012), altre, sempre più diffuse, riguardano la parità dei sessi, i ruoli di genere e la maternità/fertilità. 

Un antenato del romanzo di Clerici potrebbe essere il libro di Naomi Alderman Ragazze elettriche (Nottetempo, 2017) per l’“inversione” dei ruoli di genere. L’autrice descrive una situazione in cui le donne hanno sviluppato la facoltà di trasmettere una scossa elettrica che ribalta i rapporti di forza tra i generi e permette loro di risalire alle posizioni di vertice. Lungi dal realizzare una società pacificata però si verificano violenze, sottomissioni, stupri e guerre. Fin qui l’analogia, ma è evidente la differenza che rende il romanzo di Clerici atipico ed eccentrico: l’inversione dei ruoli nelle posizioni di dominio è scritta da un uomo. 

 

Ma altre ancora sono le novità che rendono peculiare lo scritto. 

Quella descritta dall’autore è una tirannia quieta, senza tensione, senza brutalità, espressa nell’ossimoro “dittatura democratica”. Un regno tutto sommato pacifico, vegetariano, composto, monocorde, ma non libero. Il potere viene esercitato non con la violenza, ma più sottilmente con la meritocrazia razionalista calcolata su coefficienti parametrati sui risultati.  

A differenza di altra nutrita produzione, in questo romanzo mancano i protagonisti attivi, gli outsider. Sono assenti i combattenti, i ribelli, gli oppositori, i rivoltosi. Il controllo della specie umana è totale, ma sfuma in rassegnazione se non indifferenza, senza sollecitare condotte reattive. In realtà qualche drappello di sparuti scontenti si era agitato con il nome di ‘ rivolta di Spartaco’, ma con risultati insignificanti.

Ma secondo Clerici il mondo delle donne, la loro dittatura seppur democratica hanno altre spiccate caratteristiche.

 Innanzitutto è un potere vuoto, fragile, una sorta di simulacro. Del resto, come già rilevato, sarà proprio un uomo a sconvolgere il serafico tran tran nel “2084”. Ancora una volta, sembra ammiccare l’autore, le donne sono soccombenti nonostante abbiano raggiunto un formale potere, una loro ‘dittatura’. È un maschio che sconvolge il loro equilibrio, che ancora una volta le sconfigge. La dittatura delle donne è una stagione dell’umanità, sfuggita a un’apocalisse ma con i giorni contati, è un’epoca transitoria. In un mondo dove si parla obbligatoriamente l’Omnilandese e la popolazione è divisa, tutto è uniformato con l’unico scopo di non ripiombare in quell’epoca in cui alcune generazioni stavano per distruggere l’Universo. 

 

Così Evonne chiede alla madre Livia quale sia la necessità di sorbirsi ogni giorno il Telegiornale Parlamentare che riassume i lavori del Parlamento Globale. “Ma perché mai deve essere obbligatorio che l’ascoltiamo? Intanto, anche se non fossimo d’accordo, non saremmo in grado di opporci.” “Ci mancherebbe che fossimo in grado di opporci. Ma l’hai studiato, sul libro di Storia, cos’era accaduto quando, nel Nuovo Medio Evo, com’è giustamente chiamato il Ventesimo Secolo, si era sviluppata la cosiddetta democrazia?” “L’ho letto”. “Preferisco migliorare i baffi del gatto”, chiosa della madre. La raffinatezza letteraria dell’autore trasporta il lettore al mite e scrupoloso impiegato dell’anagrafe Joseph Grand. Questi durante la tragedia collettiva della peste descritta da Camus, impegnava le sue energie nel limare, rileggendola ed emendandola, la frase iniziale del suo romanzo “Una bella mattina del mese di Maggio, una leggiadra amazzone percorreva, in sella a un’elegante giumenta saura, i viali fioriti del Bois de Boulogne”.

 

Il mondo descritto da Clerici si caratterizza ancora per essere privo dello specifico femminile. È bandita l’emotività, l’irrazionalità, è sanzionato ogni cedimento verso l’altro sesso, è abolito il libero arbitrio. Omnilandia è un contenitore di passioni fredde. Spunta il tennis ma è una reliquia del passato, un appunto trovato da Evonne in un vecchio libro della nonna: «Il tennista tedesco Karsten Braasch, numero 203 della classifica maschile, in Australia, ha battuto le sorelle Williams, Serena e Venus, rispettivamente per sei a uno e sei a due”. Varie macchine (tra cui il Cerebrorobot) e uno stuolo di controllori depurano l’esistenza dalle emozioni e le rendono innocue. Tutto è programmato, i corpi sono retaggi del passato, il sesso non è contemplato, superato da relazioni asettiche e disincarnate. Di quel passato in cui ci si innamorava e si soffriva i più giovani non conservano il ricordo, hanno imparato ad archiviarlo come primitivo e selvaggio. È una società felice e perfettamente ordinata in cui ciascuno ha il proprio posto, ogni donna nasce per compiere un determinato lavoro e l’istinto è bandito dalle scelte morali e dalla procreazione. C’è un computer che decide e gli uomini sono schiavi poiché eccessivamente istintivi e inutili se non ai fini della procreazione per la quale vengono selezionati in base alle loro potenzialità. 

 

In questo universo la famiglia dei protagonisti appartiene alla categoria dei fortunati. Livia, dopo apposita selezione, ha potuto accedere ai libri di storia dell’arte tenuti segreti e ricorda i maestri del lontano passato, sopra tutti Artemisia Gentileschi e un tale Leonardo da V. Sembra però che solo nelle donne sia rimasta una reminiscenza del passato, assente invece nei Vires. Anzi “molti sembravano soddisfatti delle ragionevoli condizioni materiali in cui venivano tenuti dalla Casta delle Donne”. 

In definitiva il romanzo disegna un mondo in cui le donne sono salite al potere, ma nella sostanza non si comportano in modo diverso dagli uomini del vecchio mondo. Come nelle Ragazze Elettriche di Alderman la sovversione del ruolo genera sostanzialmente le stesse criticità della società precedente, ad esempio la democrazia apparente e la difficoltà di amarsi liberamente. E questo dimostrerebbe, sembra potersi dedurre, che un genere non è più adatto dell’altro per gestire il potere. Clerici, come Alderman, sembra rinviare alla tesi della “performatività di genere” elaborata dalla Butler (da ultimo, Alleanza dei corpi, Nottetempo, 2017). La formazione del soggetto non è naturale o biologica, ma dipende dalle possibilità di ‘riconoscere’ l’altro. I parametri per identificare un individuo – come sesso e genere – non hanno un significato innato o neutrale perché decisiva è l’interpretazione umana, la ripetizione stilizzata degli atti che ciascuno compie, come i sessi agiscono o sono costretti ad agire nella società. La sostanza, per Clerici, è che non esiste la felicità quando l’ordine, da chiunque gestito, è imposto dall’alto. L’unico futuro possibile risiede non nella lotta, ma nella collaborazione tra donna e uomo. Che cos’è la vita senza le avventure, le letture, l’amore, senza la possibilità di scegliere? 

 

Per fortuna anche gli ingranaggi perfetti contengono una falla e segnalano l’errore. Ed allora il desiderio diventerà il principio sovversivo sul quale si spalancherà la possibilità di una nuova era, quella androgina, quella annunciata dalla realtà fisica della piccola Irma. L’elegante ironia dell’autore, immersa in una solida educazione letteraria e diffusa con leggerezza, su questo versante si esalta. Rinviando al Seraphita di Balzac (Zandonai, 2008 su cui anche Mazzucchelli, L’immaginario androgino, su doppiozero) pone le condizioni affinché Irma intraveda nella sua specificità fisica “un simbolo per il futuro, un società felice priva di umane antitesi”. E questo grazie alla creazione della Macchina Definitiva, un computer in grado di rielaborare la catena molecolare costruendo un genoma con i cromosomi del sesso maschile e femminile. Come andrà a finire? La Super Casta ne sta discutendo, si è creato uno stallo, e in questo modo può proseguire, almeno per il momento, la “secolare tradizione femminile”.

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