Lavoro, le reti “giuste”

21 Giugno 2013

Sul tema dell'accesso al lavoro, questione cruciale in tempi di crisi dell'occupazione, le risorse digitali e in particolare i 'social' rappresentano sempre più un luogo privilegiato di incontro fra domanda e offerta. I motivi e gli aspetti di riflessione su questo tema sono molteplici e ben rappresentano la varietà di dimensioni correlate alla 'transizione al digitale' in corso in numerosi ambiti. La ricerca di lavoro non fa eccezione, e se pensiamo al social recruiting e a tutte quelle pratiche legate al lavoro nella Rete, queste ci dicono chiaramente una cosa: le modalità di ricerca e accesso al lavoro stanno cambiando.

 

L'utilizzo più standardizzato delle risorse digitali in tema di ricerca di lavoro è quello che consiste di fatto in un adattamento delle tradizionali modalità 'offline' all'interno delle piattaforme digitali. Soprattutto tra le fasce d'età che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro, viene 'naturale' guardare alla rete come il luogo privilegiato della ricerca, in sostanziale analogia con il ruolo che fu dei giornali di annunci e delle colonne dedicate al lavoro nei quotidiani per le generazioni pre-digitali. Si pensi ai numerosi siti e motori di ricerca che offrono servizi di job listing e aggregazione di offerte, da quelli generalisti ad altri specifici per settore, dove vengono elencate e promosse le più recenti posizioni aperte. Qui ci si iscrive, si accede a centinaia di annunci, si ricercano le offerte più interessanti e si manda il proprio curriculum, poi si resta in attesa. Si tratta di modalità nuove per una pratica tradizionale, consolidata e ben conosciuta.

 

Questo però rappresenta sempre più un esempio di allocazione improduttiva di risorse. La grande competizione dovuta alla scarsità generale di opportunità lavorative, unita alla facilità e la gratuita di un invio telematico di CV, spesso inducono a sottoporre la propria candidatura a qualunque proposta che si avvicini, anche di pochissimo, a qualcosa di potenziale interesse, indipendentemente dalla reale pertinenza della candidatura stessa. Questo, altrettanto spesso, si traduce per il lavoratore in lunghe e noiose giornate passate al computer alla ricerca di annunci, un vasto numero di CV inviati e un tasso di risposta vicinissimo allo zero, che porta di conseguenza a scoraggiamento e perdita di motivazione.

 

D'altro canto, anche per le aziende questa modalità sta diventando rapidamente inefficiente, visto l'altissimo numero di CV ricevuti, spesso non pertinenti. È per questo che, anche in termini di ricerca di lavoro, sono le reti sociali ad assumere sempre più importanza e centralità. La 'transizione' di cui si faceva menzione consiste proprio in una dinamica che sembra portare in direzione di un sistema di mercato del lavoro che 'istituzionalizzi' le reti sociali e le risorse digitali esistenti.

 

Già ora un crescente numero di posizioni aperte non viene pubblicizzato al grande pubblico, bensì solo attraverso le reti sociali offline e online del pubblico di riferimento. Questo avviene nella forma di un 'passaparola' che attraversa le reti sociali di chi appartiene a un determinato ambito o settore, via email o attraverso i social, senza che la posizione venga promossa attraverso altri canali. Così facendo si riduce sensibilmente il numero di persone che può accedere all'offerta (e conseguentemente il numero delle candidature) grazie al fatto che le reti sociali operano da 'primo filtro', consentendo di entrare in contatto con l'offerta solo a chi è inserito in queste reti di passaggio. Sono le reti sociali in altre parole a divenire un primo gatekeeper rispetto alla accessibilità delle offerte (spesso crescente mano a mano che le offerte sono più retribuite, più prestigiose). Viene qui a ridursi, al tempo stesso, il livello di “rumore” costituito da quelle candidature che sarebbero a priori scartate perché non pertinenti.

 

 

E poi, naturalmente, ci sono i social media. La gestione dei profili social a fini professionali è divenuto un elemento centrale del dibattito in quanto sono proprio questi profili a rappresentare il primo 'contatto' tra il datore di lavoro ed il lavoratore, tra il committente ed il professionista freelance. I freelance in particolare si rapportano ai social media come vere e proprie vetrine. Da un lato utilizzano questi strumenti a fini di self branding, per mettere in mostra il servizio offerto o le proprie competenze; dall'altro, sono consapevoli della dinamica opposta e gestiscono i propri profili digitali in modalità manageriale e professionale, attenti all'integrità della propria reputazione come professionista. Più in generale, i freelance (probabilmente per ragioni connaturate alla condizione di lavoratore autonomo) sembrano avere maggiore consapevolezza dell'importanza delle reti sociali e digitali rispetto a coloro i quali cercano un lavoro dipendente, soprattutto tra i più giovani. Eppure, come mostrava già a suo tempo una ricerca promossa da Adecco e condotta da Ivana Pais dell'Università Cattolica, i profili online sono tra i primi elementi che un selezionatore di risorse umane prende in considerazione valutando una candidatura e rappresentano frequentemente ragione d'esclusione dalle procedure di selezione quando presentino contenuti ritenuti inappropriati o una gestione che non dimostri consapevolezza e attenzione verso il mezzo.

 

L'elemento di novità portato dalla Rete è rappresentato dal fatto che, attraverso i social, le reti sociali sono divenute visibili. Dal momento che le reti sociali rappresentano storicamente un elemento determinante nei mercati del lavoro, è necessario intraprendere un ragionamento su cosa questo comporti e che direzione stia prendendo il cambiamento che vediamo. Ad esempio, nel caso delle offerte di lavoro che transitano 'viralmente' sotto forma di passaparola tra gli utenti, è possibile pensare che questa dinamica configuri una allocazione migliore delle risorse in quanto, giocando sull'omofilia tipica delle reti sociali, le offerte probabilmente arriveranno più rapidamente ai “candidati giusti”. Dall'altra parte, però, non possiamo non vedere come questo meccanismo contraddica la dinamica tradizionalmente 'aperta' e 'democratica' della Rete fino a farla sembrare un insieme di ecosistemi (semi)chiusi, dove le connessioni “giuste” sono una forma di capitale e accedere a certe reti è la chiave per avere opportunità altrimenti precluse.

 

Vi sono ambiti infatti, come quello delle economie creative, dove il meccanismo del networking è consolidato e per certi versi già 'istituzionalizzato', attraverso la consapevolezza generalizzata della sua importanza come strumento privilegiato di accesso all'opportunità lavorativa. L'accesso alle reti sociali “giuste” modellato attraverso i social media, tuttavia, pur offrendo nuove possibilità e interazioni per certi versi impossibili in passato non si sottrae a quelle logiche di accentramento dell'informazione di tipo clientelare, di cui sentiamo parlare spesso rispetto alle reti sociali offline. La retorica, talvolta abusata, della democratizzazione dell'influenza che si sente associare iper-entusiasticamente alla Rete e in particolare ai social media, presenta infatti aspetti controversi e che in alcuni tratti ricordano l'eccessivo ottimismo attorno alla 'classe creativa' di Richard Florida. Ma nessuna dinamica mediata è davvero neutra né paritaria, nemmeno la Rete e nemmeno l'accesso a reti sociali per fini lavorativi: anche da queste dinamiche è lecito aspettarsi che emergano forme di gerarchia e di stratificazione più o meno evidenti. 

 

Vedremo, in ogni caso, se questo schema andrà effettivamente a configurarsi come il modello di riferimento per i 'nuovi' mercati del lavoro, oppure se altri fattori andranno ad incidere su questo processo deviandone il corso. Per ora sta a noi come lavoratori, professionisti o semplicemente utenti, comprendere come la gestione delle nostre reti sociali digitali non differisca da quello che accade fuori dalla Rete, nelle interazioni di tutti i giorni, e anche ad un colloquio di lavoro: diversi territori per una medesima realtà. 
 

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