Finanza

26 Ottobre 2011

15 Ottobre 2011

 

La grande manifestazione romana degli “indignati” è stata turbata da gravi incidenti provocati da gruppi estremisti definiti dai media Black Bloc.

 

 

 

 

Figli bastardi

 

Da Aristotele a Keynes, passando per la scolastica medievale e Marx, la filosofia classica ha diffidato sistematicamente di ciò che costituisce il fondamento di quella che si chiama economia finanziaria. La questione sollevata ricorda da vicino certi accalorati dibattiti contemporanei sulla liceità o meno delle nuove famiglie non naturali. E la filosofia non sposa certo in questo caso tesi progressiste. Tutt’altro. Come ha benissimo ricordato Massimo Amato, nelle sue splendide ricerche sulla storia della moneta e sulla origine del nostro attuale disastro economico, la questione che la filosofia non cessa di porre, ad esempio a proposito del prestito ad interesse, è quella della legittimità del figlio che la moneta, diventando merce scambiabile sul mercato, diviene. Il denaro genera denaro – Marx diceva “autovalorizzazione” pressoché automatica del capitale – ma il figlio così generato è illegittimo. È nothos, bastardo. Non può che essere tale perché la trasformazione della moneta in merce comporta sul piano logico un paradosso intollerabile per il filosofo. Detto tecnicamente ciò che ha luogo qui è uno scambio del trascendentale con l’empirico, una confusione del fondamento con il fondato. In parole più semplici, la moneta istituita come condizione dello scambio e dunque come suo limite, diviene essa stessa oggetto di scambio, una cosa scambiata. Marx, nel Capitale, lo illustra benissimo alludendo ad un osceno “rapporto privato”, onanistico ma orrendamente fecondo, del valore con se stesso. Nummus parit nummus, il denaro genera denaro in un processo inarrestabile e mortifero. Da tale perversione dell’origine, vale a dire di ciò che la moneta propriamente è o dovrebbe essere (misura dello scambio), non possono che generarsi dei figli mostri.

Struttura-sovrastruttura?

 

Jacques Derrida è stato senz’altro il filosofo più influente degli ultimi cinquant’anni. Perfino i filosofi anglosassoni di scuola analitica, così diffidenti, se non addirittura sprezzanti, nei confronti della tradizione metafisica cosiddetta “continentale”, non possono evitare di confrontarsi con lui. Fin dai suoi scritti degli anni ‘60 è la questione dell’ “origine” e del “proprio” a sollecitare quanto lui stesso ha battezzato “decostruzione”. Il suo sguardo sul mondo era quello lucido e critico dell’ebreo errante che diffida della purezza dei concetti perché ne sospetta la violenza implicita. La sua tesi, incessantemente ribadita, è che l’origine, in nome della quale da sempre in Occidente si stabiliscono gerarchie di valore (l’origine è il criterio della valutazione: chi se ne discosta è, in gradi diversi, un degenerato), è in realtà una illusione ottica: non c’è origine, non c’è proprio, non c’è filiazione legittima, ci sono solo figli bastardi. Quello che sembra venire dopo e corrompere la natura della cosa è paradossalmente il solo originario, l’arché (il principio) inseguita dai filosofi fin dai primi tempi della filosofia. Difficile resistere alla tentazione di leggere questo pensiero così arduo e così seducente come un pensiero a misura del mondo materiale nel quale è effettivamente fiorito, un mondo nel quale perfino il fondamento del valore si stava volatilizzando nella disseminazione illimitata di segni che si scambiano alla velocità della luce nel mercato telematico.

 

Black Bloc

 

Louise Michel, nell’omonimo film del 2008 di Benoit Delépine e Gustave de Kervern, è una Black Bloc transgender che in combutta con uno spassosissimo killer anche lui transgender decide di ammazzare il padrone che ha chiuso la fabbrica lasciando sul lastrico i suoi operai. Iniziativa moralmente discutibile ma che si giustifica alla luce della violenza indiscutibile di cui il proletariato è storicamente vittima (Louise Michel è in realtà il nome della leggendaria eroina della Comune di Parigi sopravvissuta allo sterminio nazista posto in opera dall’esercito versagliese e presto cancellato dai libri di storia). Tuttavia Louise Michel deve scontare la nuova realtà economica mondiale: l’origine non c’è letteralmente più, i responsabili sono evaporati come il padre di cui discettano gli psicanalisti e quello che resta, quando ormai Louise si crede vicino al compimento della vendetta, sono indirizzi di società fantasma in paradisi fiscali. Non resta che la strada surrealista dello sparare a caso, colpendo (fuori campo) perfino un bambino capitato per sbaglio sulla scena. Lo spettatore, al termine del film (che continua dopo i titoli di testa con l’assunzione da parte degli operai di un nuovo killer, questa volta serbo), si alza dalla sedia divertito e persuaso. Per qualche tempo non si porrà la domanda che inquieta invece opinionisti televisivi e sociologi: perché questa violenza insensata?

 

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