Il femminismo di Carla Accardi

3 Marzo 2014

Carla Accardi, recentemente scomparsa, non ha bisogno di presentazioni, essendo già dalla fine degli anni ’40 una delle artiste più conosciute del panorama italiano. Ciò che invece molti ignorano è la sua appartenenza alla stagione femminista che nel 1970 culminò nella fondazione di “Rivolta Femminile”, con  Carla Lonzi.

 

Nonostante il suo pieno coinvolgimento con il femminismo, manca una lettura critica che riconosca nelle sue opere gli aspetti più profondi e sottili. L’unica che la riconobbe in tal senso fu Anne Marie Sauzeau, che costruì un discorso critico considerando il concetto di eterotopia e alterità. Per Sauzeau,  l’alterità di Accardi, evidenziata da Michel Tapié che la inserisce nel discorso dell’art autre, “sbocca su un’alterità non contemplata dal suo ideologo”, ossia gli sfugge l’altro in termini di metà del genere umano. Germano Celant invece, soltanto anni dopo dichiarerà che nella separazione del segno bianco dal fondo nero, si può leggere l’affermazione del distaccamento da un contrario, dall’opposto “una presenza che tende a staccarsi e dichiarare la sua individualità”, sostenendo che fino al 1957 la pittura di Accardi è veicolo di “identità e differenza”. I termini identità e differenza sono molto cari al discorso femminista ma sono utilizzati dal critico solo a distanza di molti anni, riconoscendo quindi a posteriori l’importanza dell’atteggiamento interiore di Accardi volto all’autoaffermazione di sé e della sua differenza in quanto donna.

 

 

La rimozione del suo legame con il femminismo risulta ancora più sorprendente  se pensiamo al forte legame che c’era tra lei e Carla Lonzi, dapprima storica dell’arte e in un secondo momento teorica e militante del femminismo italiano. Dagli anni sessanta le due coltivano una profonda amicizia e sollevano una serie di questioni sulla relazione tra arte e femminismo, sul ruolo del critico e sull’utilità stessa dell’arte. Accardi credeva si fosse arrivati a un esaurimento della cultura occidentale, nella consapevolezza di quanto fossero importanti le influenze e le dinamiche sociali nella creazione delle disuguaglianze tra uomo e donna. L’artista già dalla metà degli anni sessanta, ancora prima di passare alla militanza, percepisce un disagio, come molte altre donne, una consapevolezza legata alla sua condizione femminile, come afferma in Autoritratto Carla Lonzi, opera-testamento complessa e ancora attualissima. Qui emerge una chiara coscienza del suo essere non solo artista ma donna artista. Questo per lei significa collocarsi all’interno di una cultura creata e cresciuta nei millenni soprattutto per mano dell’uomo. Questa consapevolezza le fornisce la possibilità di distaccarsi da tutto quanto l’esistente, condividendo uno dei maggiori problemi che le donne, artiste, scrittrici, provano riguardo al linguaggio: esprimersi nella lingua che è stata creata dall’uomo risulta limitativo e costrittivo (anche Carla Lonzi effettua la sua tabula rasa, ma nel modo di fare critica). Accardi attraverso la creazione di un nuovo segno inventa una scrittura, un linguaggio che risulta indecifrabile ma che al tempo stesso è testimonianza della sua situazione di alterità. L’artista vuole compiere una “tabula rasa” dei significanti, la  tradizione di cultura e saggezza occidentale non serve a nulla:

“la sazietà dell’uomo saggio non è la mia, la vedo bene ma se la sento mi snaturo, mi distruggo, mi ..sì mi uccido”. (Carla Lonzi, Autoritratto, De Donato, Bari, 1969, p.157)

Tapié aveva parlato di Art Autre per Accardi, come per altri artisti, nel rivolgersi ad un’altra realtà da quella esistente, recidendo i legami con il passato, ma in Accardi le motivazioni che portano ad una ricerca segnica, astratta, lontana da un corrispondenza dal reale, valgono in senso doppio. Il segno si svincola dei rimandi semantici che lo contraddistinguono nel suo essere portatore di un significato all’interno di una cultura ben codificata e si mette in relazione con  l’appartenenza al genere femminile la cui tradizione è stata soffocata. Il linguaggio e la saggezza che vuole creare derivano dal suo interno, l’artista fa risalire un rumore colorato ma sordo che è stato soffocato. È lo stesso procedimento dell’autocoscienza, dove si elabora il proprio vissuto alla luce di una consapevolezza nuova dell’esistenza femminile, della condivisione, della messa in comune, dell’esperienza che tenga conto delle dinamiche patriarcali che hanno influenzato comportamenti, pensieri e modalità creative. La coscienza raggiunta deve indurre a partire da sé, dalla propria individualità, dalle sensazioni soggettive, intime,  non in maniera astratta e solipsistica ma sentendosi all’interno di una “forza antica di millenni”, quella forza che ha portato Accardi ad affermarsi, spinta anche da un vero e proprio desiderio di riscatto.

 

Dopo pochi anni dall’uscita del primo manifesto di “Rivolta Femminile” (che nel frattempo pubblicò importanti testi di femminismo), iniziò anche l’allontanamento tra Carla Accardi e Carla Lonzi. Sebbene entrambe condividevano l’idea comune di vivere in una società che per millenni si era strutturata attraverso la denigrazione della donna, si discostarono successivamente soprattutto sul modo di concepire l’arte. Per Lonzi la critica al sistema patriarcale era una strada di non ritorno e la critica d’arte, così come la figura dell’artista, non potevano salvarsi, non esistevano vie d’uscite blande, la scelta da compiere per essere davvero coerenti doveva essere radicale e così come la critica d’arte, si metteva in discussione l’arte stessa e il suo sistema di fruizione.

 

L’utopia di Lonzi era l’abbattimento totale della distinzione tra curatore, artista e fruitore, passando a una creatività diffusa ed espansa al di fuori della mercificazione feticista del sistema artistico contemporaneo. La posizione di rifiuto del sistema dell’arte, un sistema corrotto, patriarcale, in balìa di logiche capitaliste, la portò quindi a non riconoscere neanche il lavoro delle artiste e meno ancora di considerare l’esistenza di un’arte femminista. Paradossalmente questo provocò una mancanza di appoggio alle artiste che cercavano di farsi strada e rendersi visibili in un sistema dell’arte discriminatorio. Accardi non condivide questo atteggiamento radicale, non vuole rinunciare all’arte e non condanna la produzione artistica contemporanea.

 

 

Nel 1973 l’allontanamento tra Accardi e Lonzi è effettivo. Nello stesso momento la rottura si verifica anche tra Lonzi e le altre artiste più giovani che partecipano a “Rivolta Femminile”, Anna Maria Colucci e Suzanne Santoro. La volontà di continuare a percorre le proprie strade artistiche, così come il cercare di uscire dalla continua riflessione dell’autocoscienza, porta Accardi, Santoro e Colucci a fondare, insieme ad altre otto donne (per lo più artiste), nel 1976, la Cooperativa Beato Angelico. La Cooperativa, spazio d’arte romano al femminile, servì allora ad Accardi per poter liberare quegli aspetti più intimi, emozionali ed esplicitamente femministi che non avrebbe liberato nei contesti ufficiali, sottraendosi al giudizio di parte della critica che già si occupava di lei. Insomma non è un caso che l’opera dai contenuti più biografici e intimi, generalmente sconosciuta, l’installazione omaggio alla propria matrilinearità, Origine, sia stata concepita per la Cooperativa Beato Angelico.

 

 

La sua totale autonomia nel modo in cui visse il femminismo in rapporto all’arte,  è stato uno dei motivi di allontanamento anche dalla Cooperativa, che nel 1978 si sciolse. Molti anni dopo Accardi affermò che l’insistere sulla differenza portava i gruppi femminili a concentrarsi sull’artigianato in cui l’esperienza della donna era maggiore, deludendola. Una delusione che è stata alla base anche dello scioglimento della Cooperativa.

 “Allora io restavo delusissima. Tant’è vero che poi sono uscita da un gruppo una prima volta e poi da un altro che aveva aperto una galleria. Sono uscita perché mi deludevano, perché il lavoro creativo è fatto di velocità. Io oggi faccio un quadro e il giorno dopo un altro o un libro o qualsiasi altra cosa. La dinamica è molto veloce, invece in quello che ha espresso tradizionalmente la donna, la pratica è lentissima, passa attraverso generazioni” (Ivana Mulatero,  Lisa Parola, Rrragazze, Franco Masoero Edizioni D’Arte, Torino, 1996, p.74).


L’azione collettiva è stata indispensabile in un determinato momento ma per Accardi non poteva  configurarsi come pratica a lungo termine, per l’artista occorreva solitudine per creare.
Benché con gli anni si allontanò dal femminismo, è bene ricordare che è stata una protagonista del movimento femminista italiano ed ebbe un ruolo fondamentale per aver aperto una serie di questioni, ancora attuali, sulla relazione tra arte, creatività femminile, femminismo e differenza.

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