Il tempo breve
Nell’affacciarsi e nel dileguarsi delle ere, l’avvento del tempo agrario e dei suoi riti probabilmente hanno portato anche ad un diverso modo di pensare il presente.
Vivere della terra e dei suoi frutti ha significato infatti progettare il lavoro: inevitabilmente pensare, programmare, immaginare il domani.
Immaginare il domani…ma non è forse anche da questo che nasce l’idea di ogni dieta?
La dieta è un’immagine di noi oltre la realtà della fame e di ogni sazietà, è un’immagine di noi oltre il presente.
In ogni dieta si cela l’idea del tempo e questo - temuto e venerato - fa capolino nelle ricorrenze che segnano il corso dell’anno, nei simboli di cui ci nutriamo: invisibile, il tempo è dentro ogni virtù e ogni veleno.
Infuso di caffè
(Il tempo breve)
Caffè macinato finemente
Acqua
(zucchero)
Procurarsi un’infusione della polvere di caffè in acqua bollente utilizzando la tecnica preferita tra quelle disponibili e conosciute: espresso, caffettiera moka, alla napoletana, alla turca, all’americana…
In tazza, aggiungere alla soluzione ottenuta zucchero a piacere o bere l’infuso amaro.
(Addolcito o meno, il piacere della bevanda non può dirsi completo sino al comparire dei primi effetti, oltre ogni sensazione organolettica immediatamente percepita).
Per chi ne è sensibile, la caffeina dispiega i suoi effetti nell’organismo già in pochi minuti.
Così come ancora un breve lasso di tempo è necessario per avvertire gli effetti di molti veleni e poco in più per sostanze nutritive come i grassi o gli zuccheri. Molto tempo per altre come le vitamine, non a caso sconosciute, anche solo come sospetto, fino ai primi decenni del Novecento.
Dunque pochi secondi, o poche ore, ma sempre uno stretto intervallo temporale per riconoscere un’azione degli alimenti: sensoriale, nutritiva, farmacologica… sempre e comunque un frammento di tempo per trasformare l'esperienza del cibo in qualcosa che “deve” diventare memoria, trasformarsi in conoscenza.
Ed è stato quel “frammento di tempo” ad essere la vera misura della saggezza e dell’ignoranza, l’unico modo attraverso cui, lungamente, ci siamo nutriti e avvelenati con le piante, avvicinato il cibo, fatto l’amore con la natura.
Dietro ogni tentativo, piacere o veleno che fosse, c’era la possibilità – l’unica che potevamo dire certa – di prevedere su di noi gli effetti del mondo – solo quello più vicino – di quello che introducevamo nel nostro corpo e che all’interno di uno spazio di tempo prevedibile, comunque breve, ci avrebbe cambiato. Ci avrebbe mutato in qualche cosa, nel profondo e nell’invisibilità delle nostre fibre; prima di ogni idea di cellula, qualche “frammento” di natura era – solo nello spazio di pochi minuti, di un’ora, un giorno – una misura del tempo e di quello che chiamavamo vero.
“Ho provato l’uggia di certe giornate autunnali, grigie, piovose, meste, quando tutti i fantasmi del passato vengono a tessere intorno una danza macabra e la fantasia spossata cade in preda alle malinconiche allucinazioni; le ho provate e ho provato a prendere una tazza di caffè, della netterea bevanda, e l’ho benedetta” (P. Mentegazza, Neera, Dizionario d'igiene per le famiglie, Firenze 1906).