In difesa di Erri De Luca

11 Ottobre 2013

“Per mare non ci sono taverne” è un detto napoletano che lo scrittore Erri De Luca ama ripetere e che è un po’ il riassunto della sua filosofia della vita. De Luca si sente di dover star sempre là dove il mare è in tempesta e così ha dichiarato, di recente, in più occasioni, di appoggiare l’opposizione di molti abitanti della Val di Susa nei confronti del progetto della linea ferroviaria di Alta Velocità, in quanto opera inutile, costosa e, soprattutto, dannosa. Si è audefinito “sabotatore” dei cantieri e ha affermato: “Essere incriminati di resistenza è una medaglia al valor civile, tutti dobbiamo esser incriminati di resistenza… Ogni volta che c’è un nuovo arresto, si allarga l’albo dei resistenti. Si entra a far parte di una comunità che dimostra di non lasciar passare l’insulto, l’infamia, l’oppressione, la violenza”.

 

In risposta alle dichiarazioni di Erri De Luca le autorità hanno tirato fuori la sconcertante accusa di “apologia di reato”, mentre alcuni commentatori si sono lanciati in una campagna contro il “cattivo maestro”.

 

Si può, ovviamente, essere o non essere d’accordo con le idee di De Luca, ma si rimane colpiti dalla inusitata ostilità manifestata nei suoi confronti da giornali e autorità. Ostilità talmente esagerata da far sospettare che De Luca abbia sollevato una questione importante.

 

Nello stesso giorno, domenica 6 ottobre, il “Corriere della Sera” e il supplemento domenicale de “Il Sole24Ore” (per il quale anch’io, di tanto in tanto, scrivo) lo hanno attaccato duramente, con un’ironia sprezzante e un astio abbastanza incomprensibili. In particolare, Aldo Grasso gli dà del terrorista, spiegandosi le sue dichiatrazioni, e persino tutti i libri che ha scritto, con “la tracotanza e un bisogno di espiazione” per i delitti che avrebbe commesso in gioventù.

 

L’attacco a Erri De Luca mostra come gli interessi in campo a proposito della TAV siano tali da non poter tollerare opposizioni e che si è disposti a criminalizzare chiunque pensi e dica qualcosa contro. Ogni manifestazione di protesta viene vista come un atto ostile e pericoloso, addirittura “contro gli interessi dello Stato” (Alfano).

 

Questi atteggiamenti, da parte delle autorità e di molti esponenti della stampa, ci riportano sì indietro di parecchi anni, quando il disagio e la protesta giovanile vennero osteggiati in tutti i modi (legali e illegali) fino a provocare una radicalizzazione dello scontro sociale che offrì alle frange più violente, e stupide, la possibilità di far proseliti. Se si chiamano coloro che manifestano contro la TAV dei “terroristi”, se non si fa nessuno sforzo per comprendere le ragione della forte opposizione di molti valsusini verso quell’opera, vissuta come uno sfregio al loro territorio, si finirà davvero col consegnare molti di loro, soprattutto i più giovani, tra le braccia di quelli (ancora, per fortuna, assai pochi) che cercano lo scontro ad ogni costo.

 

Emerge così con chiarezza tutta l’ incapacità di evolversi di uno stato, come quello Italiano, regredito culturalmente prima ancora che economicamente. C’è da sperare, e da far di tutto (ciascuno secondo le proprie possibilità) affinché gli abitanti della Val di Susa non vengano, né si sentano, isolati; che la tentazione di ricorrere allo scontro diretto non prenda campo nemmeno difronte a uno sproporzionato uso della violenza da parte delle forze dell’ordine (o addirittura dell’esercito). In quella bella valle occorre che prevalgano l’ostinata ricerca del dialogo, la dissuasione non violenta, la conquista di un sempre maggior numero di persone alla causa contro la TAV, facendo prevalere le buone ragioni.

 

Erri De Luca, con le sue parole schiette, è diventato il capro espiatorio per distrarre lo sguardo da una politica che ha perso la capacità di dialogo con la gente e di giornali che tendono ad accordarsi acriticamente alle decisioni degli interessi economici e politici che nella TAV vedono, non l’ “interesse strategico del Paese”, ma i propri affari. Si preferisce ricorrere all’insulto e alla denuncia penale, invece di ascoltare le voci di dissenso e prendere atto dei propri fallimenti.

 

La TAV è un’opera inutile, dannosa e costosa come sarebbe stata la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina. Queste sono “iniziative infrastrutturali” che si giustificano soltanto (ma si avesse il coraggio di dirlo chiaramente!) col fatto di dare lavoro a chi non lo ha, e, soprattuto, parecchi soldi a coloro che lo appaltano.

 

 

C’è un bel libro che si intitola Binario morto. Alla scoperta del corridoio 5 e dell’alta velocità che non c'è, scritto da Luca Rastello e Andrea De Benedetti (Chiarelettere, 2013), che mostra quanto quella linea ferroviaria che doveva collegare Lisbona con Kiev, passando per Torino, Milano e Trieste, sia già stata ridimensionata dall’abbandono del Portogallo, lo scarso entusiasmo di Spagna e Slovenia. L’unica frequente giustificazione a quest’opera (la velocità nel trasporto delle merci) è smentita dal fatto che i vagoni con container non possono viaggiare a più di 70 km all’ora, per non usurare irrimediabilmente le rotaie.

 

Confesso che ho iniziato a leggere questo libro con parecchi pregiudizi negativi. Percorro infatti di frequente il tratto ferroviario Milano-Firenze e ricordo bene le proteste degli ambientalisti contro quella linea. Tuttavia oggi ne godo dei vantaggi in termini di tempo. Non sono quindi apriosticamente contrario all’alta velocità. Ma le argomentazioni che portano Rastello e De Benedetti (e la lettura dei vari documenti ufficiali ai quali fanno riferimento) lasciano poco spazio ai dubbi sull’utilità di un’opera che può esser considerata illusoria e costosa (sotto tutti gli aspetti) alta velocità: “L’alta velocità interessa a pochi e a quei pochi interessa non per la sua portata globale, ma per le ricadute a brevissimo termine sull’economia locale”.

 

Siccome, col passare del tempo,  un numero sempre maggiore di persone si sta convincendo di questi argomenti, c’è da aspettarsi che, coloro che sono interessati alla realizzazione di quest’opera, usino tutti i mezzi perché non venga fermata. Per questo occorre, con intelligenza e sangue fredddo, resistere, lottando con tutti i mezzi che la fantasia della gente può mettere in campo, senza farsi attirare nella trappola autolesionista  dello scontro violento.

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