In treno

10 Aprile 2013

In treno ho sempre viaggiato in prima classe, anche nelle brevi percorrenze. Non per snobismo e neppure perché sia ricca. Semplicemente perché sono “Figlia di Ferroviere”, come recitava la dicitura scritta in grassetto sulla mia tessera. E quando inizi da piccola l’imprinting poi ti impedisce di viaggiare scomoda. In tutti quei viaggi sono sempre stata avvolta da una bolla di torpore.

Mai una discussione. Le conversazioni, se c’erano, si svolgevano pacate e noiose quando riguardavano persone, prevedibili e noiose se i soggetti erano cose. L’unico vantaggio restava la possibilità di leggere, sparita con l’avvento dei cellulari e la scomodità dei nuovi sedili.

A un certo punto facevo molta fatica a distinguere la prima dalla seconda classe. La cosa succedeva anche a parecchi controllori che, con aria stressata, passavano gran parte del loro tempo a intimare “Deve spostarsi nell’altra carrozza!”. I viaggiatori, sinceramente mortificati, si guardavano intorno. Era impossibile notare la differenza. Eppure quei signori in divisa si ostinavano a rimproverare una comprensibile distrazione.

Non ricordo quando ho deciso che era idiota spendere il doppio per viaggiare ugualmente male.

Così ho iniziato a leggere meno, sicuramente ad ascoltare di più, e gli occhi li ho usati anche per osservare la gente, oltre al paesaggio.

 

 

Tratta Udine -Venezia, ore 9.30 (andata)

Identiche

 

Il treno è mediamente affollato. Cerco di leggere. Mi distraggo continuamente. Osservo una ragazza che siede nel sedile opposto al mio. Fronte alta, naso leggermente grosso ma dritto, labbra sottili, occhi azzurri e taglienti. Lei non legge. Non fa nulla. Guarda solo fuori dal finestrino, con le mascelle serrate, senza vedere. Dietro di me un uomo rumoroso e arrogante chiede a una donna vicina di avere il giornale promozionale che sta accanto al suo sedile. Lei risponde: “Prima lo leggo io, poi lo passerò a Lei”. La ragazza dallo sguardo duro, senza dire una parola, prende lo stesso giornale appoggiato sul suo bracciolo e lo passa all’uomo arrogante. Silenzio. Tutto torna come prima. Lei guarda di nuovo il finestrino, con la stessa espressione. Riprendo a leggere. Alzo lo sguardo al suono forte di un cellulare. Osservo la proprietaria che risponde parlando dolcemente sottovoce.

Siede esattamente dietro alla ragazza con lo sguardo duro. Sento un brivido. Sono confusa, sono identiche. Stessa fronte, stesso naso, bocca uguale, identico taglio di occhi. Cerco di calmarmi. Ipotizzo spiegazioni logiche. Penso siano due gemelle che hanno litigato e si sono sedute lontane.

Osservo con attenzione la ragazza al telefono e noto che addirittura la sfumatura del biondo dei capelli è la stessa. Anche il taglio delle sopracciglia è uguale. Solo la pettinatura cambia di poco, ma la natura del capello è identica. Osservo quella in primo piano e noto che non c’è nessuna variazione nell’espressione, segno che non sta ascoltando la telefonata.

Non riesco più a leggere. Passo lo sguardo da una all’altra cercando di non farmi notare.

Alla stazione di Venezia la ragazza del cellulare si alza per prima. Vedo che ha una borsa dell’Università ed è alta. Preferisce non fare la coda e si dirige verso il retro della carrozza. La ragazza dallo sguardo duro scavalca le mie gambe per uscire nella direzione opposta. È di poco più bassa, forse straniera. Vorrei fermarla e dirle che c’è uno specchio alle sue spalle e che la rarissima occasione di vedere il suo sosia le sta sfuggendo. Invece resto bloccata. Era destino che non si incontrassero.

 

 

Tratta Venezia - Udine, ore 19.15 (ritorno)

A proposito dell’uomo arrogante che voleva il giornale

 

Solo al rientro realizzo cosa hanno registrato distrattamente le mie orecchie mentre gran parte dei miei sensi erano rapiti dalle due Identiche.

L’uomo arrogante che voleva il giornale, letto l’articolo che gli interessa, tenta un paio di telefonate seccandosi inutilmente con la segreteria. Poi arriva una chiamata. La suoneria è prevedibilmente alta e fastidiosa quanto il soggetto. Risponde con entusiasmo esagerato, dicendo che ha una bellissima notizia. “Oggi è stata varata una legge n°... che permette a tutti quelli che hanno condanne inferiori a un anno di stare agli arresti domiciliari.” “Hai capito allora?” aggiunge. “Non andrai in galera! Puoi stare da me, sì ti dico! Prendi il domicilio a casa mia e vedrai. Nooo! È meglio che dai Vincin... (non ricordo il cognome)”.

Io immagino dall’altra parte un ragazzo fragile, che ha fatto qualche furtarello. Un fratello più piccolo forse, un parente. L’uomo continua. “Dai! Lo sai perché lo faccio... non immagini? È divertente avere una delinquente in casa! Poi... anche se non vuoi... almeno avrò la casa pulita. Puoi immaginare quanto mi costa, non solo in soldi, è un impegno! Figurati che devo anche garantire...! Certo che ti voglio bene… altrimenti perché mi prenderei una rogna cosi?”.

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