Speciale

Saul Steinberg e la maschera come autoritratto

11 Settembre 2024

“Questa è la maschera che mi protegge dagli altri, infatti con questa maschera io potrei parlare nella maniera più libera e divento in un modo completamente diverso, proviamo a ritornare indietro e ripetiamo tutto da capo con la maschera. Vuole scommettere che dirò il contrario di quello che ho detto?”, dichiara Saul Steinberg alla fine dell’intervista fatta a New York da Sergio Zavoli (1967) e nell’ultimo fotogramma indossa appunto una sua maschera. 

Circa dieci anni prima, la fotografa austriaca Inge Morath, conosciuta anche per i suoi ritratti a noti artisti, andò a trovare Steinberg per fotografarlo e lui l’accolse indossando una maschera di cartone. Inge e Saul probabilmente si piacquero perché condividevano la visione sociale anticonformista e divertente delle loro rispettive arti. Nacque così una collaborazione che durò anni e produsse scatti eccezionali; ritratti singoli, gruppi di famiglia, per la maggior parte ambientati negli interni delle case newyorkesi e tutti con un denominatore comune: i soggetti indossavano maschere realizzate da Saul Steinberg e, a parte in rari casi, l’autore non era presente a questi shooting fotografici; infatti aveva dichiarato di fornire le maschere a Inge perché trovasse i soggetti giusti “con i vestiti giusti” e che il lavoro creativo fotografico venisse completamente realizzato da lei. 

Steinberg venne ritratto anche da Irving Penn con una voluminosa maschera che lo nasconde quasi completamente lasciando in vista solo il naso, il titolo dello scatto è Nose Mask (1966). Si può ipotizzare che chi, per formazione o ambiti culturali lontani dal graphic design, non conosca i disegni di Saul Steinberg, sia comunque entrato in contatto con l’autore attraverso queste famose immagini. 

Il tema della maschera è stato teorizzato da Steinberg tanto quanto messo in opera, realizzato e documentato, la sua forza innovativa è sostenuta dall’ironia. L’ironia pare sia una predisposizione, ma l’autoironia è certamente un talento raro di cui il nostro autore ne abbondava. Un esempio è una delle maschere minimali realizzata su di sé, quella del naso, una maschera che non maschera, anzi mette in risalto ciò che lui definiva, sempre nell’intervista di Zavoli, “la parte del nostro corpo più primitiva, la più originale e privata; gli occhi e la bocca sono già, come dire, elementi politici della faccia, mentre il naso è rimasto un po’ l’antenato della faccia, è la parte meno evoluta.” Questa piccola maschera è una calamita che costringe l’osservatore a concentrarsi sul naso mentre chi la indossa può osservare quasi indisturbatamente. 

Sempre ideata da lui un’altra maschera è realizzata con un sacchetto di cartone, protegge ma non inganna, perché è un autoritratto che nasconde le espressioni e di conseguenza le emozioni. Le maschere che realizzò per le foto di Inge Morath sono fatte sempre con i sacchetti, più o meno grandi, illustrate e spettacolari, noi possiamo solo immaginare il volto reale di chi le indossa, l’abito è comunque un indizio e fa credere che, se non la fisionomia precisa, il carattere di quel volto appartenga a quel corpo. Sono maschere della società, la messa in scena divertente grafica e fotografica delle teorie che il sociologo Erving Goffman sosteneva negli anni Cinquanta, in pratica la traduzione visiva del libro The Presentation of Self in Everyday Life (1959). 

Mi chiedo se Steinberg, come succede ora a noi, desiderasse vedere il volto di chi le indossava, probabilmente no, non era necessario perché in quelle rappresentazioni il volto vero, quello reale, è la maschera stessa. Possiamo immaginare invece il divertimento che procurava a sé stesso e agli amici, quando le maschere venivano indossate dagli stessi negli incontri nella sua casa-studio o nelle feste.

Sono molti gli illustratori e autori contemporanei che dichiarano apertamente il debito di riconoscenza che hanno nei confronti di Saul Steinberg, fra i più conosciuti sono: Jean Julien, Il giovane Yann Kebbi, che come il primo è francese di nascita e internazionale per committenza. L’eclettico Christoph Niemann che è tedesco, trapiantato negli Stati Uniti e rientrato dopo qualche anno a Berlino, anche lui collaboratore del “The New Yorker”, la stessa testata che rese famoso Steinberg. E poi c’è anche il nostro illustratore-grafico, Guido Scarabottolo, che da lui ha ereditato il dono della sintesi.

Altrettanti sono invece gli educatori, animatori e insegnanti che ignorano di avere un debito nei confronti di questo grande autore, forse perché sono passati molti anni e le sue invenzioni sono così attuali che sembrano frutto della pedagogia contemporanea. 

Il festival Scarabocchi di Novara è arrivato alla sesta edizione, l'influenza di Steinberg si è sempre aggirata nei laboratori, più o meno apertamente dichiarata ma comunque presente per le passioni e la formazione di chi li gestisce. Il tema di quest’anno è il volto, la faccia e, di conseguenza, il ritratto scarabocchiato, sarà inevitabile pensare a lui.

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Qui il programma dell'edizione 2024, dal 15 al 17 settembre a Novara.

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