Assordante silenzio / Trieste Airport

16 Marzo 2019

Udine – Trieste ore 8,08

 

Questo regionale non l’avevo mai preso prima d’ora e sono sorpresa dalla somiglianza che le carrozze hanno con quelle dei treni frontalieri del Ticino. Pulite, luminose con ampi spazi per le biciclette e rastrelliere per le valige, del resto noto che quasi tutti i passeggeri sono in possesso di bagaglio. Una signora con un forte accento ispanico, accompagnato da un sorriso, mi parcheggia un passeggino a fianco prima di sparire dietro la grande porta automatica della toilette; il cucciolo, che non mi degna di uno sguardo, è catturato dal tablet come io lo sono dal suo ditino che con una velocità impressionante sta “dipingendo” una Pepa Pink di verde, il programma che usa non si discosta di molto da quello professionale che uso anche io; non faccio in tempo a vedere l’opera terminata che la madre esce dal bagno e se lo porta via. La ragazza di fronte a me non ha smesso di parlare da che è salita sul treno, mi guardo attorno e tutto il resto del vagone è muto, con la testa china sul proprio computer, tablet o telefono.

 

Non ci fosse questa qui ci sarebbe ciò che qualcuno ama definire un “assordante silenzio”. Ha le cuffiette e forse neppure si accorge che il suo tono di voce è troppo forte, forse sono l’unica che la può richiamare perché tutti quelli che ho a portata di vista hanno le cuffiette, ma non mi va di fare la bacchettona, piuttosto mi sposterei altrove, la pigrizia però me lo impedisce e conto sulla frase preregistrata che prima o poi verrà trasmessa: …si prega i signori passeggeri di abbassare la suoneria dei cellulari e il tono della voce… Non realizzo che, avendo le cuffiette, la diretta interessata probabilmente non la sentirà. 

 

Il libro che sto leggendo, o che cerco di leggere, non mi cattura a sufficienza e di conseguenza decido di dedicarmi all’ascolto delle vacuità della tipa qui di fronte:

– Ti rendi conto? Questa sera siamo a cena insieme, domani alla stessa ora di adesso facciamo colazione insieme… che bello! Ti rendi conto? Alle cinque saremo al caffè “…”, hai prenotato? Ah, bene! Hai preso i biglietti? Bene! Ti rendi conto che domani sera saremo al ristorante “…”? Hai prenotato vero? Che bello! – Tiene il telefono come se fosse una fetta biscottata da addentare da un momento all’altro (ho notato che molti usano questo vezzo mentre camminano per strada; credo che serva per tenere il più vicino possibile il microfono alla bocca ma, così fosse, non servirebbe urlare tanto). D’improvviso cambia copione e dice – Amore, amore, scusa ma ho Pat che mi sta cercando, ti richiamo dopo baci, baci… Ehi, Pat! Siiiiiii, in partenza, ti rendi conto? Questa sera sarò con Michael a cena, è fantastico! Ti rendi conto? Domani mattina a questa stessa ora faremo colazione insieme, siiiii, nel pomeriggio adiamo al bar di Peter e la sera…–

 

Sto prendendo in seria considerazione l’idea di cambiare posto, penso proprio che sia uno sforzo ben speso ma, per non dare nell’occhio o per chissà quale forma di cortesia nei confronti della ragazza, attendo che venga annunciata la prossima fermata e intanto lei prosegue – Scusa, scusa, scusa, ciao, ciao, ciao, c’è Ale che mi cerca, ti chiamo dopo…Aleeeee! Ciaooooooo, siiiiiii ero con Pat prima, siiii pensa, questa sera sarò a cena con Michael e pensa che domani a questa stessa ora faremo colazione insieme, ti rendi conto? Alle cinque saremo al bar e la sera a cena nel ristorante “…” Oh…scusa, scusa, scusa, ti richiamo più tardi, mi stanno cercando… – 

Altre conversazioni, sempre identiche, si succedono finché vengo finalmente salvata dall’annuncio della prossima stazione. Raccolgo le mie cose, faccio un cenno di saluto che viene bellamente ignorato e mentre mi allontano sento ripetere tutto ciò che ho già sentito più volte come fosse un copione studiato a memoria. 

 

Nel vagone successivo vengo accolta dalla pace che cercavo, il treno dopo la breve fermata riprende dolcemente la sua corsa e io riapro il libro che, per l’attesa e il confronto con ciò che ho sentito fino ad ora, si è trasformato diventando quasi avvincente. Poco dopo il silenzio viene rotto dalla voce irriconoscibile della ragazza che entra nel vagone trafelata trascinando il suo pesante trolley – Che stazione era questa? Che stazione era? – si rivolge a me con l’espressione sconvolta, io con onestà le rispondo che non ne ho idea e sembra quasi che mi voglia aggredire. Vengo soccorsa da una voce alle mie spalle che dice –Trieste Airport! –. 

 

Quaranta minuti più tardi mentre scendo alla stazione di Trieste Centrale, la vedo. È seduta nello spazio delle biciclette, piange.

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