Speciale
Guido Scarabottolo | l’errore – o l’accettazione del
Nel 2022 uscì per Marsilio Arte il libro ALBERI! 30 frammenti di storia d’Italia di Annalisa Metta, Daniele Zovi, Giovanni Morelli e, ovviamente, Guido Scarabottolo.
Seguirono due mostre, la prima nel Museo del ‘900 di Mestre (a marzo dello stesso anno) e la seconda tuttora in corso, all’Orto botanico dell’Università di Padova.
Il libro ben rilegato misura 17x22, curato e divertente nella lettura, poi… ci sono le “illustrazioni”.
Guido Scarabottolo, di questi alberi, più che illustrazioni ha fatto grandi ritratti, opere; la loro dimensione, non richiesta dato il piccolo formato del libro, è di 64x97 mm. e comprende alcuni dittici che la raddoppiano.
Era dall’inaugurazione della mostra di Mestre che mi facevo delle domande, quelle che non oso fare ad alta voce quando viene fatta la richiesta a fine conferenza: ci sono delle domande? Purtroppo, ho la presunzione di conoscere l’autore, presunzione che mi fa sentire idiota ogni volta che ascolto una sua risposta ad una domanda semplice, semplice, fatta da uno sconosciuto.
C’era l’occasione di usufruire di uno spazio in un luogo bello, “il borgo medievale di Villafredda del Friuli”. Ed è così che sei tavole, quattro singole e un dittico: in totale cinque ritratti di alberi, sono stati realizzati appositamente con l’intento che venissero accompagnati dall’autore e che, ci fosse a seguire, un incontro con lui.
Quando racconto in pubblico di Scarabottolo, mi piace aprire sempre con la stessa frase: – è stato il primo ad usare il computer ma anche il primo a mollarlo –; è solo una frase “ad effetto”, lo so, inesatta perché Guido il computer lo utilizza ancora in molte illustrazioni (es. illustrazione sull’ultimo “The New Yorker”) comunque cerco di correggermi dicendo che lo contrappone a “nuovi” strumenti, come le penne d’oca e di bamboo, oppure pennelli giapponesi e… anche autoprodotti.
Gli “alberi” li ha realizzati proprio con i pennelli giapponesi, e anche autoprodotti, con dei colori brillanti ottenuti da chine per timbri, che generalmente non vengono utilizzate per la pittura ma, soprattutto su una carta giapponese, la Washi, che non a caso si ricava dal gelso, un albero.
Sembra sempre un caso, quando si parla del processo di lavoro di Scarabottolo, almeno come lui lo narra. Lascia fare al caso, accetta il caso.
A Villafredda si è parlato proprio di questo, delle prime tecnologie, tutti sapevano che ci si trovava alle prese con programmi grafici che non dialogavano fra di loro; spesso si creavano errori che “illustratori perfetti” non potevano accettare.
Scarabottolo al tempo se ne è fatta una ragione, ha lasciato che le tecnologie facessero il loro lavoro, non ha remato contro e non ha opposto resistenza all’errore.
La resistenza la applica a cose importanti, per lui care.
Ma, per quanto riguarda le “sfide”, scegliere di dipingere così in grande su una carta che “non perdona”, delicata come la Washi, significa che vuoi dare fiducia al primo segno, lasci che faccia il suo dovere e comunque lo accetti, altrimenti si butta via tutto.
Su questa carta una pennellata è quella! Non si torna indietro, non ci possono essere pentimenti.
Non è un caso, è altro, quello che sostiene Scarabottolo.
Da questo incontro sento di aver ricevuto in dono risposte che non mi aspettavo, senza aver fatto le domande “intelligenti” che avevo preparato. Per questo, ringrazio il caso.