Speciale
La piazza delle teste tagliate
Arriva, dopo aver camminato per ore, a Marrakech. Arriva nella piazza di Jemaa el-Fna. È semivuota, i serpenti addormentati nelle ceste, qualche mercante di spezie che parla o grida, poi ecco illusionisti, profeti, acrobati, giocolieri, dentisti, cestai, cantastorie, ammaestratori di scimmie; alle cinque di sera dai grigi tralicci di ferro scaricati nella piazza da piccoli camion rumorosi, in mezzo al rombo dei tamburi e al canto dei muezzin, nascono ristoranti verdi e rossi, fosforescenti, effimeri. Couscous, tajine, merguez, fritture di gamberi. Miele, datteri, mandorle, arance. Tutti toccano, spingono, vendono, urlano, cucinano, camminano dentro la piazza in un rombo assordante, in un incandescente catino di luci. I venditori d’acqua si affollano con le ceste appese alla schiena. Le donne passano veloci, il velo nero anche sugli occhi. L’odore di piscio dei vecchi cavalli fermi sul bordo della piazza, tra le palme secche, offusca il profumo delle arance e dei limoni.
Ricorda, per contrasto, l’architettura immobile della Medersa, il grande atrio illuminato della scuola coranica, il legno di cedro, il marmo bianco, i caratteri cufici, i pilastri e gli architravi, la luce che piove dallo stucco traforato, e fuori la seta rosso-sangue, i piedi nel fango, l’odore di merda e di cuoio, le porte crollate, i bimbi semisvenuti, i ladri giovanissimi.
Ricorda uno dei significati di Jemaa el-Fna: “piazza delle teste tagliate”. Chiudendo occhi e orecchie, con l’avvicinarsi del tramonto, potrebbe sentirle rotolare ancora, in un silenzio assoluto, mentre la moschea di Koutubia spicca alta, con i quattro globi d’oro; teste scure, per ordine dei sultani, continuano a macchiare la sabbia con lunghe pozze di sangue, sormontate dall’ombra maestosa della Moschea delle librerie. Ovunque si allunga un’ombra scura. Nella notte camminano ancora per la lunga piazza, le teste spiccate dal collo, i fantasmi delle vittime.