Celan e Chomed: lettere al buio

23 Dicembre 2024

L’editoriale di “Rive dell’altro. Collana a cura di Domenico Brancale e Anna Ruchat” illustra con precisione il programma dei curatori: “Il carteggio Paul Celan – Gustav Chomed inaugura una piccola collana (un libro all’anno) legata alle “Meteore” e dedicata a Paul Celan. La collana porta il titolo “Rive dell’altro” perché si propone di esplorare il vasto territorio dei carteggi ancora non tradotti, delle memorie di amici e conoscenti, delle collaborazioni e traduzioni dello stesso Celan. Desideriamo in questo modo mettere a disposizione del pubblico italiano almeno qualcosa della miriade di materiali usciti in questi anni in Germania e in Francia che tanto hanno contribuito a trasformare la lettura e l’interpretazione dell’opera di Celan facendone qualcosa di molto più vivo e inestricabilmente legato alla biografia”. Il prossimo titolo annunciato è Jean Daive, Sotto il cielo. Passeggiate con Paul Celan, a cura di Domenico Brancale.

Nel libro di cui parleremo, il carteggio fra Paul Celan e il cugino Gustav Chomed intitolato “Ho bisogno delle tue lettere” (a cura di Anna Ruchat, con traduzione di Annalisa Nelson e Maria Chiara Susini, Rive dell’altro, 2024), notiamo come l’epistolario ricopra, in modo discontinuo, un ampio intervallo temporale, dal 1938 al 1970. La prima lettera di Celan da Tours è del 7 dicembre 1938, e il poeta non ha ancora vent’anni: “...Vedi, devono essere più di una lettera queste righe che ti scrivo, devono essere – l’ho già detto – una conversazione al buio. Quando le conversazioni possono essere tutto… E vedi, non cresciamo sopra il dolore altrui / o sul nostro? Una volta al Louvre ho visto un cieco. Un cieco davanti ai colori. Devo aggiungere altro? Capisci? (…) Non posso più continuare a scrivere. Ma ti prometto, d’ora in poi di scrivere spesso, spesso, spesso. Scrivimi spesso anche tu. Scrivimi subito, scrivimi”.

A questa promessa di appassionata vicinanza (che è anche una confessione di poetica: l’immagine del cieco davanti ai colori ha la potenza delle più efficaci metafore celaniane) fa seguito un lungo, inspiegabile silenzio. Dopo più di due decenni, il 18 gennaio 1962, Gustav Chomed, che non ha più saputo nulla di Celan, lo ritrova e scrive: “Grazie alla tua lettera a Tanja Sternberg sono venuto a conoscenza del tuo indirizzo. Dopo più di due decenni di separazione mi ha reso profondamente felice vedere un Tuo segno di vita che arriva direttamente da Te...”.

Il carteggio rinasce, intenso, ansioso, addolorato. Non è sempre facile percepire, nelle lettere di Celan inviate a diversi interlocutori, l’urgente necessità di affetto che prorompe qui, da questo breve scambio di lettere. Un luogo comune, parlando di Celan poeta, è la sua lontananza definitiva dal resto degli uomini. Ma non ci sono tracce di isolamento nell’epistolario con Gustav Chomed; al contrario vibrano i segni evidenti di una “conversazione al buio”: l’urgenza dell’uomo e dello scrittore Celan di conversare con l’amico, come lui rumeno di Czernowitz, è palese: nessuna esitazione nel confessare l’umano bisogno della sua presenza. “Sentirmi bene fra le mie quattro parole” (MIC, p. 171) non gli basta più.

Il 29 gennaio 1970 Paul scrive: “D’ora in poi, quindi da adesso, cerchiamo di essere regolari nello scambio epistolare. Detto con parole semplici, ho bisogno delle tue lettere”. Ma per Celan la comunicazione, pur essendo un vero “bisogno”, pur restando affettuosa e intima, come lo è con “Gusti” Chomed, nondimeno resta sempre rara, dispersa Negli anni. Scrive Chomed il 26 febbraio 1967: “Ti fai sentire così poco, più o meno una volta in un anno e mezzo, che è proprio un vero evento ricevere da te un segno di vita”. Il 9 gennaio 1968 Celan scrive: “Io, lo scorso anno, sono stato otto mesi in ospedale: da allora vivo solo”. Non mancano frasi criptiche, ellittiche, turbate, nel corso dell’epistolario. In una lettera scritta a Parigi e non spedita, il 3 maggio 1962, Celan scrive: “Lo vedi cosa può venire in mente a uno scrittore tedesco con le mie origini quando cerca di rappresentare il suo mondo – il mondo che gli sta intorno, che lo trasforma. Tutte queste cose incredibili: tutte queste cose reali”. L’incredibile, per Celan, non è mai lontano dalla realtà; in certi dettagli è oscurato, trasfigurato. Lui detesta i poeti che “con pezzi prefabbricati di discorso stanno addosso alla lingua” (MIC, p. 127). La lingua è sempre libera, sorgiva. “Del visibile, dell’udibile, / la parola / tenda che si / libera // insieme” (AP, p. 127); “LE PIETRE CHIARE / attraversano l’aria, / bianche di chiarezza / portano la luce” (AP, p. 125).

Scrive Anna Ruchat nelle sue note a questa traduzione: “Nella traduzione abbiamo rispettato i molti accenni impliciti e anche i silenzi non dovuti solo al fatto che i due corrispondenti si trovavano uno da una parte e l’altro dall’altra della “cortina di ferro”. I crolli psichici di Celan erano criptati nelle lettere all’amico. Ma sono sorprendentemente presenti. Abbiamo cercato di rispettare la descrizione dei due scriventi e al tempo stesso di trovare la parola giusta per dire là dove loro dicono” (HBT, p. 135).

Gustav Chomed non smette di supplicare lettere all’amico, senza accontentarsi più di vane promesse. Il 24/12/1968 scrive: “Caro Paul! I miei più cari auguri per l’anno nuovo! Una conoscente che è stata da poco a Parigi ha tentato, su mia richiesta, di mettersi personalmente a contatto con Te – purtroppo invano. Ce la fai a scrivermi di nuovo qualche parola? Stavolta promettimi di rispondere subito. Il tuo Gustav”. Ma la via è sempre tortuosa, difficile. Paul, ormai separato dalla moglie Gisèle, scrive poesie ma si isola, sottraendosi a contatti con amici e conoscenti, a causa delle crisi psichiche che lo costringono a frequenti ricoveri. “NON SCRIVERTI / tra i mondi, // imponi alla / varietà dei significati, // confida nella scia di lacrime / e impara a vivere” (OS, p. 65). Nessuna scrittura congiunge i mondi: esistono le lacrime, solo quelle, a cui affidarsi. “L’abisso senza gradi / si spalanca da sé – / Arriva il cala-e-cadi, / e solo infine vai” (OS, p. 3). Celan sa, come quando scrive a René Char il 28 ottobre 1960 (CR, p. 21), che esiste un bisogno tutto umano di parlarsi, anche se “l’essenziale è incrollabile e irremovibile”. Nessuno, più di Celan, conosce l’irremovibilità del suo compito, su questa terra.

L’ultima missiva di Celan da Parigi sarà del 19 marzo, a un mese esatto dalla notte del suo suicidio. In questa lettera, l’ultima dell’epistolario celaniano, Paul invita il cugino a venirlo a trovare a Parigi. Immediata la risposta di Gustav, che si conclude con una frase semplice, in corsivo, staccata dalle altre, che per noi, consapevoli della prossima fine del poeta, diventa emblematica, quasi annichilente: “rispondi al più presto!”. Sappiamo, purtroppo, che nessuna risposta sarà più possibile. In quella invocazione si percepisce l’apprensione di Gusti Chomed, consapevole del disagio psichico in cui Paul era ormai sprofondato, chiuso nel segreto dei suoi fantasmi. “Non rivelare il segreto, altrimenti il segreto rivela te” (MIC, p. 175): “le lettere, le lettere: in cerca degli uomini con la lanterna di parole” (MIC, p. 137); “sulle proprie macerie sta e spera la poesia” (MIC, p.121).

Cito ancora, dall’ultima lettera: “Visitare l’Unione Sovietica, vedere Mosca, Leningrado e naturalmente la città in cui sono nato, è un mio antico desiderio. Ma il mio stato di salute, come Tu ben sai, non è dei migliori e intraprendere un lungo viaggio non mi è possibile. Ma cosa ne dici se fossi tu, caro cugino Gustav, a farmi visita a Parigi? Se venissi da me per tre o quattro settimane?”. Chomed, rispondendogli il 5 aprile 1970, accetta l’ospitalità dell’amico poeta: “Naturalmente sarebbe per me la realizzazione di un sogno venire per qualche settimana a Parigi da Te”.

È probabile immaginare che, a un mese dal suicidio, atto premeditato e desiderato ma sempre impulsivo, Celan cercasse inconsapevolmente, nella presenza del cugino, un affetto che lo alleviasse ancora una volta dal suo insormontabile dolore: umana e intensa nel tempo, una presenza capace di salvarlo, almeno temporaneamente, dal suo incubo di dissoluzione. “Ci sono occhi che vanno al fondo delle cose. Essi scorgono un fondamento. E ce ne sono altri che sprofondano nelle cose. Questi non scorgono fondamenti. Ma vedono più profondamente” (MIC, p. 105). Forse Celan, parlando con Gustav, avrà pensato i suoi stessi versi: “NON SPEGNERTI DEL TUTTO – come altri fecero, prima di te, prima di me” (OS, p. 61). Forse non avrà dimenticato quelle parole che scrisse nei Microliti e che non smettono di evocare la costruzione, il sogno, la custodia, la vita mai raggiunta: “Hai questa memoria che ti custodisce i morti, hai il sogno costruttore d’arca. E i vivi? E i vivi? Sono dunque così lontani, così irraggiungibili?” (MIC, p. 75).

Celan si sente realmente, fin dall’inizio della sua opera, testimone e superstite. “Nella mia poesia ho spinto alle estreme conseguenze l’esperienza umana di questo nostro tempo. Per quanto possa sembrare paradossale: è proprio questo che mi sostiene” (HBT, p. 111). Ma per Gustav è ancora vero l’antico richiamo. evocato in una missiva del 17 febbraio 1962, e che a distanza di anni risuona come uno struggente segno di amicizia: “Concludo la lettera fischiettando il nostro antico richiamo, che da vent’anni ormai non sento più nei vicoli della città che un tempo era la nostra patria: “Au clair de la lune, mon ami Pierrot”. Tuo Gustav”. Celan, con la sua solitudine, ha suscitato amicizie intense anche se brevi, intime e fraterne, non dimenticabili. Lo testimonia questa missiva di René Char, scritta il 23 novembre 1954: “Da parte vostra questa fraternità poetica mi commuove infinitamente, vogliate credermi. Mi allevio nel dirvi grazie. Ma non sento di essermi ancora sdebitato con voi” (AP, p. 13).

Libri consultati:

Paul Celan, Oscurato, a cura di Dario Borso, Lo Specchio, Einaudi 2010 (OS)
Paul Celan, Microliti, a cura di Dario Borso, Lo Specchio, Mondadori 2020 (MIC).
René Char, Correspondance 1954-1968, Gallimard, Paris 1977 (CR).
Gustav Chomed, Paul Celan, “Ho bisogno delle tue lettere”, a cura di Anna Ruchat, Rive dell’altro. Collana Le Meteore 2024 (HBT).
Marco Ercolani, L’archetipo della parola. René Char e Paul Celan, Carteggi letterari Le Edizioni, Messina 2018.

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