La stazione di Topolò

4 Luglio 2011

Sabato si è aperto presso la Stazione di Topolò – Postaja Topolove, il Festival di Topolò, il più piccolo e inconsueto festival culturale italiano, che prosegue sino al 17 luglio, Moreno Miorelli, uno degli organizzatori ci ha mandato questa presentazione che volentieri pubblichiamo.

 

 

Molti si chiedono se esista o meno la Stazione di Topolò / Postaja Topolove, capolinea circondato da boschi fittissimi e dal confine con la Slovenia, in provincia di Udine. Malgrado evidenti lacerti fotografici circa la sua inaugurazione e un incontestabile orario della tratta Cividale-Topolò, impreziosita da ben dodici fermate intermedie, ancora c’è chi ne contesta la realtà. 

 

Quest’anno, quando i vagoni, tra il 2 e il 17 luglio, riprenderanno a sferragliare apparirà addirittura un angelo, l’Angelo delle storie dimenticate, donato da Guido Scarabottolo e posto sul sentiero che collega Topolò/Topolove, estremo lembo orientale dell’ex Ovest, con Livek, in Slovenia, estremo lembo occidentale dell’ex Est. Può provocare sconcerto il recarsi in un luogo con un nome tanto particolare, il cui significato è “pioppeta” (lo sloveno Topolove) e dove gli alberi ci sono tutti, escluso proprio il pioppo. Si tratta di organizzare un viaggio in un luogo impervio, dove finiscono la strada e uno Stato e dove inizia un ceppo linguistico che dalle Valli del Natisone conduce dritto a Vladivostok. Un viaggio verso una pioppeta senza pioppi, in un luogo abitato da 29 persone, che ha perso il 95% dei suoi residenti in un secolo, mandati, i più, in miniera a morire di silicosi in osservanza ai cosiddetti “equilibri geopolitici della Guerra Fredda”, in una zona dove i divieti militari e una spropositata presenza dell’organizzazione Gladio hanno creato un terreno ben poco consono all’apertura, all’ospitalità, alla cultura.

 

Ventinove abitanti sono rimasti dei trecento del 1945, ma anche quattro Ambasciate, un aeroporto per i soli arrivi, un ufficio postale per Stati di coscienza con tanto di francobolli e timbri (fondato dal compianto Piermario Ciani), un ostello per suoni diseredati, resti di antiche terme e di fiorenti quanto improbabili comunità askenazite dissoltesi non si sa perché. E ancora, una Sala d’aspetto per le veglie di poeti e narratori, una biblioteca che accoglie solo i libri del cuore, un Istituto di Topologia (che non è solo la scienza di Topolò) fondato da Piero Zanini, un dipartimento di Paesologia (creato da Franco Arminio) facente capo a una Università (rettore ne è Furio Honsell, attuale sindaco di Udine) e il quartier generale dell’Officina Globale della Salute, diretta da uno scienziato di fama mondiale (Mario Raviglione, massima autorità mondiale nella lotta alla Tbc). Recentemente si è costituita anche una Pinacoteca Universale, ideata da Guido Scarabottolo, dove ognuno può portare, incorniciato, lo schizzo dell’opera artistica che più lo ha colpito. E l’Earth Water Institute of Topolò, diretto da Ulay, un grande della body art anni ’70-’80, ospite fisso del paese.

 

Non solo musicisti o artisti visivi a Topolò, quest’anno: l’architetto Fabio Fornasari, ideatore del Museo del Novecento di Milano, narratori come Gian Luca Favetto, Pino Petruzzelli, Taja Kramberger, Renato Rinaldi, l’antropologo Martino Nicoletti, don Pierluigi Di Piazza, parroco di “frontiera”, fondatore del centro di accoglienza “Balducci” di Zugliano; e ancora la Piccola Officina di Teatro di Napoli con le sue letture in cuffia per ascoltatore solo, lo straordinario progetto dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, registi che presentano le loro produzioni soprattutto nel campo del documentario. E i laboratori, qui denominati “cantieri”, dove bambini e ragazzi alle prime armi suonano in ensemble con professionisti navigati e che fanno rivivere per quindici giorni il paese, il vero protagonista assoluto, con i suoi abitanti. Ai bambini e ragazzi viene affidata, quest’anno, anche la documentazione video della rassegna, con la supervisione di una regista esperta qual è la slovena Anja Medved.

 

Tutto è gratuito, senza biglietti d’ingresso, senza palchi (tutto si svolge nei cortili, nelle piazzette, nei prati che circondano il paese), senza camerini, con gli artisti ospitati nelle case e a orari improbabili: “verso sera”, “nel pomeriggio”, “con il buio”, “nella notte”. 

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