L’amore è finito
“Cosa definisce una coppia sana? La libertà. È solo la libertà che permette di lasciarsi andare in pace, così come di ritornare insieme. E qual è la libertà dell’amore?”. Questa è la domanda che innerva L’amore è finito andate in pace. Comunicare la cultura sull’amore attraverso cinema e serie tv, di Elisa Ceci e Sara Martin, edito da Postmedia Books. Questa è la domanda per la quale il libro tenterà di creare risposte non concilianti, capitolo dopo capitolo. In una coppia serena l’unico lavoro possibile per mantenere viva l’armonia di un amore comune è costruire insieme la propria alleanza creativa e vitale.
La libertà, come sempre, non è possedere l’altro come un oggetto da avvolgere nella propria voce ma ascoltare l’altro nella sua voce autentica. La voce autentica dell’“amore a due” è il campo d’indagine delle due autrici dalle loro differenti prospettive: Elisa Ceci infatti, è psicologa, psicoterapeuta e analista di gruppo, mentre Sara Martin insegna Storia del cinema e Teorie e tecniche della Televisione all’Università di Parma. Il libro è strutturato in due parti distinte: la prima incentrata sulle dinamiche psicologiche, la seconda sui meccanismi della visione mediatica. L’intento è quello di indagare, da due prospettive diverse, i conflitti affettivi nelle vite reali e nei personaggi delle fiction cinematografiche e televisive, e scoprire che questa diversità è solo apparente e che i punti di contatto fra realtà e finzione sono molteplici.
Elisa ci racconta, nell’introduzione, che la prima idea del libro è nata durante il tempo lungo della pandemia, quando “essere chiusi per un tempo lungo in uno spazio definito e, comunque, ristretto – una sorta di stanza d’analisi – ha permesso all’inconscio di venire a galla in modo sorprendente”. Poche pagine dopo cita Baruch Spinoza: “Nell’Etica Spinoza sostiene che la vera posta in gioco nella filosofia non è il sapere ma il vivere bene e il suo pensiero non distingue il bene e il male, non dà precetti o cataloga azioni, ma vuole infondere letizia attraverso la ragione perché la vita deve essere, secondo ragione, dedita alla contemplazione della Natura e dell’Amore”. La libertà che il filosofo si augura per l’uomo spinge l’autrice a riflettere su una poesia di Auden “La verità, vi prego, sull’amore”.
Verità e amore, libertà e amore, non sono realtà che convivono naturalmente. I rapporti di coppia sono legati da un amore che persiste nel tempo soltanto se la coppia non costruisce vincoli familiari oppressivi, in cui uno non accetta la diversità dell’altro. Negli altri casi i vincoli risultano modelli stereotipati, maschere che negano la libertà espressiva e costringono alla rimozione, provocando ansie, angosce, alterazioni dell’umore, comportamenti antisociali.
Qui ci soccorre il protagonista di un film diretto da Jim Jarmush nel 2016, Paterson, che Sara Martin descrive così: “Paterson vive a Paterson, con la splendida moglie Laura e il cane Marvin. Paterson guida ogni giorno il suo autobus, porta fuori il cane e ogni sera si ferma a bere una birra nel pub vicino a casa. È silenzioso e osserva il mondo con timida curiosità. Ama la poesia e scrive”. In questo tipo di vita osserviamo come sia l’uomo sia la donna organizzino le proprie vite in una reciproca valorizzazione narcisistica, all’interno di uno scambio minimo di emozioni e di gesti che rende le loro esistenze pacificate, al limite di un sogno condiviso. Qui la funzione dei neuroni-specchio è fondamentale: l’uomo non può essere totalmente se stesso se non si fa guidare e modellare dai gesti degli altri.
Un’altra fiction, che Sara non cita nel libro, è la serie After Life, scritta e interpretata da Ricky Gervais. Il tema tratta di una coppia singolare: un uomo, vedovo, ripercorre al computer gli episodi felici della vita con l’amata moglie defunta. La sua vita reale, invece, improntata a cinismo e tristezza, è inconsolabile e cupa. Fa solo amicizia con una donna anziana, anche lei vedova, e si incontrano al cimitero, scambiandosi con tenerezza osservazioni ironiche e sagge. La storia, grottesca, mai politically correct, ha l’intento di insegnarci una verità: occorre “lasciar andare” l’altro, non conservarlo nella nicchia del lutto detestando il resto del mondo. Bisogna aprirsi a nuovi incontri che ci facciano riflettere, ridere, conoscere. Insomma, la coppia vivo-morta ha il dovere di infrangere la sua assolutezza regressiva.
Diverso il discorso per la famiglia dei Tenenbaum nel film omonimo di Wes Anderson, I Tenenbaum. Il pater familias Royal, avvocato e adultero, padre di tre figli geniali, torna a casa e finge una malattia terminale per riconquistare gli affetti familiari. Ma la sua imprevista e reale morte per infarto catalizza un cambiamento/catastrofe che trasforma la famiglia disfunzionale e anaffettiva in una famiglia che soffre il lutto vero della sua perdita. In certi casi, come dimostrano molte esperienze psicotiche, rendere viva e “creativa” l’anomalia significa disobbedire a regole codificate dalla società, sfuggire alla gabbia del sintomo, inventare una prospettiva altra.
L’amore è finito andate in pace è un libro “doppio” scritto da una coppia, e mette in evidenza qualcosa che non è ovvio ammettere: la verità dei sentimenti amorosi e la finzione dell’universo audiovisivo in cui si esprimono ha la stessa intensità emotiva, lo stesso ‘effetto di realtà’. Scrive Sara Martin: “Tutto è mediato. Tutto è schermato, nel senso etimologico dell’antico termine tedesco skirmjan, che significa proteggere, riparare, difendere”. Ma, se gli schermi ci hanno protetto e alienato dal reale, ci hanno anche restituito modelli e sistemi nei quali ci rispecchiamo ogni giorno.
Le autrici concludono il loro libro con queste parole: “Alla fine del nostro viaggio siamo arrivate a condividere, da punti di partenza molto diversi, lo stesso pensiero: la separazione è una sofferenza ma non è un trauma; separarsi male è un trauma, così come stare insieme male è un trauma. Accettare di potersi lasciare, dal principio deve essere una possibilità per la coppia, se ci si vuole bene ci si deve poter lasciare andare…” E qui non può che tornarci alla mente il mitico finale del film di Michael Curtiz Casablanca, dove Rick lascia Ilsa perché Ilsa possa ricongiungersi con Laszlo. La coppia si separa perché l’amore continui nella sfera della nostalgia e non della vita reale, quella che Ilsa e Laszlo condivideranno, impegnati nella resistenza durante il secondo conflitto mondiale.
Il cinema e le narrazioni seriali rappresentano una cultura mediatica che proietta rappresentazioni nuove delle dinamiche familiari e diventa, sul piano psicologico e cognitivo, anche strumento educativo. Sara Martin ci ricorda un dettaglio suggestivo: “Il cinema e la psicoanalisi nascono contemporaneamente: nella notte tra il 23 e il 24 luglio del 1895 Sigmund Freud realizza la prima interpretazione esaustiva di un sogno, Il sogno dell’iniezione di Irma, che viene riconosciuto convenzionalmente come il momento in cui nasce la psicoanalisi; e il 28 dicembre, con la prima proiezione pubblica dei fratelli Lumière, nasce il cinema”. Aggiungerei che la finzione filmica, grazie alla seduzione delle immagini, suggerisce allo spettatore, attraverso i meccanismi identificativi, soluzioni e fantasie originali per la vita erotica della coppia. Basti ricordare come, nel cinema di Ernst Lubitsch, l’atto amoroso sia, per ellissi, rappresentato da una porta che si richiude e dall’ombra di due figure nello sfondo. Questo semplice atto invita lo spettatore a fantasticare l’invisibile. Aggirando il codice Hays della censura il regista ha inventato un meccanismo seduttivo. Non è forse il non-detto, il non-visto, la radice dell’eros? E le coppie non devono forse riscoprire, al di là del patto matrimoniale, la felicità di un eros liberato?
In conclusione, un’opera come L’amore è finito andate in pace non è soltanto un libro da leggere e da gustare ma uno strumento/manuale necessario a reinventare la curiosità e il piacere nel rapporto d’amore. Osserva Matteo Nucci, citato dalle due autrici: “La trappola è la fusione, l’unione. Nell’unione c’’è la morte. La simbiosi è la morte dell’amore. Se ci uniamo all’altro tutto è finito e il desiderio sparisce. L’amore è vita e per essere deve essere tra individui autonomi che si cercano e si respingono”.
Tornando al tema della pandemia, con cui abbiamo iniziato questa riflessione, pensiamo a una coppia negativa e nevrotica, come quella rappresentata da Ingmar Bergman ne Il posto delle fragole durante il viaggio in auto del dottor Borg, e, per contrasto, a certe coppie dei film giovanili hitchockiani, come Sabotatori o Il club dei 39, dove uomo e donna, costretti a situazioni di convivenza forzata, dopo i primi malintesi cominciano reciprocamente ad acquistare fiducia e affetto dalla presenza dall’altra. Talvolta, anche all’interno di condizionamenti che non possiamo evitare, come essere reclusi nel proprio domicilio a causa della pandemia, lo schermo, proiettando i suoi spettacoli, non solo ci protegge, ci consola, ci aiuta a far scorrere il tempo, ma ci invita, attraverso le suggestioni di certe storie, a capire cosa accade e cosa potrebbe accadere nelle nostre dinamiche amorose.
Un esempio psichiatrico ci conferma che, in un rapporto di coppia, la libertà è non solo possibile ma indispensabile: un ragazzo giovane, sofferente di un disturbo bipolare, del tutto inibito nella sua vita affettiva, si trova in autobus; accanto a lui una bella ragazza, che scende a una certa fermata. Sorpreso dal proprio stesso coraggio, lui scende alla fermata successiva, prende velocemente la direzione opposta, vede la ragazza entrare in una casa. Il giorno dopo, la aspetta proprio davanti a quel portone. Parla con lei senza timidezza. La invita a cena. Si conoscono. Si innamorano. Le chiederà di sposarlo. Lei, che è di origine peruviana, accetterà. Si sposeranno due volte, una in Italia e una in Perù. Lui si comporta da persona sana, come non avrebbe mai previsto di comportarsi. In pochi mesi, con semplicità, diventa il protagonista della storia che aveva sempre sognato di vivere. Il sogno della realtà si trasforma nella realtà viva di cui, con sorpresa e coraggio, si fa attore.
L’amore è finito andate in pace, se da un lato rassicura sulla possibilità che un vincolo non sia eterno e possa essere sciolto, dall’altro conferma la necessità che ogni sincero legame amoroso, se vuole durare nel tempo, può e deve trovare le sue radici solo nella libertà.