Le stanze chiuse di Agatha Christie

25 Febbraio 2015

Nella rubrica Per l’appunto si tratterà di cinema e letteratura di genere, del giallo e del rosa oggi, delle declinazioni del romanzo di formazione contemporaneo e dei motivi per i quali dai diari di cameriere quasi illetterate prendono spunto sceneggiatori di film di successo come Godsford park e della seria televisiva Downton Abbey.

 

Che la puntata di esordio di una rubrica dedicata soprattutto alla letteratura di consumo muova i suoi primi passi sui tasti della Remington Portable di Agatha Christie non è un caso, ma è l’omaggio doveroso di chi scrive a colei che ha salvato interminabili pomeriggi di domeniche nebbiose, nelle quali la sola speranza era il ritorno a scuola dell’indomani.

La scrittrice inglese fu prodiga di storie dove la descrizione di quasi teneri omicidi domestici si alternava a romanzi di spionaggio, a veri e propri gialli polizieschi, con complotti a livello internazionale, spie, agenti segreti, delitti, indagini, detective, cameriere colpevoli e vedove misteriose.

 

 

 

La stessa esistenza della signora che, irrigidita in severi tailleur guarda dalle fotografie che la ritraggono come sul punto di rivelare la sua miglior ricetta di tasca di carne farcita, ebbe aspetti di mistero. Durante la travagliata separazione dal colonnello Arcibaldo, suo primo marito, Agatha sparì nel nulla. Fu solo dopo una diecina di giorni che venne ritrovata, in preda a una totale amnesia identitaria – almeno così si raccontò successivamente. Alloggiava in un alberghetto termale, al nord dell’Inghilterra sotto le mentite spoglie dell’allora amante del marito. La pensioncina, la località di villeggiatura circondata da sulfuree acque benefiche: è noto come la suspense nel più classico dei racconti gialli raggiunga climax di particolare intensità se l’autore si attiene all’antico uso dell’unità di spazio. Principio chiaro a Edgar Allan Poe (1809-1849) che ridusse spesso il proprio orizzonte narrativo a una casa se non alla mente oscura del colpevole o all’occhio innocente d’un felino martoriato. Anni dopo Agatha Christie (1890-1976) non raccontò dei castelli diroccati del country gothic di cui si era nutrita nelle proprie letture infantili, per darsi invece a infiocchettate descrizioni di villini di campagna zeppi di uccelli impagliati e merletti ingialliti. Nel corso del tempo firmò alcuni tra i suoi romanzi più riusciti attenendosi alla ferrea regola della ‘stanza chiusa.’ Qualche volta, al fine di amplificare l’effetto claustrofobico, la scrittrice scelse di creare un cortocircuito tra relax e pericolo, ambientando alcuni suoi romanzi di successo in leggendari luoghi di villeggiatura. Assassinio sull’Orient Express, (1934), Delitto in cielo, (1935), Poirot sul Nilo, (1937), Dieci piccoli indiani, (1939), Trappola per topi, (1954) sono i casi più noti in cui l’atmosfera rilassata di vacanza si trasforma nell’angusto scenario di delitti e relative indagini condotte in compagnia dei baffetti di Poirot, o delle chiacchiere petulanti di Miss Marple. Agatha Christie cede spesso al piacere di confondere le acque: il male si insinua nei luoghi più intimi della vita privata, nelle scelte delle località di villeggiatura, come l’isola che nella letteratura fantastica galleggia tra sogno e realtà, e la traversata in barca per raggiungerne le rive ricorda in più d’un passo i tragitti di Caronte. Così, riuniti in un panopticon che ne esalti le colpe – nella comoda hall di un albergo di lusso, o nella conversation piece di un grazioso chalet – i personaggi sono osservati come topolini da laboratorio dalla loro autrice che ne descrive le reazioni di fronte agli eventi. Al pari della casa di pan di zucchero di Hansel e Gretel, o dell’Overlook Hotel del duo King-Kubick, luoghi di vacanza spesso connotati nell’immaginario collettivo come mitici – l’Orient-Express (il re dei treni, nelle pubblicità del tempo, che per le preferenze che ben presto gli accordarono i reali d’Europa divenne in seguito il treno dei re), o Nigger Island (l’isola dalla silhouette di negroide) – mutano la propria natura trasformandosi da luoghi fiabeschi in prigioni mortali.

 

Nella sua opera Agatha Christie non aderì alla posizione del connazionale John Ruskin, il quale provava un vero e proprio orrore nei confronti della “fallacia patetica”, l’accorgimento retorico per lui sintomo di estrema decadenza dell’arte, di attribuire al clima atmosferico una coscienza e una propria autonomia. Infatti, per amplificare l’effetto dell’isolamento la scrittrice del Devon non lesinò sull’utilizzo di agenti naturali che paralizzassero la possibilità di movimento – quali un’imprevista bufera di neve, o una tempesta di mare – atti a isolare i protagonisti lasciandoli agire indisturbati, momentaneamente sospesi dalla vita reale.

 

La letteratura di genere contemporanea pullula dell’eredità di Agatha Christie e dei suoi trucchi tutt’altro che demodé. Per esempio, all’origine degli efferati delitti descritti dal norvegese Jo Nesbǿ nel suo Il leopardo (2009) vi è la notte che i protagonisti sono costretti a passare insieme chiusi in un rifugio di montagna. Mentre il film Gosford Park (2001) di Robert Altman (uno degli assassini di Nesbǿ si chiama Altman), vede gli abitanti dei piani alti e dei piani bassi (rispettivamente padroni e servi) tenuti prigionieri in una sontuosa tenuta di campagna da una pioggia despota, mentre tutto ruota intorno a un cadavere che ha avuto la sventura di essere stato ucciso due volte...

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